Il primo che mi costrinse a riflettere sul Sorriso, fu un filosofo. Un veneto schietto e molto spontaneo. Aperto verso il mondo e profondo conoscitore dei suoi abitanti: noi!

Si chiamava Silvio Ceccato e negli anni 80 era un ospite saltuario delle trasmissioni televisive condotte da un giovane Maurizio Costanzo.

Nella media banalità degli interventi, mi colpì il suo dire. La sua modalità divulgativa, naturale, quasi familiare per noi utenti solo televisivi. Con un viso illuminato da due grandi occhi azzurri, buoni, incorniciati in una capigliatura folta, tutta bianca con una coltre di neve appena caduta sul terreno, trasferiva, con semplicità, concetti forti, apparentemente conosciuti ma mai esplorati fino in fondo, come lui sapeva fare con grande semplicità e naturalezza.

Quella sera, eravamo nel 1985, raccontò un episodio di vita quotidiana, paradigmatico proprio del valore straordinario di un Sorriso.

Nella sua Padova annegata nella solita, quasi ossessiva, nebbia autunnale, Ceccato aveva scoperto, o forse riscoperto, l’importanza di un sorriso per tutti quelli che lo ricevono. Ma, anche, per quelli che lo “regalano“.

Quella mattina presto, grigia, fredda, con la vista ridotta ad un lumicino, si vedevano gli umani che, a passettini veloci, si recavano a scuola o nei posti di lavoro. Soli, tristi, silenziosi, infagottati nei loro cappotti e nei loro pensieri nati durante un risveglio “pesante e faticoso” in un ambiente freddo ed inospitale.

Ceccato, da buon osservatore e innovatore, decise di sperimentare una anomalia comportamentale.

Iniziò, volontariamente e manifestatamente, a sorridere a tutte le persone che incrociava sul suo cammino. Un semplice sorriso: vero, caloroso, accattivante. Non sarcastico o presuntuoso. Naturale, affettuoso, pieno di virtuosa speranza.

Le reazioni dei “fortunati“ destinatari furono varie e differenziate. Alla fine, però, in quei pochi secondi di durata dei due sguardi e di quattro occhi che si incrociavano, tra sconosciuti, nasceva qualcosa. Dalla diffidenza, distrazione, chiusura menefreghista o causata da egoismo difensivo, quel sorriso illuminato e illuminante aveva scatenato una reazione. Difficile rimanere neutrale, chiudere gli occhi e procedere con il proprio passo, il proprio cammino. Facendo quasi finta di niente.

Rarissimi – raccontò Ceccato a Maurizio Costanzo – rimasero indifferenti. La maggior parte per istinto, piacevolezza, gratitudine, forse anche educazione, rispondeva con un sorriso. Magari piccolo, stiracchiato, quasi estorto dalla fascinazione dell’espressione di Ceccato, ma rispondeva. L’effetto domino emotivo era straordinario. Tante solitudini tristi e cupe diventavano improvvisamente sorridenti. In modo quasi magico o miracoloso, in una fredda mattinata nebbiosa padovana, degli sconosciuti si scambiavano, a volte per volontà, a volte per inerzia, a volte per puro spirito emulativo, un sorriso: un’apertura altruistica che segnava, in qualche modo, un interesse per l’interlocutore. Una speranza di essere meno soli.

Il gesto, l’espressione del volto erano diventati contaminanti. Vincenti. Cambiavano l’umore delle persone. Davano energia nuova. La visione della giornata cambiava prospettiva. Il bicchiere diventava “mezzo pieno“. E l’innesco di Ceccato si diffondeva rendendo meno grigia e triste la mattinata dei padovani.

Pickett ha sempre ritenuto il sorriso quasi una “precondizione“ della sua vita. Quasi non se ne potesse fare a meno. C’era sempre presente il ricordo di una frase tramandata dalla nonna materna al nipote maschio: “fino a quando le farai sorridere, le tue fidanzate non ti lasceranno mai.” L’autorevolezza della nonna Mercedes dava certezza “scientifica“ e certificata alla validità del metodo!

Il Sorriso era il “sette bello”, “l’asso di cuori”. L’arma della socializzazione. Il grimaldello per entrare in una comunità nuova e farsi accettare facilmente e piacevolmente. Anche, nei rapporti a due.

La conoscenza, anche se solo televisiva, di Silvio Ceccato, chiuse così il cerchio. Stavamo parlando e condividendo l’importanza di un asset psicologico fondamentale per la costruzione del nostro carattere. Per il diventare noi stessi. Per la nostra relazione con gli altri. Per vivere meglio, insomma! Meno soli e più inclusivi.

Perché dunque tornarci sopra oggi, in questa fine estate 2018? Proprio per quello che ci sta capitando intorno: un centrifugato di odio, rabbia, rancori e facce incattivite. Violenze fisiche e psicologiche. La Rete è lo specchio di questo nuovo e tragico “immondezzaio“ di negatività, stress, angosce, circuiti emotivi nevrotici e sempre foschi o pessimisti.

In queste tenebre (di qui lo spunto per questo contributo sul valore di un Sorriso) ci è giunto nei giorni scorsi un biglietto di auguri. Molto semplice e sobrio nel comunicarci un gesto d’amore e di riconoscenza. Dei vecchi amici di una comunità di recupero di tossicodipendenti della periferia torinese mi mandavano gli auguri per l’anniversario di un certo evento importante per la nascita e lo sviluppo dell’azione di recupero e salvataggio di molti giovani (gli ultimi dati, tra l’altro, nel torinese evidenziano un’impennata nell’uso di sostanze stupefacenti!) a cui Pickett aveva partecipato.

Ebbene quel biglietto era intitolato “la forza dell’amore dona nuova vita“ e conteneva un pensiero di un padre anglicano del 1800, Frederic William Faber (1814-1863), un grande e convinto sostenitore del pensiero filosofico relativo all’importanza di un Sorriso nella qualità dello “stare insieme” tra umani.

Ve lo  trascrivo in diretta. Leggetelo con calma, assaporando pensieri, situazioni, leggerezza e tanta tanta serenità.

Donare un sorriso rende felice il cuore. Arricchisce chi lo riceve senza impoverire chi lo dona. Non dura che un istante ma il suo ricordo rimane a lungo. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno né così povero da non poterlo donare. Il sorriso crea gioia in famiglia, da sostegno nel lavoro ed è segno tangibile di amicizia. Un sorriso dona sollievo a chi è stanco, rinnova il coraggio nelle prove e nella tristezza è medicina. E se poi incontri chi te lo offre sii generoso e porgigli il tuo: nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo.“

Dopo aver ragionato insieme a voi sull’importanza di una carezza; sul significato profondo di cercare di “tenerci per mano”, non potevamo non includere nel nostro Pantheon personale delle icone di una vita più felice da raggiungere, anche il Sorriso. Forse il più semplice tra questi tre gesti ma anche il più difficile da simulare. Da offrire agli altri se non è vero ma semplicemente “dovuto”.

Faber prima e Ceccato poi, in situazioni diverse, hanno però saputo fotografare alla perfezione uno strumento, forse troppo sottostimato da noi tutti, per migliorare l’umore e la qualità della nostra vita. Ciò vale sia  per il “dante“ sia per il “ricevente“.

Un’ultima annotazione, forse superflua: stiamo parlando di Sorriso, non di risata. Di affetto e di amore, non di, forse piacevoli ma diverse, risate “crasse“ , a “crepa pelle” come si usa dire. Sono due mondi diversi. Apparentemente vicini ma in realtà sostanzialmente lontani.

Comments (1)
  1. Enzo (reply)

    17 Settembre 2018 at 8:56

    Amico,amica, puoi usare tutti i mezzi di comunicazione
    social,tecnologica e digitale,
    ma se vuoi comunicare veramente al di là delle parole
    ricorri allo sguardo, al sorriso, al gesto di una mano,
    alle lacrime e al movimento del tuo corpo:
    solo così accenderai una relazione.

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