A maggio 2019 l’Europa idealmente nata a Ventotene, da spiriti liberi e lungimiranti, rischia di sfracellarsi contro:

  • La lunga austerità voluta e pervicacemente perseguita dalla Germania;
  • L’orgoglio di una Francia rivendicante primati che nessuno è disposto a riconoscere;
  • Gli esodi biblici dei migranti che mettono in gioco la loro vita perché solo quella gli è rimasta;
  • La inconcludenza degli Stati membri dell’Unione Europea che in 25 anni hanno solo incrementato il numero dei partecipanti e mai affrontato seriamente l’idea di una maggiore e reale integrazione.

Di fronte a questi scogli i 27 o 19 (a piacere), reagiscono in ordine sparso in assenza di una visione federale, confederale, unitaria, o qualsivoglia forma di aggregazione che desse senso politico alla parola Europa che resta una inconsistente espressione geografica non molto definita perché non è chiaro se la Russia sia da considerarsi Europa o no.

Siamo alla stretta finale, a maggio 2019 conosceremo quale Europa sarà partorita dalle urne:

  • L’Europa sovranista-nazionalista;
  • L’Europa liberal-socialdemocratica;
  • L’Europa di alleanze imperfette e forse pericolose.

Sarà la nuova maggioranza ,che si costituirà nel neo parlamento eletto, a nominare:

  • La Commissione Europea;
  • Il Presidente della Commissione Europea;
  • I Commissari responsabili dei vari Dossier.

Fermo restando che tutte queste nomine dovranno essere concordate con i capi di governo che faranno parte della maggioranza. A una lettura sommaria sembrerebbe che l’organo e le funzioni sopra elencate rappresentino il potere esecutivo dell’Europa, in altre parole il Governo. Purtroppo non è così perché i poteri della Commissione sono poteri di controllo e di indirizzo più altri marginali.

La Commissione Europea agisce all’interno di regole e leggi concordate e sottoscritte dai Governi dei paesi membri. In altre parole sono burocrati che come tali possono essere dannosi o meno in base alla loro sensibilità politica.

Il potere effettivo risiede nel Consiglio Europeo composto dai Capi di Stato e di Governo dei paesi membri, le cui decisioni possono essere prese per consenso, all’unanimità, a maggioranza qualificata. Spesso il Consiglio decide all’unanimità, il che vuol dire che non decide.

Il recente caso Orban è emblematico.

Orban è stato, con ampia maggioranza, screditato e sottoposto a critica durissima dal Parlamento Europeo, ma verrà salvato, quando sarà, da qualsivoglia sanzione il Consiglio Europeo volesse comminare, dal veto della Polonia. Sparare a palle incatenate contro la Commissione Europea, il Parlamento Europeo è esercizio propagandistico perché non sono loro che determinano la politica Europea.

Se i polacchi si oppongono alle sanzioni a Orban la Commissione e il Parlamento non c’entrano, se Macron non apre i porti francesi la Commissione e il Parlamento non c’entrano; Se i paesi Visegrad trincerano i loro confini con filo spinato, la Commissione e il Parlamento non c’entrano.

Dal 1993 ad oggi l’Europa non ha mai svolto il ruolo e la funzione che a Ventotene fu immaginata e questo perché i singoli Stati non hanno mai preso in considerazione la devoluzione di sovranità a un potere centrale fondato su una Costituzione che i francesi respinsero con relativo referendum.

In definitiva siamo cresciuti in un Europa dove i capi di governo si riuniscono per deliberare su dettagli mentre sui temi  di importanza strategica non c’è mai l’unanimità. Un gruppo dirigente ha torto quando si proclama unanime nel decidere qualcosa. Perché concede al singolo un potere di interdizione che blocca qualsiasi provvedimento.

Dopo 25 anni siamo all’anno zero. O l’Europa si incammina verso qualche forma di integrazione, o tornerà ad essere l’Europa delle nazioni con buona pace di tutti. In prossimità di questa svolta storica che in un modo o nell’altro avrà ricadute sulle future generazioni, la politica italiana che fa?

Mentre Salvini è in campagna elettorale da tempo e intesse alleanze con tutte le destre d’Europa, il campo di Agramante della sinistra si trastulla in diatribe personali. Il gruppo dirigente che ha guidato il PD, senza distinzioni di correnti, è ancora sotto choc per una sconfitta inaspettata nelle sue dimensioni catastrofiche. Nelle stesse condizioni si trovano tutti i soggetti del variegato mondo che dice di riconoscersi nella sinistra.

Il gruppo dirigente in questione è talmente autoreferenziale che non ha sentito il bisogno di fornire al 18% che lo ha votato un’analisi che spiegasse come sia stato possibile passare da partito di governo a insignificante minoranza parlamentare.

Nella vita reale i dirigenti sono ritenuti responsabili dei fallimenti che producono, nel PD sono ancora tutti alla ricerca di un nuovo posizionamento in previsione di un congresso del quale non si conosce la data e che forse neanche si farà. Qualcuno deve informare l’aeropago del PD che chi li ha votati quella analisi l’ha fatta o la sta facendo.

Si tratta di una analisi impietosa perché oltre che da errori strategici, emerge da elementi apparentemente banali come i continui cambi di nome. Tralasciando la storia del PCI, i nomi si susseguono con questa cadenza:

  • 1991  PDS
  • 1998   DS
  • 2007   PD

Neanche un prodotto di grandissimo successo avrebbe potuto sopportare lo stress di tre cambi di nome in 16 anni.

Qualcuno avrebbe dovuto prendere qualche lezione di marketing.

In 16 anni è scomparsa la parola sinistra per diventare un generico Democratico. Oggi chi non si dichiara democratico. Per un partito che fino al 1991 si era Chiamato PARTITO COMUNISTA ITALIANO è un bel salto logico. È dal 1991 che è iniziata la rincorsa al centro e un passo alla volta il PD è diventato un partito di centro, perdendo il contatto con il suo corpo elettorale storico.

È la storia secolare dell’Italia. Ci hanno riempito la testa che si governa al centro e ancora non si vuole capire che il centro, in Italia, quando deve scegliere, sceglierà sempre la destra. Che è quello che è avvenuto oggi come in passato. La lega che imbarca quelli di forza Italia. Il PNF che imbarcò i nazionalisti, i liberali, qualche popolare.

Come può il segretario  uscente del PD dichiarare che tra il sindacato e Marchionne lui sta con Marchionne? Libero lui di fare quella dichiarazione, ma è una scelta di campo e il campo non è quello della sinistra.

Se vuoi rappresentare la sinistra e dialogare con il centro devi farlo mettendo sul  tavolo le tue istanze e aprire un dialogo fatto di concessioni reciproche. Non puoi concedere l’abolizione dell’art. 18 senza niente di concreto in cambio, non puoi incentivare le assunzioni a tempo indeterminato. In definitiva se scegli la Confindustria come tuo referente è chiaro che avrai contro i sindacati.

Per non parlare della sicurezza che è stata completamente non presa in considerazione. E altro ancora. Sembra che di tutto questo nessuno voglia farsi carico e gli attori sono sempre gli stessi. Per quello che vale se rivedo le stesse facce non avranno il mio voto.

Per rimettere in piedi la sinistra occorre una specie di stati generali di tutte le anime che vagano in questo girone dantesco chiamato sinistra. Tutti con le loro istanze, le loro visioni di un mondo futuro ai più sconosciuto.

I temi su cui confrontarsi sono l’Europa, la condizione del lavoro con l’ingresso dell’AI, l’istruzione che peggiora sempre di più. Perché non istituire il MINISTERO della PUBBLICA EDUCAZIONE invece che istruzione? L’educazione contiene l’istruzione e non viceversa. La  giustizia, la pubblica amministrazione.

Il problema dell’immigrazione che si collega con l’invecchiamento della popolazione. E altro.

Immagino una grande Kermesse dove dal basso nasca la nuova governance che deve permettere a tutti di potere esprimersi e di essere rappresentato. Un consiglio direttivo, tanti council, in rappresentanza delle diverse anime, un segretario eletto dal consiglio direttivo che è composto dai rappresentanti dei council.

Non più un partito centralista, ma aperto e contendibile da tutti gli aderenti. Ciò detto il problema vero è che non c’è un leader all’orizzonte. Nella politica spettacolo di oggi la figura di un leader è imprescindibile.

Magari invece il leader c’è, si tratta solo di farlo emergere dagli stati generali. Così emersero i capi della rivoluzione francese: dagli stati generali.

 

 

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