L’efficacissimo slogan (“Le Élite pensano alla fine del mondo, noi pensiamo alla fine del mese”) apparso sui manifesti dei gilet gialli di Parigi, evidenzia una realtà incontrovertibile. Esiste una frattura grave e profonda tra chi siede “nella stanza dei bottoni” e chi, sui marciapiedi della vita, si vede sempre più estromesso, impoverito e marginalizzato dal sistema.

Tra chi è deputato a gestire la Cosa Pubblica per conto dei cittadini non dimenticandosi mai di mantenere, nel contempo, una visione sul domani, e chi non ne può più di constatare, anno dopo anno, l’aumento della disuguaglianza tra ricchi e poveri, la distrazione totale della classe dirigente su questo tema, la diminuzione graduale del suo potere di acquisto di beni e servizi che rende la vita quotidiana più povera, senza speranze, indirizzata verso la miseria.

È sorprendente da questo punto di vista come tre diverse indagini (il rapporto della Fondazione HUME sul lavoro in Italia, l’ultimo rapporto OXFAM e le conclusioni dei due massimi esperti mondiali in materia di automazione e lavoro, gli economisti Brijnolfson e Hitt) convergono sul fatto che esista una frattura di un terzo e due terzi sia sul mercato italiano sia in quasi tutti i paesi ad alto reddito: “Dove il terzo degli altamente qualificati, cosmopoliti ed integrati, vede crescere la propria quota di salari, si sente cittadino del mondo ed integrato e saluta con soddisfazione la globalizzazione; mentre i due terzi vedono arretrare la loro quota di salari e vivono la globalizzazione come una minaccia.”

Da questa frattura, figlia anche di una insicurezza oltre che economica anche fisica, legata ai fenomeni del terrorismo islamico e della migrazione, si stanno avvantaggiando i partiti o movimenti, denominati, più o meno correttamente, Neopopulisti e oppongono soluzioni, o meglio, promettono ricette miracolistiche per risolvere i temi del “fine mese”, senza affaticarsi su una invece necessaria, ma più complessa e articolata, analisi di come avviare una revisione del modello di coesione sociale che dopo almeno settant’anni di crescita mostra di fare acqua in molte parti.

Dunque le Élite sono distanti dai problemi reali dei cittadini imbufaliti e i Neopopulisti sono tutti concentrati su interventi a breve – brevissimo termine per conquistare il consenso senza dover mettere le mani troppo nel fango della complessità prospettica, figlia della globalizzazione sfuggita di mano.

Bel problema, perché nessuno si occupa più e seriamente, senza scorciatoie dettate da Pensieri Brevi o da Presentismo, a come ripensare il nostro futuro individuando soluzioni che, ad esempio, ridiano un equilibrio al rapporto tra Economia e Società e tra Sviluppo e Democrazia, affrontino il tema della salute del Pianeta ormai boccheggiante, rilancino progetti “alti” e strategici per la pace e per il nostro futuro insieme, come l’Unione Europea e le Nazioni Unite.

Progetti che necessitano, a breve, di un nuovo slancio, di una sentita ri-condivisione dei valori originari, di nuove governance, di strumenti più moderni ed efficaci per affrontare le sfide del terzo millennio e delle rivoluzioni tecnologiche in atto. Con l’obiettivo di salvaguardare i diritti civili singoli e collettivi ormai acquisiti e di puntare sulla centralità dell’uomo anche e soprattutto nel nuovo mondo dei robot.

Bisogna immaginare infatti, a nostro avviso, un essere umano driver attivo delle trasformazioni in essere e non vittima lagnosa e passiva di un processo apparentemente inarrestabile e non disciplinabile.

Detto ciò, “qualcuno” e “qualcosa” si sta muovendo.

Dalle analisi alle proposte: il Forum Civico

Quattro protagonisti del mondo universitario ed economico italiano, Marco Bentivogli (segretario FIM – CISL), Leonardo Becchetti (professore di economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata), Mauro Magatti (docente di Sociologia della Globalizzazione presso l’Università Cattolica di Milano) e Alessandro Rosina (professore di Demografia nella facoltà di economia dell’Università Cattolica di Milano), hanno lanciato un Appello agli italiani che L’Espresso ha recentemente pubblicato.

Partendo dalla constatazione che un paese, non solo quindi l’Italia, non può unirsi soltanto individuando un “nemico comune” o cullandosi in aspettative irrealizzabili o puntando ad una decrescita felice (“la crescita disuguale non risolve i problemi”), i firmatari dell’Appello vogliono sottolineare il loro attuale sentire e cioè: “il dovere e l’urgenza in questo particolare momento storico di contribuire a costruire una visione diversa costruita su fondamenti più solidi. E sull’evidenza ormai nota nelle scienze sociali che illustra da diverse fonti e punti di vista e sulla base di milioni di dati e osservazioni, che la soddisfazione e il senso della vita dipendono dalla capacità di contribuire al progresso di altri esseri umani e della società.”

Gli autori credono che l’attuale sistema, pur avendo nel tempo creato progresso e prosperità, oggi vada rivisitato: “il modello economico vigente ci ha portato enormi benefici, ha sollevato dalla povertà mai come nel passato centinaia di milioni di persone nel mondo, ma ha elementi di forte squilibrio che devono aiutarci a capire questa protesta. Nelle regole del commercio, della finanza e della politica esso è chiaramente sbilanciato perché orientato al massimo profitto e al benessere dei consumatori, subordinando a questi obiettivi prioritari il tema fondamentale della qualità e dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente.”

I quattro firmatari dell’appello pubblico, immaginano che: “il mondo nuovo che dobbiamo costruire è più felice e ricco di senso di quello triste, rancoroso e ripiegato su se stesso della logica conflittuale sovranista…in questi anni abbiamo lavorato alle esperienze più promettenti della società civile che nel nostro paese hanno creato valore economico e buon lavoro rispettando l’ambiente: abbiamo imparato molto da loro. Le buone pratiche, gli innovatori, i laboratori e i cantieri a cui abbiamo partecipato ci hanno fatto scoprire una società e un’economia possibile che va oltre visioni anguste. Realtà che dimostrano concretamente che è possibile fare dell’accoglienza e della cooperazione una fonte di superadditività nella logica dell’1+1=3, perché chi riesce nella difficile arte del fare squadra produce risultati sociali ed economici superiori a quelli ottenibili lavorando da soli, o, ancora peggio, in perenne conflitto con tutti.”

Il nuovo modello di coesione sociale non deve più essere esclusivamente mirato alla creazione di profitti privati: “abbiamo trovato tante organizzazione sociali e imprese responsabili che hanno l’ambizione di avere un impatto sociale oltre al profitto e che lavorano dal basso per rendere la nostra società più bella e vivibile. Abbiamo sperimentato l’utilità di indossare occhiali nuovi per misurare il valore di queste esperienze; per misurare il ben-vivere attraverso tutte le sue dimensioni (crescita economica, ma anche salute, istruzione, qualità dei servizi, vita di relazione) e a utilizzare queste griglie di indicatori per misurare il vero valore economico e sociale prodotto.”

Bisogna infine ripartire dal basso, dalle comunità e dalle amministrazioni locali (come la vicenda del conflitto istituzionale tra alcuni sindaci e governatori da una parte e il Ministero degli Interni dall’altra, sul Decreto Sicurezza, ci sta dimostrando: la reazione è partita proprio dai sindaci!) “delle migliori pratiche di amministrazione locale, di cui il nostro paese è ricco, abbiamo scoperto – scrivono i quattro firmatari dell’Appello – che la via più solida è quella di un sistema a quattro mani dove a quella invisibile del mercato e visibile delle istituzioni benevolenti, si accompagnano la terza della cittadinanza attiva e la quarta delle imprese responsabili. Contro la tentazione della società del conflitto, che non crea valore ma che lo distrugge, abbiamo in mente la visione ricca di una società generativa, che crei le condizioni per ciascuno, anche per i più deboli ed esclusi. Di rimettersi in pista per poter contribuire al bene comune.”

Pickett è allineato sia sul metodo sia sul merito di questa proposta che vuole andare oltre la banalità strumentale della protesta. Su molti temi citati ci sarà da discutere, da confrontarci anche duramente, ma la strada indicata ci sembra quella giusta.

Siamo sicuri – questa è la conclusione dell’Appello – che, sforzandoci di spiegare bene al Paese le nostre ragioni, possiamo convincere tutti a partecipare a questo grande progetto di società generativa i cui germogli sui territori sono già presenti e visibili a occhio attento…sappiamo che possiamo farcela iniziando da una missione culturale e di comunicazione di questi nuovi contenuti e di questa nuova visione che ci deve vedere coinvolti. Troppi pensano solo alle elezioni, il deserto morale avanza e ci impone la necessità di pensare ad un orizzonte e un progetto umano più ampio e profondo. Come ha ricordato il cardinale Gualtieri Bassetti, serve una grande rete per l’Italia e per un futuro solidale Europeo. È il momento di un Forum Civico, che metta insieme tutto l’impegno sociale e civile. Siamo tutti convocati.”

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.