Ogni anno intorno a Natale, la comunicazione ci arriva puntuale e completa. Inutile far finta di niente o, peggio, mettere la testa sotto il cuscino. Il Censis ci notifica in modo cinico ed estremamente realistico chi siamo e, soprattutto, chi siamo diventati.

Una fotografia redatta con capacità e competenza sulla base di un’esperienza ormai pluriennale.

E così, anche in questo caldo dicembre 2018, non solo per il clima meteorologico, il rapporto annuale del Censis (giunto alla sua 52esima edizione) ci aiuta a capire meglio il quadro e i contorni di questo strano, bizzarro e nel contempo fantastico Paese che, anno dopo anno, da almeno un ventennio non migliora di certo la sua immagine. Il suo momento sociale e psicologico.

Il rapporto, che ci piaccia o meno, ci costringe ad essere consapevoli dello stato della nostra comunità nazionale. Quello del 2018 è chiarissimo in merito.

Alla rabbia e al rancore che avevano costituito la cifra del rapporto 2017, si sono sostituiti paura e cattiveria.

Stiamo vivendo una fase nuova della nostra vita di italiani: da un parco ottimismo legato all’uscita della crisi economica siamo passati ad uno sconfortante pessimismo. Sempre più “chiusi a chiave” nei nostri laghetti privati, assediati da paure e angosce che ci contaminano la qualità della vita, la fiducia e la speranza verso il futuro.

Il Censis, che ha sempre negli anni coniato, con brillante creatività, dei termini che sono diventati poi parte del nostro linguaggio quotidiano, ha chiamato questo stato d’animo generalizzato “Sovranismo Psichico”. Viene prima del sovranismo economico e del sovranismo politico. Viene prima di tutto: è annegato nella paura che diventa cattiveria, nell’incubo del nemico (si chiami straniero, delinquente, vicino di casa, ecc.), nell’angoscia che tutti tramino contro di noi e che quindi siamo costretti a difenderci. A non fidarci di nessuno. A pretendere “Law and Order!”.

Certo l’immigrazione è in cima alla lista delle cause di questo Sovranismo Psichico: il 67% degli italiani non vuole avere come vicino di casa un rom; il 52%, più della metà quindi, è convinto che lo Stato si occupi di più degli immigrati che non degli italiani. Un italiano su tre confessa la sua rabbia perché nulla funziona e nessuno si occupa di farla funzionare.

Il pessimismo dilaga: un italiano su cinque pensa che la situazione peggiorerà ulteriormente. Il 30% confessa di essere confuso, disorientato e di non capire cosa stia accadendo e perché.

L’ottimismo per il futuro è un valore di pochi: intorno al 20%. Chi ci crede ancora sintetizza così il suo pensiero “Viviamo un’epoca di grandi cambiamenti; tutto il mondo attraversa questa crisi che, come sempre successo, sapremo superare”.

Sorprende, ma fino ad un certo punto, la lamentela sulla mancanza di meritocrazia. Dilaga il risentimento “di chi non si vede riconosciuto l’impegno, il lavoro, la fatica dell’aver compiuto il proprio compito di resistenza”.

Un’altra grande contestazione che emerge dall’indagine del Censis riguarda la mancata modernizzazione del paese: “degli assetti pubblici, del fisco, della giustizia, delle reti infrastrutturali, della ricerca”. Si è atteso il cambiamento per troppo tempo e troppo spesso vanamente.

Forse, ma questo lo aggiunge Pickett, ci si dimentica, leggendo l’inquietante fotografia che ci rimanda il Censis, che il problema siamo noi stessi: da un lato pretendiamo diritti e dall’altro siamo troppo spesso distratti sui doveri.

Stiamo scendendo sempre più in basso: siamo sempre più vecchi, senza figli, più poveri e più rabbiosi dentro. Il Censis, come detto, ci definisce protagonisti di questo Sovranismo Psichico ovvero: “Un popolo che si ricostituisce nell’idea di una nazione sovrana supponendo, con un’interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale”.

Dopo il tempo del rancore è arrivato il tempo della cattiveria – ha detto a La Stampa il Segretario Generale del Censis, Giorgio De Rita, figlio dell’inventore dell’Istituto, Giuseppe – ciò che abbiamo definito Sovranismo Psichico è uno stato d’animo pre-politico. E’ la necessità, di fronte a un mondo sempre più globale, di affermare «Noi sappiamo stare nel mondo globale, ma con un modello che deve essere tutto nostro». Noi sosteniamo – ha continuato Giorgio De Rita – che l’Italia è delusa perché ha creduto seriamente alla ripartenza dopo la grande crisi, ma se pure l’economia ha dato segni di vitalità, non si sono visti effetti nella società. Ecco perché c’è stata la grande discontinuità del voto del 4 marzo: una larga parte della società ha voluto mettere in discussione un modello di sviluppo (e anche i partiti tradizionali) che stava dentro i processi sovranazionali. Qui sono riemerse antiche parole d’ordine come patria, sovranità, confini. Il corpo sociale ha reagito con la riaffermazione della sovranità, ovvero della politica, visto che l’economia non è riuscita a risolvere i problemi. Dopo tanti anni di rancore, il corpo sociale ha voluto riaffermare la propria centralità e la voglia di spezzare il declino che si vede avanzare passo dopo passo”.

De Rita però, in questo quadro fosco, ci vede una fiammella positiva, una luce in questo uragano di pessimismo cattivo: “L’anno scorso avevamo visto che era in arrivo una reazione emotiva. Per questo diciamo che è finita la stagione del rancore e si è aperta quella della cattiveria. La differenza è che il rancore era sterile, fine a se stesso. Ora, con il Sovranismo Psichico, c’è voglia di riscatto. Questa rottura esprime un progetto che abbandona la fase sterile del puro risentimento. C’è una domanda di regole da parte degli italiani che è sempre più forte”.

Dunque possiamo immaginare una reazione positiva, dalle sue parole?

Vedo che da parte del corpo elettorale c’è stato un mandato politico forte a una rottura con un modello di sviluppo. Naturalmente la richiesta è accompagnata da alcune condizioni. Ne vedo due in particolare: che il nuovo modello sia aderente alla realtà e che nel procedere non ci siano tentennamenti. Nel momento in cui si vedesse che la politica si perde per strada, non la perdoneranno. Ogni incertezza rispetto agli annunci sarà punita”.

Quand’è che si potrà immaginare una inversione di questo trend dalle forti valenze negative?

Quando ci sarà una risposta al primo dei problemi che è il lavoro. Se l’economia riparte, ma non ci sono dividendi per il lavoro, gli italiani non riconoscono il nuovo senso di marcia. E’ quello che ha penalizzato Renzi: puoi dare tutti i bonus che vuoi ma devi riuscire a dare il senso di uno scatto in avanti della società. Io sono ottimista – conclude Giorgio De Rita – credo che l’Italia riuscirà ad affermare un nuovo modello di sviluppo”.

E’ stato dunque un pervasivo sentimento di solitudine sociale ad alimentare una forma di Sovranismo spicciolo che vede l’ingiustizia e la disuguaglianza tutte originate dalla sottrazione di potere nazionale. Il capro espiatorio più semplice è stato quello di individuare nell’immigrazione il problema dei problemi… a prescindere da che lo fosse!

Il rapporto del Censis 2018 – ha scritto Dario Di Vico sul Corriere della Sera – non è stato tenero con la maggioranza Giallo-Verde: non perché ne enfatizzi l’incompetenza e l’improvvisazione ma perché dà già per scontato che il cambiamento miracoloso promesso da Salvini e Di Maio resterà al palo e la successiva disillusione non produrrà certo il ritorno agli equilibri politici di prima.

Questa disillusione, e qui a parere di Pickett sta il cuore della pericolosità della situazione in essere, renderà ulteriormente cattivi gli italiani che sono pronti ad alzare “ulteriormente l’asticella, sono disponibili persino ad un salto nel buio”.

Insomma un film già visto che forse siamo ancora in tempo ad evitarci.

 

Comments (1)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    11 Dicembre 2018 at 9:12

    Tristi ma realistiche considerazioni. Cosa può fare la società civile per uscire dall’impasse??????

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