La domanda sorge spontanea: ma come fa un imputato di reati così gravi a correre per la presidenza degli Stati Uniti d’America?
Attenzione, non è un film dell’orrore, ma la risposta potrebbe anche essere, come vedremo “Sì è possibile”.
Anche nel caso, ormai non così improbabile, che l’ex Presidente sia condannato con una sentenza notificatogli prima della scadenza elettorale.
Siamo reduci da una settimana negli Stati Uniti per partecipare ad alcuni eventi organizzati dai principali Think Tank di Washington, anche e soprattutto sul clima, le prospettive, gli scenari e i rischi di una campagna elettorale che si è ormai ufficialmente aperta con la presentazione dei vari candidati dei due principali partiti americani.
Esistono, oggi, due filoni di pensiero.
Il primo che, attenendosi ad una rigorosa interpretazione letterale della Costituzione americana, non esclude la possibilità che Donald Trump non solo possa partecipare alla campagna elettorale, ma possa diventare anche Presidente, pur avendo pendenti dei procedimenti penali con delle imputazioni gravissime come quella di aver attentato alla sicurezza nazionale e alla Costituzione; anche nel caso di una sentenza di condanna, non definitiva e quindi soggetta ad ulteriori fasi processuali, l’ex Presidente potrebbe riottenere il mandato.
Un dibattito che ci ha ricordato alcuni confronti che abbiamo avuto in Italia a proposito dell’applicazione della legge Severino, per alcuni candidati alle elezioni nazionali già destinatari di avvisi di garanzia per procedimenti penali aperti nei loro confronti o con sulle spalle, addirittura, una sentenza di primo grado di condanna, non ancora però passata in giudicato.
Cerchiamo di chiarirci le idee seguendo il ragionamento dei due filoni di pensiero di autorevoli esperti americani in materia costituzionale.
Donald Trump può essere eletto Presidente anche se condannato.
La Costituzione degli Stati Uniti – secondo alcuni giuristi di Washington – non prevede tra i requisiti per la presidenza l’assenza di precedenti penali.
Il paradosso americano è che 48 stati impediscono, per legge, a cittadini americani condannati per illeciti penali, di votare ma non di candidarsi.
In questi giorni stiamo assistendo alle convocazioni davanti alla Corte di Fulton in Georgia dei vari imputati che vengono formalmente incarcerati e poi liberati su cauzione.
Il procuratore speciale Jack Smith ha dichiarato ufficialmente che il processo nei confronti di Trump e dei suoi principali collaboratori sarà rapido e quindi non creerà problemi dal punto di vista della campagna elettorale.
Uno degli avvocati dell’ex Presidente ha invece parlato di un procedimento federale legato all’ultima incriminazione che può durare non meno “di nove mesi o di un anno”.
Anche il procedimento federale che si occupa dei documenti top secret requisiti nell’abitazione di Trump, inizierà a maggio ed è ragionevole pensare che non si concluderà prima del novembre 2024.
Secondo il filone garantisca, comunque, Trump potrebbe continuare a correre per la Casa Bianca anche essendo incarcerato in una prigione federale: hanno trovato anche un precedente del 1920 quando il candidato Eugene Debs, mentre si trovava dietro le sbarre, ricevette comunque un milione di voti.
Un’altra ipotesi che a noi italiani potrebbe sembrare fantascientifica è che il Presidente potrebbe trasferire temporaneamente, se incarcerato, il potere al suo Vice Presidente, dichiarando di non essere in grado di svolgere le sue funzioni e avviando immediatamente la procedura per ottenere la grazia.
A quel punto, dovrebbe notificare al Congresso di essere in grado di riprendere le sue funzioni e quindi di riprendere il suo ruolo di Presidente eletto e poi graziato.
Non ci sono precedenti in merito.
La domanda che abbiamo sentito circolare nei vari centri della politica di Washington riguarda la possibilità che un Trump condannato possa richiedere la grazia per sé stesso.
Ad esclusione dell’impeachment, la Costituzione fornisce al Presidente ampi poteri di grazia non sui reati statali, ma su quelli federali.
Per questo motivo, alcuni giuristi sostengono che questo potere è virtualmente illimitato e tale da ricomprendere anche la concessione della grazia per sé stesso; altri affermano che si possono graziare crimini altrui ma non i propri.
Nel 1974, durante il procedimento denominato Watergate a carico del Presidente Nixon, il Ministero della Giustizia aveva redatto un memorandum in cui si escludeva la possibilità che il Presidente potesse farlo “In base alla regola fondamentale che nessuno possa essere giudice del proprio caso”.
Si fa anche un’altra ipotesi: un’eventuale domanda di grazia potrebbe essere contestata in tribunale e finire davanti alla Corte Suprema, dove, lo sappiamo, la stragrande maggioranza dei giudici è stata nominata proprio da Trump…
Trump non può essere eletto Presidente.
Il giudizio fermo, preciso e circostanziato arriva da uno studio realizzato da due autorevoli professori universitari, conservatori e dichiaratamente repubblicani, che hanno studiato la questione per un anno e hanno steso poi un lungo report che sarà pubblicato prossimamente nella rivista di Legge dell’Università della Pennsylvania.
I professori William Baude dell’Università di Chicago e Michael Stokes Paulsen dell’Università di St. Thomas hanno concluso il loro lavoro con una precisa dichiarazione di ineleggibilità del Presidente proprio alla luce della Costituzione che vieta tale possibilità per coloro che hanno promosso e/o gestito una insurrezione contro il governo e le istituzioni degli Stati Uniti.
“Quando abbiamo cominciato il nostro lavoro – ha detto recentemente il prof. Baude al New York Times – nessuno di noi due aveva una risposta certa al quesito sulla rieleggibilità dell’ex Presidente. Ci siamo messi nella posizione di due studenti e abbiamo iniziato a ristudiare la questione dal “prato verde”, cercando di allontanare da noi ogni forma di pregiudizio politico o giuridico. Ebbene, alla fine del nostro lavoro abbiamo raggiunto una conclusione unanime e ponderata: Donald Trump non può diventare Presidente degli Stati Uniti; non può correre per la presidenza; non può ottenere tale ruolo, a meno che 2/3 del Congresso non decida di concedergli la grazia per la condotta da lui tenuta in occasione dei disordini e dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio”.
La situazione è giuridicamente intricata dunque. Regna una grande incertezza a Washington su come finirà questa storia.
Di certo Trump, nell’ambito del partito repubblicano ha un margine di vantaggio sugli altri candidati enorme e tale da farlo rimanere il front-runner più probabile per il prossimo novembre.
Su questo tema l’America continua ad essere spaccata in due e quindi a rischio di gravi tensioni che potrebbero sfociare nuovamente in disordini di piazza come tre anni fa.