La domanda finisce per essere sempre la stessa. Un mantra ossessivo e apparentemente senza soluzioni. Come possiamo immaginare di rendere economicamente sostenibile un modello di convivenza tra i cittadini del Villaggio Globale (i) con un tasso di disoccupazione in aumento a causa della rivoluzione dell’intelligenza artificiale; (ii) con una crescita ridotta e comunque a beneficio dei “soliti noti” già ampiamente agiati; (iii) con risorse pubbliche minori rispetto al passato e spesso sprecate?

Il reddito di cittadinanza è stato ed è ancora al centro del dibattito politico ed economico come una possibile opzione per pianificare almeno una speranza per un momentaneo sostentamento ai poveri, ai disoccupati o ai mai occupati.

Il confronto, almeno in Italia, ristagna anche e soprattutto per le stime dei costi necessari a mettere in piedi un simile strumento sociale. Rimbalzano sui media cifre drammaticamente diverse: dalle decine di miliardi di euro a ipotesi più ridotte, molto poco convincenti però, con importi ad una sola cifra. In Finlandia stanno sperimentando un modello innovativo e aspettiamo tutti di capirne i primi risultati. In Danimarca, da anni, è in vigore una specie di assegno di disoccupazione, a termine, collegato ad efficienti modelli paralleli di formazione e replacement degli addetti usciti traumaticamente dal mondo del lavoro o mai entrati. Dobbiamo ricordarci anche che sono molto severe le sanzioni per coloro che aggirano i divieti e speculano su tale contribuzione pubblica.

In questo contesto confuso, ansiogeno, oggettivamente complesso, sul Financial Times del 8 agosto, John Thornhill, nella sua rubrica periodica sul mondo delle tecnologie, ha lanciato una provocazione forte e suggestiva. Una proposta operativa che potrebbe davvero dare inizio ad un circuito virtuoso mirato ad uscire dalla spirale ossessiva del mantra citato e irrisolto.

Facendo leva sulla recente scelta di Mark Zuckerberg di accreditarsi non solo il ruolo di grande protagonista dell’industria del Web (dato questo incontestabile visto il successo incredibile di Facebook sia come numero di follower connessi sia come livelli di profittevolezza) ma anche di imprenditore sensibile ai temi collegati alla responsabilità sociale; a farsi carico, cioè, della risoluzione dei problemi economici dei “meno fortunati”; Thornhill chiama in causa l’amministratore delegato di Facebook proponendogli una sfida innovativa, anche se, come vedremo, già positivamente sperimentata proprio sul terreno della social impact innovation.

Qual è il ragionamento sviluppato dal giornalista inglese sulle colonne del FT? Thornhill richiama un virtuoso modello ideato e utilizzato in Alaska (quindi in uno degli Stati Uniti d’America) circa 40 anni orsono. Nel 1976, in piena crisi petrolifera e prima del boom degli anni ’80, i cittadini votarono un emendamento costituzionale che prevedeva l’istituzione di un fondo di investimento pubblico interamente finanziato dai proventi del petrolio: The Alaskan Permanent Fund (“APF”). Nel giro di pochi anni, l’APF, grazie alle entrate del petrolio, incominciò a redistribuire importanti dividendi a tutti i residenti dello Stato americano. Da 800 dollari fino a 2000 dollari circa all’anno per ciascun abitante residente in Alaska. Una cedola pagata dallo Stato ai cittadini senza una contropartita contributiva. Erogata per il solo fatto di essere residenti nello Stato.

Le parole magiche del progetto furono tre: Universal Basic Income. Un’entrata di base per tutti. Il successo del progetto, promosso e sostenuto sia dai repubblicani sia dai democratici, fu incredibile sia dal punto di vista politico sia sociale. In una recente indagine telefonica, realizzata quindi a distanza di oltre 40 anni dal lancio del fondo, i cittadini dell’Alaska hanno descritto l’APF come un’iniziativa straordinaria, socialmente equa, corretta nella distribuzione delle risorse, utile per le famiglie bisognose. Non demotivante o disincentivante per la popolazione. Il 58% degli intervistati ha addirittura dichiarato di essere pronto a sostenere un aumento della pressione fiscale pur di mantenere operativo l’APF anche in presenza di un mercato del petrolio asfittico ed a prezzi molto bassi rispetto al passato.

L’Alaska, che non è certo uno degli Stati americani più floridi, grazie all’APF viene considerato uno degli Stati americani più equi economicamente e con un tasso di povertà bassissimo.

Thornhill, a questo punto, spiegato il caso dell’Alaska, ha chiamato in causa direttamente Mark Zuckerberg. Il giovane tycoon americano aveva appena rilasciato un’intervista in cui, dopo aver visitato l’Alaska, disse letteralmente: “Questa è una lezione importante per il resto del Paese”. In più, ha sottolineato sempre il columnist del FT, Zuckerberg, negli ultimi mesi, ha assunto una pubblica responsabilità di trovare soluzioni contro il dramma della crescente disoccupazione originata dalle nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale e dei robot. Il gossip americano ha incominciato anche a parlare di una candidatura di Zuckerberg alla Casa Bianca già in vista della prossima scadenza elettorale.

Ecco, dunque, la “minestra” servita per l’amministratore delegato di Facebook!

Invece di ragionare sulla finanziabilità di un reddito di cittadinanza generalizzato e basato su nuove forme di fiscalità gravanti sulle proprietà immobiliari o sulle transazioni finanziarie (due opzioni allo studio in molti Paesi del Villaggio Globale), proviamo, ha scritto Thornhill, a concentrarci sul nuovo petrolio di oggi: i Big Data. Una risorsa in grado di generare ricavi enormi che Zuckerberg conosce e maneggia benissimo.

Chi meglio di Mark potrebbe oggi lanciare il Facebook Permanent Fund con le stesse finalità del fondo dell’Alaska, attingendo le risorse proprio dai profitti derivanti dalla gestione e valorizzazione economica dei nostri dati personali, acquisiti da Facebook gratuitamente! Già, perché gli straordinari profitti realizzati dai cinque / sei grandi giocatori del mondo del Web derivano proprio dallo sfruttamento e valorizzazione commerciale di una materia prima che gli abbiamo regalato noi quasi senza accorgercene: i nostri dati personali, la nostra privacy, le nostre abitudini / attitudini di acquisto e di consumo.

Zuckerberg, ha aggiunto Thornhill, darebbe contenuto alle sue retoriche promesse (magari, aggiungiamo noi, conquistandosi anche la Casa Bianca) e potrebbe fare da traino con i suoi “colleghi” di Amazon, Google, Microsoft, eccetera. Zuckerberg, fin dall’inizio della sua straordinaria avventura imprenditoriale parlò di impatto sociale, di attività di impresa doverosamente mirata a obiettivi di rilevanza sociale per tutti, soprattutto per i meno fortunati.

Ecco la grande opportunità di dare le gambe a tali affermazioni. Ogni click su Facebook contribuirebbe ad un grande risultato in termini di impatto sociale sulla comunità.

“We should explore ideas like universal basic income to give everyone a cushion to try new things” disse ad Harvard Zuckerberg, lo scorso mese di maggio, quando ricevette la laurea honoris causa da quell’università che aveva frequentato senza laurearsi (un discorso, quello di Zuckerberg ad Harvard, che è stato oggetto di uno specifico contributo di Pickett tre mesi orsono).

Thornhill chiude il suo pezzo con: “Molto giusto Mark: comincia tu!”. (“Quite right, Mark: give it a go!”).

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