Pickett si concede una riflessione autoreferenziale, quasi presuntuosa. Una frase antipatica, che fa sempre innervosire quando la sentiamo in bocca ad altri. La spinosità e drammaticità del tema ci costringe però a doverla riprendere: “Pickett lo aveva detto!”

Proprio due mesi fa, su questo blog, avevamo immaginato, come rimedio contro gli effetti negativi della robotizzazione nel mondo del lavoro, la realizzazione di un grande progetto di costituzione di un fondo finanziario per la gestione di un reddito di cittadinanza, originato dalla rivoluzione in atto portata dall’Intelligenza Artificiale.

Andatevi a rileggere quel contributo, scritto sull’onda di uno studio di un giornalista inglese John Thornhill, apparso sul Financial Time di luglio, e vedrete che la sostenibilità economica di tale fondo era incentrata sulla socializzazione di una parte dei profitti accumulati da Facebook e dalle altre grandi società del mondo di Internet come Google, Apple, Amazon, Alibaba etc. proprio grazie alla rivoluzione 4.0.

La provocazione del giornalista inglese era in realtà rivolta soltanto a Mark Zuckerberg che iniziava, proprio in quelle settimane il suo percorso per una probabile auto candidatura prospettica alla presidenza degli Stati Uniti. Facebook avrebbe dovuto devolvere appunto (magari, aggiungiamo noi, insieme alle altre società tecno) nel fondo ipotizzato una parte di proventi guadagnati proprio attraverso le nuove tecnologie della robotizzazione.

Coloro che gestiscono le innovazioni scaturenti dall’Intelligenza Artificiale e ne traggono i legittimi guadagni, era il ragionamento sviluppato allora, dovrebbero farsi carico di girare una parte di tali profitti a beneficio delle “vittime” di tali innovazioni: i nuovi disoccupati! Una proposta quindi che non si limitava a ribadire la necessaria soluzione di un reddito di cittadinanza per i neo disoccupati (ipotesi quest’ultima considerata da molti economisti e politici assolutamente velleitaria in quanto non concretamente sostenibile dal punto di vista economico) ma ne individuava anche lo strumento tecnico giuridico basato proprio sulla sostenibilità del modello, come già accaduto in Alaska qualche decennio fa in campo petrolifero.

Il ministro del lavoro americano Alekander Acosta, a Torino per le riunioni del G7, ha voluto portare un contributo di serenità e cauto ottimismo al dibattito in corso sui possibili effetti disastrosi della rivoluzione in atto. “C’è molta preoccupazione in giro – ha detto Acosta – ma accade sempre, ad ogni trasformazione tecnologica. E vero, questa rivoluzione fa venir meno molti mestieri, ma ne fa nascere altri. Negli Stati Uniti in otto mesi abbiamo creato 1,2 milioni netti di nuovi posti. Ma allo stesso tempo ce ne sono quasi 6,2 milioni che aspettano di essere occupati. La domanda da farsi è un’altra: i lavoratori oggi hanno le competenze giuste per rispondere alla domanda del mercato? E le istituzioni educative sono in grado di preparare le persone ai mestieri di domani?

La sfida dunque, secondo il ministro del lavoro americano, e quella sulla formazione dei nuovi mestieri: “Occorre dare alle persone l’opportunità di formarsi lungo l’intera vita professionale. Siamo nella cosiddetta “era dell’accelerazione” e le tecnologie corrono sempre più veloci. Se guardiamo alla domanda di competenze 20 o 30 fa, c’è stata una vera rivoluzione. Mi chiedo se le università siano cambiate altrettanto rapidamente o invece se i programmi siano rimasti più o meno gli stessi.

Se il ministro Acosta avesse ragione, e tutti lo speriamo ardentemente, bisognerebbe immaginare allora una forma di rieducazione dei lavoratori attualmente impiegati nel modello industriale esistente per renderli pronti alle nuove esigenze offerte dall’innovazione della rivoluzione portata dall’Intelligenza Artificiale. In questo periodo di rieducazione di tutti i lavoratori rimasti disoccupati ci sarebbe sempre il problema del loro sostentamento. Come potrebbero sopravvivere nel “durante” garantendo pranzo e cena alle loro famiglie?

Ecco quindi tornare di attualità il tema del reddito di cittadinanza o comunque del reddito garantito, chiamatelo come volete, per tutti quei soggetti espulsi dal mondo del lavoro e momentaneamente “parcheggiati” in una scuola di ritorno che li riaddestri su mestieri utili al nuovo modello industriale del Mercato.

E siamo quindi di nuovo al tema lanciato da Pickett a fine luglio ripreso proprio in questi giorni da un altro autorevole professore universitario americano, in Italia sempre per i lavori del G7.

Durante una conferenza a Milano, il professor Neil Jacobstein, uno dei massimi esperti mondiali dell’Intelligenza Artificiale, della Singularity University, è tornato sull’argomento. Ha riproposto la realizzazione di un progetto che preveda un reddito universale per i disoccupati. “Già oggi le nuove tecnologie – ha detto Jacobstein durante il suo speech milanese – hanno messo in crisi i giornali, l’intero mondo dell’editoria. Numerose catene alberghiere, a causa di Airbnb, hanno grosse difficoltà a riempire le camere. Huber, da parte sua, è riuscito a procurare dei danni ai tassisti di mezzo mondo e cosa potrà succedere quando l’auto senza conducente invaderà le nostre strade?”

Jacobstein ha poi fatto l’esempio della rivoluzione in atto nel mondo delle stampanti 3D: “Tu invii un disegno e loro ti producono un oggetto – ha detto il professore americano – nello spazio sono già arrivate delle stampanti 3D che consentono agli astronauti di costruire, durante la missione, pezzi di ricambio da utilizzare in casi di guasto, senza aspettare che arrivino dalla terra. Come potranno, queste stampanti, cambiare domani il commercio mondiale rivoluzionando le modalità di lavoro delle compagnie di navi portacontainer che oggi trasportano oggetti prodotti in un continente e venduti in un altro continente? Tutti risentiranno del dilagare di tecnologie così dirompenti. E ancora: che fine faranno fra 30 anni i grandi centri adibiti alla logistica che oggi danno lavoro a centinaia di persone quando magari ognuno di noi avrà una sua stampante 3D a casa?”

Come reagire a questa rivoluzione? Come governare questa fase di innovazione e trasformazione delle modalità di lavoro in tutto il Villaggio Globale?

A Torino, proprio in occasione del G7 sull’industria si è discusso di questi temi per cercare di condividere delle soluzioni che possano arginare la tragedia di una diminuzione di posti di lavoro colossale e socialmente ingestibile.

Jacobstein ha qualche idea in merito: “Il modo in cui ci trasformeremo dipenderà da come vorremo cambiare, da quali limiti ci porremo. Un esempio? L’Intelligenza Artificiale, fra 30 anni se lo si volesse, potrebbe sostituire del tutto l’essere umano in una grande quantità di lavori. Il punto focale è: lo vogliamo davvero? E se sì, in che modo si potrà mantenere la stabilità sociale?”.

Nasceranno nuove figure – continua Jacobstein – ma non in misura equivalente al numero dei posti di lavoro spazzati via da questa innovazione. I posti a disposizione saranno molti di meno. L’unica soluzione possibile è quella già ipotizzata da Bill Gates: un reddito universale! Ogni governo dovrà usare la ricchezza creata dall’Intelligenza Artificiale e redistribuirla in maniera adeguata a chi perde il lavoro”.

Dunque un progetto che riprende quanto citato da Pickett due mesi fa sulla base delle riflessioni e delle provocazioni di John Thornhill: le aziende che in questa trasformazione vedranno un’occasione di grandi profitti dovranno sentire la responsabilità sociale di canalizzare una parte di tali proventi verso quelle fasce sociali che saranno colpite da tale rivoluzione. Dovranno avere la consapevolezza che la convivenza civile nel mondo si potrà raggiungere, e questa è una vecchia convinzione di Pickett, soltanto attraverso un’opera di redistribuzione di tali valori su tutta la scala sociale, da parte dei singoli governi e dell’intera comunità internazionale. La tesi di Neil Jacobstein va meditata e approfondita: d’altronde fu proprio il professore americano della Singularity University ad anticipare per primo alla Kodak di cambiare modello di business, molti anni fa, per non rischiare di essere travolta dalla rivoluzione digitale. Allora Jacobstein fu considerato una Cassandra capace soltanto di preconizzare scenari eccessivamente pessimistici. Cerchiamo almeno oggi di non ripetere la stessa esperienza.

L’ottimismo di Acosta ci dà un po’ di speranza prospettica ma lo strumento del reddito di cittadinanza ci può offrire davvero la certezza di una soluzione economica e sociale da utilizzare in quella fase di transizione dall’attuale modello industriale a quello nuovo partorito dall’Intelligenza Artificiale. La fase più difficile quella nella quale ci troviamo oggi e in cui dobbiamo darci, come priorità non negoziabile, il mantenimento di una coesistenza civile e pacifica tra i cittadini.

 

Comments (1)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    2 Ottobre 2017 at 12:12

    Estremamente interessante e sconvolgente, certamente né i nostri governi, né i ministeri, né le università,, sono preparate per questa sfida epocale, abituati come sono a seguire gli eventi, piuttosto che anticiparli

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