In un momento dell’anno di pensieri, bilanci, rivisitazioni, progetti, sfide, nuovi traguardi … insomma di un tagliando delle nostre vite, Pickett vi socializza 3-temi-3 originati proprio dalle esperienze di questi giorni di festa e di raccoglimento.

Ve li propongo così come mi si sono palesati davanti agli occhi, “figli” di letture, osservazioni, anche di “rospi” che si aggiravano nel mio stomaco.

Dopo averveli raccontati, vi sfiderò anche ad un gioco. Ad una provocazione intellettuale e comportamentale. Perché, qualora condividessimo l’analisi, invece di fermarci al ruolo di semplici fotografi dell’esistente, dovremmo anche cercare opzioni alternative. Proposte costruttive. Soluzioni, magari, a prima vista, fastidiose e lontane ma connotate dalla parola  magica “possibili” che dovrebbero stimolarci a muovere le idee e i progetti in tale direzione.

Il “nostro” Natale: Pickett è reduce dai tradizionali pranzi natalizi, occasione per gustare leccornie, guadagnare qualche chilo, scambiarci i regali.

Soprattutto stare insieme qualche ora con altri umani, spesso parenti o amici stretti, che non vediamo quasi mai o molto poco negli altri 364 giorni dell’anno. Queste occasioni, che personalmente ritengo bellissime, affettuose e interessanti per riallineare gli “stati avanzamenti lavori” delle nostre vite con persone a cui teniamo senza avere grandi frequentazioni, hanno anche un altro risvolto. Ma non voglio contaminarvi con il mio pensiero. Sono stato educato e ho partecipato con entusiasmo e passione a vivere sempre il Natale come una festa unica e magica, certo, da bimbo per i regali, Babbo Natale e/o Gesù bambino, ma anche per star e in mezzo alle persone che sentivo mi volessero bene e fossero felici di vederci davanti ad un Presepe o sotto un albero pieno zeppo di palle colorate. Detto ciò, ho spesso ascoltato alla vigilia di un qualsiasi Natale passato, commenti del tipo: “Che barba queste tradizioni non più sentite!” “Il consumismo ha rotto la magia sentimentale del Natale rendendolo un puro e meccanico scambio di gadget più o meno graditi!” “Che fatica dover partecipare a cene natalizie con gente noiosa e “lontana” “Che incubo dover fare i regali all’ultimo momento perché … bisogna farli!”. Ho letto anche la solita, fastidiosa ma cinicamente illuminante provocazione di Vittorio Feltri “Questi Natali mi hanno rotto i coglioni! Incontro a casa mia per la solita cena natalizia gente che non ho mai visto e in più i miei figli, senza dirmi niente, mi svuotano il frigorifero!”.

Mi fermo qui perché penso che l’elenco sia non risolutivo ma esaustivo. Uno strazio! Umano, sentimentale, affettivo. Un’offesa alla nostra dignità di umanoidi. Ed ecco allora una proposta per invertire il trend. Un farmaco contro questa presunta (mi rifiuto non soltanto di condividerla ma di approfondirla) fastidiosa e pesante tradizione divenuta, a detta “loro”, un contenitore svuotato di ogni sentimento vero, umano e affettivo.

Il vero protagonista o meglio i veri protagonisti del Natale sono i bambini. Sono loro che lo aspettano, se lo sognano, lo immaginano, lo vivono in diretta con sguardi felici, sorrisi illuminanti, danze, grida di gioia. Ma allora perché non ci concentriamo su di loro? Condividiamo preliminarmente il punto dove mettere l’asticella (18 anni? Perché no, anche solo per pigra comodità: va bene, ma anche un’età inferiore potrebbe andar benissimo lo stesso) poi stabiliamo una nuova Regola del Gioco: i regali si fanno solo agli under 18; agli altri, over 18, solo a discrezione del donante senza vincoli o obblighi di sorta.

I soldi risparmiati abbiamo migliaia di soluzioni per spenderli in modo più virtuoso magari proprio per quegli under 18 meno fortunati e  magari del tutto sconosciuti.

Inoltre togliamoci dalla bocca quei commenti stanchi e deludenti circa gli impegni natalizi e culinari. Se non siamo consapevoli della fortuna e della ricchezza di non essere soli, almeno dimostriamo il buon gusto di non criticare chi ci accoglie affettuosamente a casa sua per vivere il Natale con noi. E ‘ un tema anche di rispetto e di educazione. L’opulenza ci ha dato probabilmente alla testa anche in tema di relazioni sociali. Proviamo a porci l’interrogativo di come vivano gli umani che trascorrono il Natale da soli, non per scelta ma per necessità. Poi forse cambieremo i nostri pensieri e soprattutto i nostri comportamenti!

Il lavoro ci sarebbe ma domanda e offerta non si “parlano”

Gli ultimi dati del mercato del lavoro in Italia parlano chiaro. La ripresa esiste, le imprese riassumono dipendenti. Però … però mancano le competenze richieste. I profili di cui ha bisogno l’azienda italiana che vuole competere nel mercato globale. Chi sono le principali vittime di questa surreale scenario? Proprio i giovani, quelli che più recentemente hanno finito il loro ciclo formativo e si sono presentati ai “blocchi di partenza” per iniziare a lavorare, non trovando un posto non per la crisi ormai apparentemente superata, non per la non competitività del nostro sistema industriale, ma perché hanno scelto male o, meglio, sono stati indirizzati male nella scelta del percorso di accompagnamento per apprendere un certo mestiere o una certa professione. Il mercato ha bisogno, per esempio, di ingegneri elettronici e informatici? I nostri giovani si formano per fare professioni diverse: avvocati, architetti e giornalisti. Una situazione assurda, trasversale su tutta la filiera dei mestieri, dai più specializzati e sofisticati ai più semplici e tradizionali. Come è possibile? Il mondo della scuola “parla” troppo poco con il mercato, con le imprese, con il mondo della produzione e dei servizi. Questa generalizzata incomunicabilità porta a questa paradossale situazione, fotografata proprio in questi giorni sui giornali italiani “Quest’anno su quasi 4,1 milioni di posti di lavoro offerti dalle imprese – scriveva nei giorni scorsi Paolo Baroni su La Stampa di Torino – ben il 21,5%, ovvero quasi 880 mila posizioni è risultato di difficile reperimento. L’aumento rispetto al 12% del 2016 è netto ma è ancora più marcato nel settore dell’industria dove il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è addirittura raddoppiato (passando da 13,3% al 26,6% con ben 317.300 posizioni difficili da coprire). In totale quest’anno le imprese italiane hanno cercato 467.000 dottori e 1.415.000 diplomati”. Il rapporto Union Camere – Anpal propone, a sua volta, questa fotografia della situazione: “Una fetta consistente delle professionalità richieste sia per un gap di offerta che di competenze, risulta di difficile reperibilità: parliamo di un posto su tre destinati ai laureati e di un posto su cinque appannaggio di diplomati. In tutto 441.000 posti che risultano introvabili o quasi … nel corso del 2017, stando ai dati presentati al Job & Orienta di Verona le impresa hanno fatto fatica a trovare un laureato su 3, cioè 150.000 figure complessive.

Pickett si permette una considerazione talmente semplice e deludente da poter apparire banale ed inutile. Non basterebbe, forse, far sedere ad uno stesso tavolo (magari legati e senza cibo!!!!) i rappresentanti del MIUR, della Confindustria e aggiungiamo noi, delle imprese “bisognose” di addetti idonei alle loro necessità competitive, con l’obiettivo di costruire una piattaforma, anche digitale, che faccia incontrare davvero, e subito e in modo efficiente, chi ha bisogno “domani mattina” di un perito elettronico e chi quel diploma lo ha preso, magari con grandi sacrifici della famiglia, ma se lo è incorniciato sul comodino da notte perché nessuno lo ha mai chiamato né tanto meno assunto? Da quel tavolo di lavoro i partecipanti si potranno “alzare” soltanto dopo aver innescato un modello virtuoso e pragmatico per ovviare ad una situazione grottesca e sicuramente risolvibile.

Il bio testamento: una conquista di libertà o un vincolo inaccettabile?

Pickett per educazione e cultura considera la nuova legge una conquista di civiltà. Una norma che, in uno stato laico e non confessionale, deve esistere offrendo a tutti la possibilità (non l’obbligo) di predeterminare le proprie volontà in materia di “fine vita”. Una norma che riconduca alla portata di tutti, e non solo a quelli che se lo possono permettere, il diritto di scegliere le modalità di assistenza sanitaria che gli verranno applicate in caso di incapacità totale in quel momento tragico delle nostre esistenze.

La chiesa ha reagito violentemente all’emanazione di tale legge. Ha gridato, all’unisono, il suo disappunto, il suo dolore contro una norma che lede la dignità dell’essere umano e tradisce i principi del Vangelo. In più, sempre secondo la posizione della Chiesa romana, viola anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, dove si legge “Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.”

Il punto chiave di tale posizione critica, a quanto Pickett ha potuto finora comprendere, non risiede tanto nel razionale che ha spinto il legislatore a codificare tale disciplina, bensì nella scelta di responsabilizzazione del medico curante al momento dell’esecuzione delle disposizioni testamentarie quando il testatore non sia più in grado di intendere e volere.

In altre parole, se il testatore ha scritto che, qualora versasse in certe condizioni di salute ormai irreversibilmente destinate alla morte, il medico dovrà adottare quegli interventi specifici mirati ad evitare un accanimento terapeutico inutile e doloroso, il medico, sempre secondo la posizione critica della Chiesa Cattolica, anche negli ospedali o cliniche private, non potrebbe sottrarsi a tale obbligo invocando, come in altri casi analoghi, l’obiezione di coscienza. L’assenza dei Regolamenti Attuativi ci impedisce, allo stato, di avere un quadro normativo completo e chiaro sulle procedure previste e, in particolare, sul perimetro di autonomia del medico curante in quel tragico momento per i destini del paziente.

Pickett, nel pieno ed assoluto rispetto delle opinioni etiche e religiose più diverse e disparate su questo delicatissimo tema, si permette una riflessione più cauta e meno preoccupata rispetto a quella manifestata dai vertici della Chiesa Cattolica.

Il medico curante è sempre stato il “driver” delle scelte terapeutiche da adottare nel “fine vita”. A lui si sono sempre rivolti con fiducia e speranza i parenti del paziente non cosciente e non in grado quindi di prendere decisioni autonome. Il medico, in ogni caso, deve sottostare al giuramento di Ippocrate (IV secolo a.c.) quella carta che ha sancito nel corso dei secoli i doveri etici e professionali di coloro che scelgono la complessa e spinosa professione del medico, del dottore cioè della comunità degli umani. L’incrinarsi, sull’onda delle mode anglosassoni, del rapporto fiduciario tra medico-paziente-parenti del paziente, non sta facilitando il consolidamento di un clima di rispetto e stima tra le parti di questo scenario. Anzi!

Pickett crede però che uno stato laico debba offrire a tutti i suoi cittadini la possibilità di scelta, proprio in materie sensibili come questa. Nessuno è obbligato, ma chi lo desidera può pianificare il suo “fine vita”, l’accompagnamento verso la morte, come crede, senza dover andare all’estero per poter soddisfare le sue scelte. Ai medici si chiede assistenza, supporto, professionalità e umanità: non sudditanza! Un aiuto a capire il percorso terapeutico più idoneo per il raggiungimento delle proprie volontà. Non altro! Non ci devono essere, ad avviso di Pickett, obblighi e quindi sanzioni in caso di inottemperanza da parte del sanitario alle disposizioni contenute in un testamento biologico. Al diritto di redigere il cosiddetto bio testamento deve corrispondere il diritto di un medico che opera in un ospedale o in una clinica privata a dire no, non lo trovo giusto e in linea con i miei principi etici.

“Ci deve essere sempre proporzionalità nelle decisioni del medico – ha detto recentemente Padre Carmine Arice, il Padre Generale del Cottolengo di Torino – noi non siamo contro questa legge in modo pregiudiziale, ma siamo molto critici sulle modalità esecutive previste dalla norma. La più grave? L’impossibilità per il medico che opera in una struttura privata di eccepire l’obiezione di coscienza: il suo no alle disposizioni contenute nel bio testamento. Ci auguriamo che i decreti di attuazione modifichino tale passaggio che, in caso contrario, ci costringerà, assumendoci le nostre responsabilità legali di fronte alla legge, di non accettare tale vincolo nei nostri ospedali. Tale vincolo costituisce a nostro avviso un inammissibile divieto al manifestarsi delle nostre coscienze”. Fin qui Padre Arice.

A Pickett, ripeto alla luce dello stato attuale della formazione legislativa (i Regolamenti Attuativi costituiscono a volte e forse troppo spesso, il cuore dispositivo della norma; il suo diventare efficace o meno, condivisibile o criticabile) sembra che ci possano essere i margini per una mediazione virtuosa che salvi i due diritti che si contrappongono: il diritto di ogni singolo cittadino di poter scegliere le regole dell’accompagnamento del suo “fine vita” e il diritto di ogni medico, che opera in strutture private, di potersi rifiutare sempre, dentro i principi scritti da Ippocrate, di eseguire disposizioni testamentarie contrarie al suo sentire etico, umano e professionale.

Un felice 2018 a tutti, prosperoso e pieno di progettualità virtuose.

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