Ancora una volta Pickett torna ad occuparsi di social network, questa volta ad essere sotto la nostra lente di ingrandimento è il loro sfruttamento commerciale che spesso sfocia in una veicolazione di informazioni.

Alla base del potere commerciale dei social network è lo studio dei loro utenti, esattamente come qualsiasi strategia di marketing vincente si basa sullo studio del consumatore. Questa sorta di scienza applicata si chiama “psicometria digitale” ed è l’analisi, attraverso l’utilizzo di software e il lavoro di informatici, che partendo dai like che l’utente lascia ai contenuti digitali, o dalle sue ricerche nel web, arriva a ottenere informazioni circa la personalità di quell’utente stesso.

Un’attività di profilazione, la cosiddetta “economia dei Big Data”, che certo non è nuova al marketing, ma le cui conseguenze sono in continua evoluzione, come la nascita di app con questa funzionalità di “profiling” dell’utente.

Un esempio, riportato anche da Repubblica in un articolo di Marco Pivato, è “MyPersonality”, creata nel 2008 – a testimonianza del fatto che il fenomeno non è certo recente e che il suo sviluppo si protrae ormai da diversi anni – dallo psicologo americano Michael Kosinski. Questa applicazione è in grado di dedurre informazioni riguardanti il credo religioso, il colore della pelle, l’orientamento politico e anche, più generalmente, i tratti caratteriali dell’utente. Kosinski sostiene che le applicazioni di questo tipo siano in grado di conoscerci meglio dei nostri familiari.

A preoccupare sono però i possibili utilizzi di questa tecnologia così invadente da riuscire ad ottenere informazioni come l’orientamento sessuale di una persona. La loro funzione di predizione dei trend sta infatti lentamente assumendo sfumature sempre più importanti, come il marketing politico che sfrutta questi Big Data social per individuare i possibili elettori e sviluppare messaggi elettorali mirati. E proprio in merito a ciò, tanto si è già detto e scritto sull’ingerenza social della campagna elettorale di Trump, ma anche, rimanendo entro i nostri confini, sulla campagna elettorale social delle recentissime elezioni del 4 marzo. Se ormai non ci stupisce più trovare su Google la pubblicità di una borsa o di una vacanza che era stata recentemente oggetto di ricerca da parte nostra, risulta più allarmante ritrovare sui nostri social notizie “su misura” per il nostro profilo.

Ciò che preoccupa in definitiva è il concetto che associa l’utente a un consumatore senza lasciare spazio ad alternative. Nel peggiore dei casi il social network diviene quindi un ambitissimo spazio pubblicitario capace di distorcere la realtà in base al profilo di quel determinato utente e, più in generale, in base alle tendenze del momento.

Eppure i potenti della rete – in particolare i grandi social network, uno su tutti Facebook – sembrano mettere sempre meno al primo posto l’attenzione verso i propri utenti, privilegiando le possibilità economiche che derivano dallo sfruttamento delle proprie piattaforme, e questo non solo grazie alla scienza, come nel caso della psicometria digitale, i social network sono infatti in continua evoluzione e sono i primi a sperimentare diverse modalità e impostazioni di funzionamento, sempre tese a favorire un maggiore guadagno piuttosto che a un’attenzione e tutela dell’utente. Di recente il New York Times ha riportato l’esempio di una temporanea sperimentazione di Facebook in Serbia, cioè la rimozione dei post di alcune pagine dalla sezione “news” del sito – la schermata che appare agli utenti di default una volta collegati al sito del social media in questione. I post di queste pagine erano stati spostati in una sezione a parte, “Esplora”, che gli utenti devono necessariamente selezionare per visualizzarne il contenuto, mentre nella sezione “News” erano rimasti i post la cui pubblicazione era stata pagata. Si è trattato solo di un esperimento temporaneo, eppure non di meno indicativo di come la tendenza sia quella di privilegiare il guadagno, se si sperimenta dando la precedenza alla visualizzazione dei post pubblicati a pagamento, allora vi è poca attenzione all’interesse degli utenti a un’informazione completa ed eterogenea all’interno del sito.

Questa breve digressione evidenzia come l’attenzione di chi ha il potere nel web sia tutta tesa al profitto e se a ciò si aggiunge lo studio dei Big Data e la conseguente vendita di spazi pubblicitari in base all’analisi di determinati like, si evince che ciò che vediamo tutti i giorni su queste piattaforme rappresenta quasi un mondo a sé stante, anzi un laboratorio dove lo sfruttamento commerciale influenza la nostra realtà piegandola in base alle tendenze del momento. Cosa succederebbe se in un futuro prossimo comparissero tra le nostre news esclusivamente post di pagine “paganti” che diffondessero messaggi politici o sociali mirati?

Il pensiero che la soluzione sia quella di sparire totalmente dal mondo del web sorge spontaneo, eliminare account Instagram, Facebook, Twitter, persino Linkedin, ma questo non basterebbe, bisognerebbe infatti arrivare a non utilizzare più il cellulare, tornare a un mondo “sconnesso”. Questa non può essere la strada, tornare indietro in modo radicale non è mai la soluzione, così facendo si rimane letteralmente “fuori dal mondo”, quello non tangibile dove le informazioni e il tempo sono denaro, e che ci permette di contattare un operatore per qualsiasi necessità. Forse per ora, sperando nell’avvento di policy più eticamente corrette da parte dei potenti, la soluzione è quella di acquisire noi in quanto utenti una coscienza più attenta.

Se Pickett ha già invitato i vari Mark Zuckerberg ad acquisire una responsabilità sociale, questa volta l’esortazione è per tutti noi in quanto utenti, e riguarda il porsi più domande ed essere sempre più “pensanti”: è necessario essere utenti coscienti, non si conosce il mondo tramite Facebook, scorrendo ciò che ci passa sotto il naso, notizia dopo notizia senza porci interrogativi.

 

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