Quattro giorni di aria pulita. Di ascolto, di riflessioni alte, articolate, profonde. Non contaminate dalla concitazione di Twitter, dei Social Network o degli sms. Una parentesi di pace e di pensiero, stimolante e virtuosa soprattutto se, come accaduto, paracadutata nei nostri attuali “tempi bui” di Presentismo, di Propaganda, di un parlarsi addosso insopportabile senza alcuna capacità di ascolto degli altri.

Pickett vi socializza le reazioni “a caldo” di uno spettatore curioso che ha potuto partecipare ad alcuni degli incontri dell’incredibilmente vasto e variegato programma di Torino Spiritualità, l’evento giunto alla sua 14° edizione.

Già la scelta del titolo della manifestazione, “Preferisco di no”,  è stata intrigante, attualissima, provocatoria per i sonnambuli del nostro tempo.

Un grido sussurrato di chi, di fronte a quello che ci sta accadendo intorno, dice disperato “grazie … anche no!”, non partecipo, non gioco. Urlo però il mio silenzio, convinto che viviamo un contesto in cui bisogna schierarsi, uscire dal proprio laghetto, manifestare il proprio dissenso dicendo un grande e chiaro No!

Come ha ricordato il direttore della 14° edizione di Torino Spiritualità, Armando Bonaiuto, svoltasi nel capoluogo piemontese dal 26 al 30 settembre, ci troviamo di fronte ad un bivio tra la Rassegnazione e la Resistenza.

Dalla manifestazione torinese è uscita una decisione precisa: quella di imboccare con determinazione il percorso della Resistenza.

Per entrare nell’atmosfera di questa parentesi intellettuale in cui rimettiamo al centro dei nostri pensieri il nostro cervello, lasciandogli il tempo di ascoltare, analizzare e poi, nella sintesi soggettiva che ciascuno di noi si sarà creata, portarsi a casa qualcosa su cui meditare, può essere utile seguire la presentazione dell’evento narrata proprio da Bonaiuto.

Si affaccia nel nostro “Preferisco di no” un’obiezione concisa, garbata ma irriducibile per esprimere il nostro dissenso contro l’opacità dei tempi… un nodo al fazzoletto per ricordarsi che l’essere umano non è solamente ciò che fa, ma anche ciò che sceglie di non fare, di non legittimare, di non avvallare”.

Ma chi sono gli esseri umani che dicono “Preferisco di no”?

Bonaiuto ha le idee chiare in materia: “Quelli che allontanano la mano che gli batte compiaciuta sulla spalla; quelli che resistono alle tentazioni dell’ostilità e della indifferenza; quelli che sono convinti che il dolore degli altri non sia diverso dal proprio, e davanti alle violazioni di dignità e diritti reagiscono come limature di ferro davanti ad un magnete: non resta dov’è, perché la sostanza stessa di cui è fatto gli impone di ridurre la distanza, di prendere parte. … Dice “Preferisco di no” anche chi sa rimanere al suo posto, perché in alcuni casi il “No” sta nella fermezza che trattiene dall’accodarsi al gregge o dal ringhiare con il branco… “Non temere di vegliare per l’insonnia di rifiutare il mondo” diceva un alfiere della non violenza come Aldo Capitini. Aveva ragione. Dire “No” al mondo così com’è implica esporre la propria coscienza morale a scosse e frizioni, e allora sì che si rischia l’insonnia. Ma se l’alternativa è un’assordante anestesia, ben vengano la coscienza frastagliata e gli occhi aperti anche di notte”.

Quella di Bonaiuto è una frustata per i nostri cervelli a rischio di impigrimento, sonnambulismo, lontananza, rassegnazione.

È un inno al partecipare alla vita della comunità anche pronunciando una parola, in certi casi molto difficile, come un “No” al posto di un “Sì”. È una manifestazione di dissenso di chi non si vuole arrendere e vuole resistere sui suoi principi e sui suoi valori.

Pickett ha ascoltato la presentazione di Torino Spiritualità reduce dall’incontro con un grande campione della Resistenza in senso lato: l’avvocato-giornalista Bruno Segre arrivato alla soglia dei 100 anni con uno spirito e una energia superiore a molti dei nostri ventenni. Bruno Segre, nato nel 1918, ha attraversato prima da bimbo e poi da ragazzo ebreo tutte le tragedie del ‘900 uscendone vivo grazie al suo coraggio, alla sua determinazione, alla sua grande passione per la vita, vissuta rigorosamente da ateo e per le straordinarie opportunità che essa offre a tutti gli esseri umani attenti e curiosi. Bruno Segre ha scritto un libro che ha un titolo significativo e richiama proprio la “frustata” di Bonaiuto: “Non mi sono mai arreso”.

Il sentire, a distanza di pochi giorni, due persone formalmente lontane come anagrafe ma sostanzialmente molto simili nelle loro preoccupazioni proattive, ha confermato a Pickett quella che è la nostra vera e fondamentale responsabilità personale e sociale che ci portiamo sulle spalle. Quella di essere membri di una comunità di umani di cui dobbiamo interessarci, occuparci attraverso l’ascolto e il farci carico dei problemi di quelli meno fortunati di noi. Nel rispetto delle idee politiche più diverse, dobbiamo batterci sempre e comunque, senza “se” e senza “ma”, per i valori fondanti del nostro vivere insieme. Nel caso italiano rintracciabili nella prima parte della nostra Costituzione.

È stato molto utile e stimolante nel corso della quattro-giorni-torinesi, ascoltare l’intervento di Asha Phillips, una psicoterapeuta inglese che ha trasferito ai presenti il suo vissuto sull’importanza di saper “dire No” in certi momenti della nostra vita.

“L’idea del dire “No” è in genere associata all’egoismo, a una qualche barriera contro la connessione, alla forza. Per me invece – ha detto Asha Phillips nel suo intervento – rappresenta il prendersi una pausa, il non procedere in modo meccanico, per abitudine o sotto la pressione del nostro mondo interiore e di quello esterno. Quando diciamo No alle reazioni immediate creiamo uno spazio in cui connetterci con il momento presente, per riconoscere ciò che sta accadendo e operare una scelta su come comportarci: questo processo rende possibile instaurare un contatto e un coinvolgimento autentici con noi stessi e con gli altri. Le modalità di comportamento in “auto-pilota” possono senza dubbio essere molto comode aiutandoci a gestire gli impegni comuni e quotidiani in modo efficiente e rapido. Comportano però numerosi svantaggi nel caso in cui diventino l’unico nostro modello di agire. Magari accendiamo il computer per scrivere una email o metterci al lavoro e, senza rendercene conto, ecco che abbiamo aggiornato il nostro status su Facebook e una buona mezz’ora è volata via senza aver fatto nulla di ciò che ci eravamo prefissi. Lo stesso accade con le abitudini mentali: è solo per una personale consuetudine che persistiamo nell’imboccare le solite strade già battute, nonostante si siano dimostrate inutili: giriamo in tondo senza arrivare da nessuna parte”.

È in fondo la solita vecchia attitudine a battere le strade che conosciamo e che non ci presentano sorprese o novità. Rischiamo di essere dei conservatori per paura del nuovo. Dei pigri per mancanza di energia nello scoprire nuove modalità comportamentali. Secondo la Phillips è molto frequente che quando la nostra mente continua ad operare attraverso modalità analoghe e ripetitive, dia luogo ad insoddisfazioni e malesseri che si ripercuotono sulla nostra esperienza emozionale causando rabbia e autocritica. Le due categorie di sofferenza alle quali siamo più portati a fare riferimento.

“La rabbia – ci ha spiegato la psicoterapeuta inglese – deriva da quegli eventi che inevitabilmente la vita vuole sul nostro cammino: ferite, rifiuti, tradimenti, delusioni, infortuni, malattie, perdite, separazioni … la lista è infinita. Questa è la prima freccia, quella del dolore, rispetto al quale non possiamo fare nulla. È accompagnata spesso da un disagio sia fisico, sia psicologico: mal di testa, spalle irrigidite, sensazioni di nausea, costrizione nella zone del petto o del cuore, un senso di pesantezza in tutto il corpo”.

E l’autocritica?

“Questa seconda forma di sofferenza dipende invece da come reagiamo a quel primo dolore: incolpiamo noi stessi o gli altri? Proviamo rabbia o autocommiserazione? Ci domandiamo “Perché io?” Può capitarci di entrare in un circolo vizioso, talvolta senza controllo, in una spirale di auto-criticismo o recriminazione nei confronti degli altri o di lanciarci in attività che intorpidiscono o anestetizzano il dolore. I pensieri vorticano intorno all’idea di colpa o di come le cose dovrebbero o potrebbero essere diverse, ed è fin troppo facile sprofondare nei meandri più logori della nostra mente”.

Che fare dunque? Come reagire per evitare o limitare gli effetti di queste due forme di sofferenza che ci opprimono spesso e volentieri?

Questa è la ricetta suggerita da Asha Phillips.

“Dobbiamo evitare di entrare in confusione: il primo passo per riguadagnare la libertà di scegliere consiste semplicemente nel riconoscere la realtà della nostra condizione senza lasciarci subito prendere la mano dall’automatica tendenza a voler giudicare o aggiustare le cose o a desiderare che siano diverse da come sono. … Dire “No” somiglia al premere il pulsante “pausa”: il nostro “auto-pilota” si ferma e ci offre l’opportunità di entrare in contatto con il momento presente. Sintonizzandoci con i nostri pensieri, sentimenti ed emozioni, riusciamo a riconoscere quello che ci sta accadendo e quindi acquisiamo la libera facoltà di scegliere il modo in cui agire”.

Nel nostro “oggi” secondo la Phillips, si pone troppa enfasi sul “fare” e assai poco sull’ ”essere”. Bisogna invece apprezzare l’importanza dell’esperienza del “qui ed ora” rispetto al lasciarsi sempre guidare da eventi passati o da qualche futuro ideale. Questo significa dire dei “No” alla pressione della società affinché noi si agisca in modo consono all’opinione comune, al politically correct, in base al quale veniamo giudicati (soldi, status sociale, potere, ecc.). Di conseguenza il successo consiste in ciò che facciamo piuttosto che nel tipo di essere umano che siamo. L’essere in sintonia con l’esperienza del presente, anche e soprattutto quando diciamo “No” all’andare avanti in modo automatico, al soddisfare le aspettative perfezioniste, sia nostre che degli altri, su chi dovremmo essere, stiamo compiendo un atto di gentilezza, di generosità nei confronti di tutti, noi compresi: per relazionarci ed entrare in connessione in modo virtuoso con gli altri, abbiamo bisogno di essere noi stessi. Solo quando siamo in armonia con il nostro io – conclude il suo ragionamento Asha Phillips – possiamo riconoscere l’umanità che ci accomuna, comprendere che ogni essere umano vuole essere protetto, amato, in salute e felice. Solo se siamo davvero noi stessi possiamo relazionarci agli altri in modo autentico. In tutto questo, il dire “No” è un modo per trovare nuove soluzioni e la forza necessaria per un vero cambiamento.

Pickett spera di avervi fornito elementi per capire l’importanza di partecipare, soprattutto in questi momenti bui, ad eventi di incontro delle nostre comunità che ci obbligano “a staccare” la tecnologia, a disconnetterci, a sospendere i nostri problemi e i nostri travagli, a concederci una pausa di riflessione, apprendimento ed ascolto. Se interpretata correttamente, questa è una modalità che ci permette sempre di arricchirci, di modificarci, di non procedere come robot sonnambuli in una società che ha bisogno di noi non solo come macchine produttive ed efficienti ma anche e soprattutto come esseri umani consapevoli del loro ruolo, dei loro difetti e della, però contemporanea, straordinaria capacità intellettuale ed emotiva.

Un grazie dunque agli organizzatori di Torino Spiritualità per questa parentesi di pace virtuosa e di pensiero che ci hanno regalato.

Comments (1)
  1. Claudia (reply)

    4 Ottobre 2018 at 22:21

    …mi hai fatto tornare alla mente la poesia di Pablo Neruda, Silenzio. Grazie.
    Ciao, Claudia
    Ora conteremo fino a dodici e rimaniamo tutti quieti./Per una volta sulla terra non parliamo in nessuna lingua,/per un secondo fermiamoci, non muoviamo tanto le braccia./Sarebbe un minuto fragrante, senza fretta, né locomotive,/saremmo tutti uniti in un’inquietudine istantanea./I pescatori del freddo mare non farebbero male alle balene/ e il lavoratore del sale guarderebbe le sue mani rotte./ Quelli che preparan guerre verdi,/ guerre di gas, guerre di fuoco, vittorie senza superstiti,/ si metterebbero un vestito puro/camminerebbero coi loro fratelli nell’ombra, senza far nulla./Non si confonda ciò che voglio con l’inazione definitiva:/la vita è solo ciò che si fa,/ non voglio saperne della morte./ Se non potemmo essere unanimi muovendo tanto le nostre vite,/forse non far nulla una volta,/forse un gran silenzio potrà interrompere questa tristezza,/questo non intenderci mai,/e minacciarci con la morte,/forse la terra c’insegnerà quando tutto sembra morto e poi tutto era vivo./Ora conterò fino a dodici,/tu tacerai e io me ne andrò.

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