Sottovalutare, in genere, è quasi sempre un errore. Quindi nessuna sottovalutazione di Bannon anche perché lui insieme a noi sta vivendo un momento storico molto confuso e nessuno dovrebbe poter pensare di avere la ricetta per la soluzione di tutti i problemi che il XXI secolo in modo imprevisto ha rovesciato sulla vita del pianeta.

Lo so, in circolazione ci sono molti profeti politici con in tasca la soluzione a tutto e so anche che moltissima gente ridotta sulla soglia della povertà o già in povertà è pronta a seguire le indicazioni di costoro senza interrogarsi sulla bontà delle soluzioni proposte e se le stesse sono praticabili.

Le ricette di moda sono:

sovranismo – nazionalismo,

riduzione delle tasse,

sicurezza con diritto a sparare,

redditi di inclusione o di cittadinanza (che non sono la stessa cosa ma si somigliano),

difesa dei confini contro le invasioni di emigranti,

difesa dei posti di lavoro esistenti contro le delocalizzazioni continue delle aziende,

incentivi alle imprese in specie quelle della categoria PMI,

recupero delle autonomie locali sotto diverse forme: Stati , Regioni, Comuni,

introduzione dei dazi con conseguenze non prevedibili perché basta incominciare,

il ritorno alle monete nazionali,

la spesa in deficit dicendo ai creditori arrangiatevi,

altre soluzioni tenendo conto del vento che spira in quel momento.

Mettendo insieme le proposte che girano per il pianeta risulta evidente che non esiste nessun piano strategico d’insieme e ognuno viaggia per conto suo rinchiudendosi dentro i confini del proprio particolare, alzando barricate contro qualsiasi invasione che contrasti la visone salvifica trionfante in quel momento.

Come se internet, le nuove tecnologie, i robot, l’intelligenza artificiale non avessero già abbattuto i confini, le barriere e messo le sovranità nazionali in grandi difficoltà nel confrontarsi con la potenza delle multinazionali che guardano con curiosità a questo dimenarsi.

C’è una metafora che potrebbe spiegare bene la situazione socio-economica e politica che stiamo vivendo.

E’ la metafora della mosca nella bottiglia: la mosca è stata capace di entrarci ma non sa come uscirne.

Fiduciosi e ottimisti entrammo nell’era della globalizzazione convinti che ne sarebbe derivato un benessere diffuso e una redistribuzione della ricchezza verso il basso.

Abbiamo dovuto constatare, con grande delusione, che la globalizzazione unita all’avvento delle nuove tecnologie ha creato disuguaglianze in particolar modo nel mondo che  aveva innescato questa rivoluzione: l’Occidente.

Questi fenomeni epocali è vero che hanno ridotto la povertà nei paesi sottosviluppati sottraendo milioni di persone alla fame.

Per converso hanno impoverito la classe media e la classe operaia di tutto l’occidente. E adesso ci interroghiamo sul cosa fare.

Nessuno ha la soluzione e chi dice di averla mente o non sa quello che dice.

Un esempio per tutti. Ci lamentiamo delle delocalizzazioni che distruggono posti di lavoro. Questo fenomeno nasce dal dumping fiscale della Nazioni.

Il dumping fiscale può essere eliminato solo attraverso accordi sovranazionali (almeno Europa), le singole Nazioni in concorrenza fra loro sono indifese. Cercano di difendersi abbassando le tasse per richiamare capitali, così innescando una spirale senza fine con il rischio di diventare un paradiso fiscale e avvantaggiare le multinazionali.

Questo problema richiederebbe più Europa, ma oggi l’Europa non è di moda.

La globalizzazione era il main stream della sinistra che era alla ricerca della terza via: Blair, Clinton,  e molti dei nostri. Oggi parlare di sinistra in Italia non si può. Aspettiamo.

Per ora ascoltiamo pure quello che ha da dire Bannon. La verità è che insieme siamo entrati nella bottiglia e insieme dovremo uscirne se ne saremo capaci.

In caso contrario conosciamo cosa producono le insofferenze delle masse insoddisfatte e fomentate da arruffapopoli occasionali.

Fidelio Perchinelli

Comments (1)
  1. bruno musso (reply)

    14 Marzo 2018 at 9:35

    l’elemento che continuiamo a non voler vedere è che l’evoluzione tecnologica degli ultimi 40 anni ha reso predominante la gestione del territorio che, specie in prospettiva, assorbirà quasi il 70% della capacità produttiva, nonché tutte le scelte strategiche che determinano il benessere economico e l’equità distributiva. Si tratta però prevalentemente di attività pubblica sia perché vera e propria attività istituzionale sia perché servizi resi in regime di monopolio naturale e quindi non gestibili dal privato. La struttura pubblica derivata dall’illuminismo francese di metà del ‘700 ha assolto brillantemente il compito di dare la libertà al cittadino, ma non ha gli strumenti né i meccanismi per i nuovi compiti. Così lo Stato salta, si blocca la crescita economica, prevale la violenza e il ritorno all’antico. Per andare oltre non basta la democrazia diretta né le riforme di Renzi, è necessario mettere a punto un più avanzato meccanismo di partecipazione collettiva.

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