Nella storia dell’umanità il richiamo alla Sicurezza Nazionale è stato sterminato. Centinaia di volte le leadership al potere nei vari stati hanno evocato lo spettro di un nemico alle porte di casa per riuscire a coagulare consenso e spirito identitario. Vera o falsa che fosse la realtà!
Tutto normale, anzi virtuoso?
Ad avviso di Pickett no: il tema è delicatissimo. Molto più complesso e spinoso rispetto alla apparente e banale “chiamata alle armi” quando bisogna difendersi da “qualcuno” o da “qualcosa”.
Spesso, e la storia ce ne offre esempi eclatanti, il richiamo alla Sicurezza Nazionale è stato un abuso.
Uno strumento propagandistico mirato a consolidare il proprio potere, distraendo, nel contempo, il popolo dai veri temi prioritari da affrontare.
Queste considerazioni ci sono venute in mente ascoltando l’altra sera i nove minuti dello speech del Presidente Trump nella diretta diffusa da tutte le reti televisive americane con un grande battage pubblicitario.
Per giustificare il suo progetto da 5.7 miliardi di dollari necessari per la costruzione del Muro sul confine messicano, visto lo stallo persistente causato dal Congresso che si oppone, Trump ha ritirato fuori “dallo zainetto” lo slogan della difesa della Sicurezza Nazionale.
Da quel confine arrivano indisturbati terroristi, narcotrafficanti, immigrati clandestini che mettono a rischio la sicurezza degli americani. Anche e soprattutto, anche questo un vecchio slogan già sentito, delle giovani generazioni, indifese e da proteggere di fronte a questa devastante orda di banditi accalcati sulla frontiera del Rio Grande.
Fin dal 1976, quando il Congresso americano promulgò il National Emergencies Act, i Presidenti hanno dichiarato come minimo una sessantina di volte lo stato di emergenza, soprattutto in casi di tragedie naturali. Secondo la normativa americana il Congresso non può opporsi ad una eventuale decisione del Presidente in tale materia. Può contestarla, come sta succedendo e soltanto, eventualmente, revocarla, ma con un voto unanime della Camera e del Senato…ipotesi, allo stato, inimmaginabile.
Al di là del paradosso di ascoltare il Presidente di una Nazione che è nata, si è sviluppata ed è diventata la più ricca del mondo, proprio grazie agli immigrati, oggi criminalizzati, quello che è stupefacente è constatare come gli attrezzi della politica non cambino mai nel tempo.
Inseguire lo stomaco della Gente per ottenerne il voto, si porta dietro queste sceneggiate.
Invece di ragionare su un tema complicato e che costituirà senza dubbio la cifra dei prossimi anni, il fenomeno mondiale cioè delle migrazioni di intere popolazioni da territori poveri verso territori apparentemente ricchi, si ricorre al Pensiero breve. Alla soluzione più facile, diretta, già pronta e confezionata. Alziamo un muro, così blocchiamo l’esodo.
Per questo motivo, Pickett ritiene che una conoscenza più approfondita della storia, anche solo di quella contemporanea, può aiutarci a capire meglio l’attualità, quello che ci sta accadendo davanti. Offrendoci spunti per dotarci di filtri nell’analisi del contesto attuale.
Non perché la storia sia di per sé magistra vitae: la storia non lo è e, probabilmente, non lo sarà mai, perché gli uomini che la guidano e la interpretano pensano sempre di non ripetere gli errori del passato. È importante studiarla e conoscerla perché ci offre stimoli per possedere chiavi di lettura adeguate alla nostra attualità. Per rischiare di essere meno manipolati o contaminati dalle decisioni assunte dalle leadership politiche del momento. Dopodiché, ciascuno faccia le sue scelte a “ragion veduta”.
Questo è, ad avviso di Pickett, il punto centrale del perché è una follia diseducativa e gravissima quella di ridurre o addirittura sopprimere l’insegnamento della storia nelle nostre scuole.

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