Messi nell’angolo dalla rivoluzione digitale, assediati dalla concorrenza della Rete, disarmati di fronte alla riduzione di lettori e di consenso, i giornali tradizionali e cartacei stanno vivendo il periodo più difficile della loro esistenza.

Molti mettono in dubbio la loro stessa sopravvivenza appena ce ne saremo andati Noi, appartenenti alla generazione del giornale-di-carta-da-assaporare-fisicamente-ogni-mattina.

Un mantra superato e dimenticato dai nativi digitali che si informano… se lo fanno… scorrendo i titoli della time line quotidiana. Limitandosi alla classica “occhiata” al titolo con l’archiviazione del contenuto espresso senza alcun approfondimento né, probabilmente, la voglia di farlo.

Un quadro rivoluzionario in cui l’informazione, senza voler attribuire giudizi di merito sulle due diverse condotte, circola, comunque, in modo diverso. Con tempi e modalità di recepimento che obbligano l’offerta editoriale a modificare la sua proposta.

Tutti hanno provato, dopo un periodo di accesso gratuito generalizzato all’informazione, a introdurre barriere economiche per i contenuti, divenuti così a pagamento. Pare che i risultati siano stati disastrosi. Sconfortanti, con perdite di lettori nell’ordine dell’80-90%.

I contenuti informativi – dicono gli editori, a nostro avviso correttamente – costano e non possiamo regalarli. A livello normativo, proprio in questi giorni, si sta raggiungendo, a livello europeo, un accordo tra l’associazione degli editori e i grandi “giocatori” del web per condividere la disciplina del diritto ad un “equo compenso” in caso di utilizzo nella Rete degli articoli, oggetto di diritto d’autore, apparsi sui giornali tradizionali.

Insomma l’industria dell’informazione sta attraversando un periodo delicatissimo e fondamentale per il suo futuro nel breve termine.

In questo quadro desolante e preoccupante da più punti di vista, c’è però chi pensa a delle alternative, al cambiamento ma nel solco della tradizione, all’innovazione che conservi però qualità e approfondimento.

È di questi giorni la notizia che a metà 2019 uscirà, nella forma di giornale on-line, una nuova testata, o meglio, un’implementazione americana di un magazine nato nel 2013 in Olanda: The Correspondent.

Già alla sua origine il quotidiano on-line, allora in lingua olandese, ora previsto in lingua inglese, aveva basato il suo modello di business sulla raccolta fondi privata, ottenendo un risultato clamoroso: 19.000 olandesi avevano versato nel 2013 1.700.000,00 euro prima ancora che The Correspondent venisse pubblicato.

Il format del giornale non prevedeva la pubblicità e quindi era completamente finanziato dai suoi lettori, praticamente gli unici finanziatori della testata con quote da un minimo di 25 fino a oltre 2.500 euro a testa.

Anche la nuova versione americana, che verrà battezzata a giugno di quest’anno, seguirà lo stesso tipo di modello economico: niente pubblicità e sostentamento grazie ai lettori-editori. Pensate che fino alla scorsa settimana ben 47.883 persone di oltre 130 paesi del mondo avevano già sottoscritto la quota per abbonarsi e sostenere The Correspondent… quattro mesi prima della sua programmata prima uscita.

Vogliamo costruire un movimento a favore di un giornale radicalmente diverso – ha dichiarato uno dei fondatori dell’iniziativa – dimenticarci le breaking news, stare lontano dalle notizie quotidiane che si possono leggere ovunque. Il nostro obiettivo è di andare invece a cercare quelle notizie che sui giornali ci dovrebbero essere, ma non ci sono. Di concentrarci sul giornalismo che spiega, che cerca soluzioni, che vuole essere costruttivo e non si limiti a descrivere il pantano in cui viviamo. Stimola e responsabilizza i lettori a trovare soluzioni per uscirne”.

Il successo ottenuto da The Correspondent fa emergere alcuni dati su cui i nostri editori o comunque degli imprenditori e professionisti interessati ad accendere qualche luce di speranza in questo complesso contesto in cui stiamo vivendo, dovrebbero riflettere.

Proviamo a sintetizzarli sulla scorta anche di cosa ha scritto su La Stampa Christian Rocca, proprio in questi giorni.

Innanzitutto il successo della sottoscrizione anticipata da parte di quasi 50.000 lettori significa che esiste sul mercato un potenziale pubblico alla ricerca di un’informazione nuova, diversa e di qualità.

Bisogna poi avere, come hanno scelto gli editori di The Correspondent, alcuni autori o sostenitori in possesso di una riconosciuta autorevolezza e competenza. Bisogna insomma garantire la credibilità dei contenuti in un mondo infestato da fake news. È importante in altre parole che ci siano dei testimonial famosi nel mondo o nel paese dove la testata viene realizzata che confermino, con le loro dichiarazioni, la serietà e autorevolezza dell’iniziativa.

Una scelta apparentemente provocatoria della nuova testata americana è quella di non dotarsi dei cosiddetti Data Analyst e dei Social Media Editor contando invece, esclusivamente, sulle intuizioni, sulle opinioni e conoscenze dei propri lettori-editori, esperti ed informati, in grado di fornire spunti, suggestioni ed analisi al giornale. In assoluta controtendenza rispetto all’attuale mercato, gli editori di The Correspondent hanno scelto, almeno nella fase di start-up, di evitare il rischio della “schiavitù” dei social network. Provano a farne a meno, contando sul rapporto di fidelizzazione e collaborazione con i propri lettori-editori.  Anche questo è un elemento di innovazione: un laboratorio molto interessante sul quale varrà la pena ritornarci per esaminarne i risultati.

Infine la formula del Citizen Journalism sta prendendo piede in tutto il mondo. Sull’onda lunga di The Correspondent sono nati in Danimarca Zetland e in Svizzera Die Republik entrambi partiti lo scorso anno con già qualche decina di migliaia di sottoscrittori.

Ci troviamo dunque di fronte a nuovi modelli editoriali che cercano soluzioni per evitare il suicidio di questa industria.

Certo l’esempio di The Correspondent è molto stimolante ma riguarderà in ogni caso, probabilmente, una nicchia di mercato dove i lettori si trasformano in azionisti-editori con la straordinaria opportunità di interagire con i giornalisti fornendo stimoli, notizie, contributi del loro contesto e delle loro comunità di riferimento.

Bisognerà anche vedere e controllare la sostenibilità economica di tale format: lì si giocherà davvero l’indipendenza e l’autonomia di queste nuove e straordinarie iniziative che potrebbero davvero rappresentare i giornali 3.0 del futuro.

Il quesito che Pickett si pone, è il seguente: e in Italia? Avremo anche qui qualche volenteroso che seguirà la strada dei coraggiosi promotori del progetto The Correspondent?

 

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