Sembra quasi diventato un incubo. Una sfida che non si può perdere. Stiamo parlando di un sentimento, la Felicità, che Pickett ha già trattato di recente, socializzando a tutti voi una riflessione che smitizzava tanti tabù celati nei nostri affannati cervelli.

La Felicità non è sempre e soltanto legata alla ricchezza, al potere, al raggiungimento di ambizioni sempre più alte: spesso è legata semplicemente alla qualità delle nostre relazioni umane con i terzi. Certo con i terzi a cui teniamo. Quelli a cui vogliamo bene e che speriamo lo vogliano a noi. Quelli di cui temiamo il giudizio negativo. Quelli con cui auspichiamo di avere rapporti positivi, virtuosi, di stima, di scambio reciproco di idee, di progetti. Quelli che insomma sono importanti per la nostra vita affettiva. Quelli che, in sintesi, denominiamo i “Pilastrini” delle nostre esistenze.

Essendo antropologicamente interessato a questo tema che ha sempre animato il dibattito, anche filosofico, tra gli esseri umani, Pickett non si è stupito che il precedente post sulla Felicità abbia suscitato interesse, consenso, speranza.

Da allora siamo stati più attenti e stimolati a curiosare nella vita e anche nella Rete, sul “vissuto” generale che riguarda le questioni che girano intorno al concetto di Felicità: come la si gestisca, come la si auspichi, come la si tema, ricercandola magari vanamente, in continuazione.

Ebbene, Pickett è rimasto stordito, sorpreso e quasi infastidito dalla numerosità dei testi usciti negli ultimi tempi su questo argomento: un’autentica valanga di studi, ricerche, ricette, formule magiche, tutta incentrata sulla possibile risoluzione del segreto imperscrutabile legato al raggiungimento dello stato, transitorio o continuativo della Felicità.

Ci siamo resi conto che viviamo in una specie di Happycrazia in cui non esistono dubbi, pensieri diversi, alternative: bisogna essere felici!

Per darvi un’idea del fenomeno, di quanto si scriva e di quanto si parli di Felicità, abbiamo fatto una sintesi delle cose lette e ritrovate in giro. Un’autentica giostra di idee, soluzioni, disillusioni che rischiano, come dicevamo, di diventare un vero e proprio incubo.

Lo psicologo Daniel Todd Gilbert ha addirittura inventato la “scienza delle previsioni emotive”, un calcolo matematico per pianificare la Felicità: per questo è stato denominato Smiling Professor.

La professoressa Ilona Boniwell, responsabile del European Network of Positive Psychology, è convinta che l’arte del benessere soggettivo (in altre parola la gioia di vivere) si possa imparare e ha descritto anche il “Come”. Partendo proprio dalla formula di Martin Seligman, pioniere degli studi sulla Scientific Happiness: H=S+C+V. “H” Happiness rappresenta la Felicità, “S” sta per la sua quota fissa, cioè il livello determinato dai geni esistenti in ciascuno di noi al momento della nascita; “C” sono le circostanze della vita e “V” i fattori sotto il nostro controllo.

Ebbene la “S” influisce fino al 50%, la “C” incide sul 10%. Il fattore “V” che richiede uno sforzo individuale contribuisce per circa il 40%.

Dunque per Ilona Boniwell ben il 40% della Felicità dipenderebbe da noi, dai nostri comportamenti, dalla nostra volontà di andarla a cercare!

Dello stesso avviso l’ex top manager di Google Mo Gawdat che, nel suo libro “L’equazione delle felicità – costruisci la tua strada verso la gioia” conferma che la Felicità è nelle nostre mani. Dipende da noi costruirla o distruggerla.

Questa “dittatura” dell’ottimismo è stata recentemente e fortemente contestata in Francia da due studiosi della materia: lo psicologo Edgar Cabanas e la sociologa Eva Illouz che hanno scritto il saggio intitolato “Happycrazia – come l’industria della felicità ha preso il sopravvento sulle nostre vite”.

I due esperti sostengono che bisognerebbe dire basta alle assurdità della psicologia positiva, piena zeppa di teorie sullo sviluppo personale e sulla moda del coaching.

Questa tendenza ci obbliga, a loro avviso, ad essere euforici, contenti, riconciliati con noi stessi. “Questa favola anestetizza la sofferenza sociale e i rimproveri che la gente può rivolgere allo Stato ribellandosi, per esempio, all’ingiusta distribuzione della ricchezza” sostiene la Illouz.

L’insieme di queste teorie ha dato vita a una grande industria composta da autori di guide, di manuali di self-help, di coach, di sviluppatori di app dedicate alla meditazione e alle pratiche contro l’ansia. Un esempio per tutti: l’anno scorso l’applicazione Headspace ha incassato 26 milioni di euro ed è stata scaricata da 11 milioni di persone. Nel 2017 il 70% delle multinazionali ha inserito programmi anti-stress per aumentare il benessere dei dipendenti e di conseguenza migliorare le loro performance.

In America, dove i cittadini sono ossessionati dalla salute fisica e mentale, è nata la promozione di questa pseudo scienza e la proliferazione dei felicitologi – ha scritto la Illouz. Intorno a questo fenomeno si è sviluppato tutto un indotto speculativo: riempire la vita della gente di viaggi fantastici, vacanze, palestre, esperienze visive, tattili, di gusto.

Fu Susanna Tamaro a lanciare per prima un allarme su questo trend: “Viviamo in un’invisibile, implacabile dittatura. La dittatura della Felicità. Non è forse questo il vitello d’oro dei nostri tempi? Essere felici. Il messaggio che ci viene ossessivamente proposto è quello del possesso, del consumo, del soddisfacimento immediato di ogni pulsione. Contro cosa lottiamo? Contro la cellulite, il colesterolo e il dilatarsi dei nostri pori sotto la duplice pressione della forza di gravità e del tempo. Lottiamo per rimanere giovani e belli, perché la vita sia un eterno presente, una replica di Polaroid perfette”.

Dei recenti studi statistici, ci raccontano d’altronde di una realtà ben diversa che dimostra che non tutto funziona come previsto dalla Happycrazia. Soltanto in America il consumo di anti-depressivi è quadruplicato negli ultimi 20 anni e in Italia siamo al 15%: 7,9 milioni di persone consumano pastiglie per sentirsi meglio.

Dunque dal sogno di una Felicità globale si passa presto alla disillusione depressiva da combattere.

I critici della “Felicità a tutti i costi” sostengono che diffondendo l’idea di una gioia possibile e misurabile si sottintenda che il non raggiungerla costituisca un fallimento individuale, una sconfitta grave. Se sei scontento è colpa tua.

Quando una donna viene abbandonata da un uomo per la quinta volta – scrive Eva Illouz fortemente contrariata da questo trend dei felicitologi – le diranno di affrontare il problema con la psicologia, le chiederanno di esaminare la sua infanzia per capire che cosa provoca l’inconscio fallimento dell’amore. La psicologizzazione degli esseri umani è diventata inevitabile”.

Proprio per contrastare questo fenomeno, apparentemente inarrestabile, sono sorti e si stanno consolidando pensieri diversi, quasi opposti. Il neuropsichiatra Boris Cyrulnik, ad esempio, padre del concetto di “Resilienza” ha vissuto un tragico trauma infantile con la sua famiglia sterminata dai nazisti. E’ riuscito a venirne fuori dimostrando che è possibile resistere e poi rialzarsi. Chi si lascia andare sbaglia.

Chiudiamo questo excursus dei vari pensieri su questo delicato ma affascinante tema di grande attualità con una riflessione di Pietro Trabucchi, uno psicologo divulgatore che scrive su molte riviste italiane. Il suo mantra si basa sul concetto che “perseverare è umano”. Sono usciti molti contro-manuali e studi che rivalutano la malinconia, il pessimismo e, con imprevisto successo, il potere degli introversi. Trabucchi auspica che ciascuno di noi abbia la libertà di prendersela con padri, madri, mariti, mogli, capi, oppure invocare anche cause di forza maggiore per giustificare la propria infelicità o non completa Felicità: “Almeno non saremo felici, ma ci sentiremo meno colpevoli”.

Interessante, infine, la lettura di un recentissimo libro di John Leland intitolato “Scegliere di essere felici – cosa ho imparato dai superanziani”.

Leland suggerisce un’altra medicina rispetto a quelle proposte dalla Happycrazia.

Il saggio nasce da un’inchiesta che l’autore ha svolto sulla quarta età e che ha pubblicato con grande successo sul New York Times.

I sei protagonisti della ricerca sono delle anziane persone, con oltre ottant’anni di età, che l’autore ha frequentato per un intero anno e che gli hanno lasciato un grande, secondo lui, insegnamento “La Felicità non dipende da circostanze esterne, dipende da noi: in noi stessi risiede uno straordinario potere di influenzare il benessere e la qualità della nostra vita”.

Se vuoi essere felice, impara a pensare come una persona anziana. I sei ultra ottantenni selezionali da John Leland ci riportano in fondo a un vecchio adagio dei nostri nonni: quando hai trascorso una gran parte della tua vita, hai una visione più serena e più lucida, anche dal punto di vista antropologico sul come ricercare e ritrovare la Felicità. Dipende da te e dalla tua relazione con il mondo esterno e in particolare con le persone a cui tieni di più.

Comments (1)
  1. daniela trunfio (reply)

    12 Dicembre 2018 at 12:14

    Basta con questo rumore. Basta con le ricette per tutto. Ma che mondo è ??!!!
    Consiglio invece la lettura di due testi “L’utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine (Bompiani) e “La società della trasparenza” di Byung-Chul Han. Un po’ di musica per le nostre menti offuscate dal rumore. Buona lettura

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