Alla domanda se sia più difficile per l’essere umano gestire una vittoria o una sconfitta, non ho mai saputo rispondere in modo netto, con le idee chiare. Sicuro della mia posizione. Ho avuto troppi esempi personali e di terzi, amici o meno amici, che mi hanno dimostrato quanto sia possibile e incluso nella indole umana rovinare una vittoria con una gestione del “post” arrogante e presuntuosa o valorizzare una sconfitta con capacità di lettura e di ripresa inimmaginabili.

Come mai, mi chiedo, un valore positivo come quello di vincere una certa sfida, non solo in campo sportivo ma nella vita in senso ampio, può essere offuscato da una nostra incapacità di gestirne le conseguenze? Come mai, mi chiedo ancora, un valore negativo come quello di perdere una certa sfida, anche in questo caso non solo nello sport ma nella vita, può diventare un bivio tra lo sprofondare in una depressione difficile e solitaria e il riemergere sapendo leggere l’accaduto con rude franchezza e fare in modo che non accada più?

Pickett ha provato a rifletterci sopra stimolato da una ricerca dell’amico Pietro Paganini che nel suo blog “PNR Paganini non ripete” ha sviscerato il tema mettendo le mani nelle matrioske più profonde che ciascuno di noi fa fatica ad aprire e studiare. Paganini affronta la questione partendo dalla politica. Dalla sconfitta del PD in Sicilia ma usando poi questo esempio che ci deriva dall’attualità come paradigma per discendere negli “inferi” delle nostre coscienze.

“Tutti noi – scrive Paganini – abbiamo subito una sconfitta. Tutti noi abbiamo reagito diversamente ma sostanzialmente in due modi: l’annichilimento individuale; la ripartenza.

Anche i Titani furono sconfitti dagli dei – continua PNR – perirono da eroi secondo la logica romantica per cui l’uomo-superiore, immolandosi per la sua causa, propende all’infinito e quindi all’assoluto. Manzoni ai travagli dello Sturm und Drang germanico preferì, da buon democristiano, la più umile e furba provvidenza. La sostanza non cambia. Nella cultura occidentale la sconfitta è il segno della fallibilità umana e allo stesso tempo il momento della sua rinascita. Persino nostro Signore è fallibile nel momento in cui consegna all’uomo il libero arbitrio consentendogli di peccare. L’approccio meccanicistico di vittorie sconfitte impone un’idea fissa del mondo che poi è quella religiosa o ideologica, come nel caso ideale del romanticismo di cui sopra. Così, vincitori e vinti, si è davanti ad un modello fisso, che certamente è una convenzione che risponde a un’esigenza oggettiva, ma che allo stesso tempo annichilisce l’azione del singolo soggetto, appunto sconfiggendolo. Da qui le teorie motivazionali per cui rispetto ad un parametro si può ripartire per fare meglio. La motivazione è la soluzione? La motivazione sostiene l’individuo aiutandolo a trovare le risorse interne per diventare un eroe. Ma come per i Titani, c’è sempre qualcosa rispetto a cui si è sconfitti. Nel liberalismo – continua PNR – vi è la risposta perché l’idea di sconfitta non esiste. Esistono prove ed errori che non sono né un punto di arrivo né la fine. Al contrario sono tappe verso la verità, cioè la comprensione di ciò che affrontiamo di volta in volta affidandoci al metodo sperimentale. Le regole della convivenza sono il prodotto del continuo processo di prova. La democrazia è un passaggio. L’esito elettorale non è infatti il momento per decretare i vincitori e gli sconfitti ma per valutare i risultati di ciò che è stato fatto e per muoversi sulla base di questi tenendo quanto di buono ottenuto e scartando il resto. Non vi è violenza nella convivenza, infatti. La sconfitta invece è un termine etimologicamente riconducibile alla guerra, appunto al momento in cui viene conficcata nello sconfitto l’idea altrui.”

Pickett aggiunge a questa analisi complessa ma interessante alcune sue riflessioni-esperienze personali e di gruppo. La vittoria è il sale dello sport e della vita: quella che ti spinge a fare i sacrifici, a rinunciare a delle cose, a farti provare cosa voglia dire avere l’adrenalina che scorre impetuosa nel tuo corpo. Ti fa provare il senso della superiorità agonistica e professionale. Ti aiuta a consolidare il senso di sicurezza, di adeguatezza, di diritto a giocare la tua partita sportiva e non nella vita. Se vissuta con superficialità, arroganza e presunzione, rischia però di buttarci in un circuito, alla lunga nevrotico, in cui ti credi un superuomo, un essere umano più dotato degli altri esseri umani, un vincente nel senso che può concedersi di tutto. Un vincente, e qui “casca l’asino”, direbbe nostra nonna, che presume di potersi impegnare meno, o addirittura poco, tanto la vittoria arriverà lo stesso perché lui la merita essendo il più bravo… a prescindere!

Un disastro psicologico e umano, con effetti devastanti anche per la comunità dove vive il “vincente”.

La sconfitta ti può portare invece sull’orlo del burrone dell’insicurezza e dell’autostima. Può farti “ribaltare” mettendo in dubbio le tue capacità, il tuo posizionamento, le tue ambizioni, la tua stessa sicurezza nel futuro. Può anche, se vissuta con cinismo e franchezza davanti al proprio specchio, permetterti però una salutare pausa di riflessione, un momento di auto analisi fondamentale per una ripartenza virtuosa.

In entrambi i casi, dunque, davanti ad una vittoria o ad una sconfitta, non conta tanto il risultato, il verdetto finale ma come noi ne approfittiamo per fare un tagliando del nostro cantiere interno di vita e di qualità di vita con noi stessi. Una straordinaria opportunità per sentire il polso del nostro stato di salute “dentro” per un piccolo-medio-grande esame di coscienza. Un’avvertenza che Pickett usa utilizzare sempre con grande violenza, anche su se stesso: la lettura deve essere vera, spietata, cinica anche eccessivamente critica. L’importante è che non sia consolatoria, comprensiva, mirata a rimuovere le cause che hanno determinato il risultato, positivo o negativo che sia, senza capirne fino in fondo le ragioni.

Perché tutto ciò avvenga, non dimentichiamolo mai, bisogna però partecipare. Bisogna coinvolgersi nella vita, come nello sport. Con impegno, determinazione, professionalità, passione, energia e curiosità.

Avendo la salute dalla nostra parte ( questo è l’unico asset immateriale pregiudiziale a tutto il resto: non dimentichiamo mai anche questo! ) il non farlo costituisce una responsabilità. Ad avviso di Pickett grave, soprattutto per noi stessi. Non si può stare sempre “sul balcone” a giudicare dall’alto gli altri. Bisogna scendere in campo. Provarci per quanto possiamo e dobbiamo. Pronti a vincere o a perdere quella partita sapendo però di avercela messa tutta. Pronti a ricominciare il giorno dopo avendo letto con lucidità le cause del successo o della sconfitta, con umiltà e proattività.

E poi, ancora, sempre con il sorriso, vero e non sarcastico, sulle labbra.

Tutto ciò condito con una sana e lucida auto ironia. Uno strumento fondamentale per non prenderci troppo sul serio … mai!!!!

Viviamo una straordinaria opportunità che abbiamo convenzionalmente denominato Vita: viviamola con entusiasmo, lucidità, senso della misura soprattutto in presenza dei passaggi che abbiamo denominato Vittoria e Sconfitta. I tagliandi per ricominciare sempre meglio, se vissuti con saggezza.

Comments (1)
  1. Raffaella (reply)

    21 Novembre 2017 at 11:25

    Caro Pickett,

    spero di non dispiacerti se, con il sorriso (vero) sulle labbra e senza la pretesa di essere presa troppo sul serio, aggiungo anche le mie sommesse considerazioni.

    In primo luogo il concetto di sconfitta e vittoria connota il pensiero dell’uomo bianco occidentale, che ha chiarissimo il significato di lotta per la supremazia, dalle Termopili a Wall Street. Laddove i termini della convivenza non si pongono in questi termini, anche i concetti di vittoria e sconfitta si scolorano. Penso, ad esempio, ai filosofi per i quali siamo sempre tutti sconfitti perché prima o poi moriamo tutti. Penso anche alle culture animiste dove il flusso vitale è tutto un fondersi ciclico.

    Ma il mio scopo qui non è una dotta dissertazione filosofica bensì una molto più umile citazione di Marco Cattaneo, direttore della prestigiosa rivista scientifica Le Scienze, versione italiana della ancor più prestigiosa rivista americana Scientific American. La trovi nel numero tuttora presente in edicola del Novembre 2017, pag. 7. Per tua comodità, la riporto qui sotto:

    A volte non le facciamo nemmeno nascere. Se nascono, non le mandiamo a scuola. E se vanno a scuola spesso si fermano prima dei loro fratelli. Poi, non le facciamo lavorare, ma anche quando lo fanno siamo disposti a pagarle meno di quanto riconosciamo ai maschi, a parità di incarico. E una volta che riescono a inserirsi nel mondo del lavoro, anche con una formazione di eccellenza e qualifiche importanti, difficilmente arrivano ai vertici , tanto nelle aziende quanto in università.

    Il numero speciale della rivista di Novembre si intitola sinteticamente “Non è un mondo per donne” .

    In conclusione, richiamo la tua attenzione sul fatto che sussiste una metà del genere umano abituata a gestire le sconfitte con una capacità vitale tale che l’umanità continua a riprodursi e a progredire, nonostante tutto. Per tutte loro il problema di gestire le vittorie è un problema assai raro, ma non per questo cedono. E spesso, ti posso assicurare, non hanno neppure la forza di sorridere. Ma una cosa è certa: sanno leggere con lucidità le cause del successo (raro) o della sconfitta (frequentissima), con umiltà e proattività.

    Secondo i tuoi schemi, si potrebbero additare ad esempio; che ne dici?

    Ti ringrazio per l’attenzione

    Raffaella Pavani

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.