Abbiamo trattato di recente il tema delle democrazie liberali lente, farraginose e non in grado di gestire la velocità imposta dalla rivoluzione digitale.

Pickett ha analizzato i rischi dell’opzione alternativa: i pregi di certe pseudo-democrazie in possesso di una catena di comando efficiente e senza la palude di Parlamenti verbosi, corporativi, non produttivi.

Bene, abbiamo letto in questi giorni un’intervista rilasciata dall’ex Presidente della Camera, Fausto Bertinotti, un grande conoscitore della macchina parlamentare, che ha fatto un passo indietro rispetto alla politica attiva e oggi osserva con preoccupazione la realtà del nostro Paese.

Bertinotti non è sorpreso dalla tendenza in atto, in tutto il mondo, mirata a svuotare il ruolo del Parlamento, della democrazia indiretta a favore di quella diretta, almeno formalmente nelle mani dei cittadini: “siamo di fronte ad un processo che parte da lontano – ha detto l’ex leader comunista – la costituzione materiale ha divorato la costituzione formale. Tutto è stato indirizzato a demolire il punto cardine della centralità del Parlamento.”

La recente approvazione della Legge di bilancio al Senato e alla Camera ne è stato l’esempio più lampante. Il Governo ha espropriato il Parlamento. L’esecutivo ha marginalizzato il ruolo del potere legislativo contaminando il principio fondativo delle democrazie moderne, e cioè la separazione ed autonomia dei tre poteri fondamentali dello Stato: Esecutivo, Legislativo e Giudiziario.

La legge di bilancio costituisce – secondo Bertinotti – l’atto conclusivo, finale, dello scontro tra Esecutivo e Legislativo. Molto semplicemente, è il sequestro del Parlamento da parte del Governo. Non esito a dire che, con questo atto, il Parlamento è ridotto a cassa di risonanza del Governo, la dialettica parlamentare viene sospesa e di fatto il Governo assume poteri eccezionali. Senza dichiararlo, ma di fatto, le regole ordinarie sono state sospese”.

La nostra Costituzione è stata dunque messa da parte: la democrazia umiliata come gridato da qualcuno del calibro di Giorgio Napolitano ed Emma Bonino: “come dicevo – ha continuato il suo ragionamento Bertinotti – il punto cardine della Costituzione è la centralità del Parlamento. Conosco bene e voglio anticipare la facile obiezione: si fece così perché, dopo il fascismo, tutti i partiti avevano paura; non si sapeva chi sarebbe stato il vincitore e perciò il Parlamento garantiva tutti. Aveva un ruolo di garanzia. Il principio di fondo era che i conflitti all’interno della società trovassero uno spazio di influenza, di confronto. Le grandi riforme degli anni Settanta (lo Statuto dei lavoratori e la riforma del servizio sanitario nazionale) vennero proprio approvate da quei Parlamenti dove si discuteva tanto. Dove c’era il confronto, anche animato, tra opposte visioni. Un dibattito che permetteva di entrare nei dettagli delle varie tematiche e che avveniva proprio in quel Parlamento in cui tutti erano rappresentati e potevano dire la loro”.

Bertinotti ha individuato nella seconda Repubblica, quella nata sulle ceneri dei partiti storici spazzati via da Mani Pulite, l’inizio di questo processo di picconate alla nostra Costituzione: “con una serie di strappi. Dapprima, prese forza l’aspirazione alla governabilità, al decisionismo, al presidenzialismo. Cruciale divenne la velocità della decisione, non l’ampiezza del dibattito. E i regolamenti parlamentari divennero sempre più giugulatori. Non per caso, fu anche il tempo della vocazione maggioritaria. In sé, il sistema maggioritario considera un impaccio la discussione parlamentare. E inizia così il disastro. Nella società si consolida allora l’idea che il Parlamento sia lento, farraginoso, sostanzialmente inutile. E badate che questo discorso prescinde dai colori politici. Tutti hanno abusato della decretazione d’urgenza”.

Siamo, allora, ad una svolta finale, alla soglia della rivoluzione populista firmata dal marchio Casaleggio e associati?

Non mi meraviglia – ha proseguito Bertinotti – che chi pone in discussione la democrazia parlamentare a favore della democrazia diretta voglia arrivare alla sfida finale. Il voto di fiducia posto sul maxiemendamento, senza permettere di fatto l’esame del provvedimento, è l’iperbole dell’esercizio del potere del Governo”.

D’altronde, ce lo siamo voluto, sembra sussurrare Fausto Bertinotti: “mancando la possibilità di influenzare le scelte di chi governa attraverso il dibattito parlamentare (come sta avvenendo in Francia dove, per chiarezza, io considero i gilet gialli una risorsa e non una iattura!) la piazza è l’unico luogo dove manifestare il proprio malessere, la propria non condivisione di quanto deciso dal Governo. La protesta è la reazione al dominio del Governo che ha esautorato il Parlamento”.

Comments (1)
  1. Castiglioni Ermando (reply)

    1 Gennaio 2019 at 9:56

    Mi chiedo, il presidente Mattarella avrebbe potuto rifiutarsi di firmare la Legge di Bilancio?
    Se si, perché no la fatto?

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