Noi siamo il risultato, per sottrazione, di tutti i libri che non abbiamo letto.

Siamo potenzialmente interconnessi con circa 4 miliardi di persone e siamo soli.

Siamo soli e diventiamo individualisti.

Siamo individualisti e contestiamo la società.

Ci convinciamo di stare costruendo un nuovo modello di società nel mondo virtuale della rete, con il risultato di incrementare la solitudine.

Lungo questo percorso abbiamo perso il pensiero Liberal-Socialista che dal 1945 ha consentito quello che sappiamo, e che negli ultimi due secoli ha permesso all’umanità di essere più umana.

Aveva ragione Cesare Pavese a dire che il problema della vita è uno solo: rompere la propria solitudine.

Essere individuo e sentirsi irrilevante rispetto alla collettività, è la cosa peggiore. Diventi superfluo e ti rinchiudi nella tua superficiale visione della vita.

Un cervello da solo si danneggia, si atrofizza. Sono gli altri che ci alimentano, ci provocano, ci spingono.

Credo ci sia un nesso tra la solitudine irrilevante di una moltitudine di persone e la rabbia sociale che invade tutti gli interstizi della società in cui viviamo.

La propria irrilevanza e la frustrazione che questa condizione genera, mette in moto il risentimento verso l’altro.

Negli anni ’70 uno degli slogan era: il Personale è Politico. Significava che ognuno con la sua storia, le sue ragioni, era un soggetto sociale. Tutto questo è stato scopato via. Internet che sembrava la grande rivoluzione in grado di far saltare per aria il sistema, è oggi strumento del sistema che ci vuole sostanzialmente consumatori il più possibile soli. La domanda che dovremmo porci è: i social sono la nuova socialità o una pessima metafora della socialità?

La mia idea è che in questi luoghi, chiamati social, sia impossibile entrare in una relazione autentica con gli altri.

Si finisce a parlare con se stessi o con quelli come te, ammesso che esistano quelli come te. La realtà è che più le persone si sentono sole e più sono manipolabili. Più sono sole, più hanno paura e più vedono nemici.

La solitudine di questi tempi è crescente ed è una solitudine che ha provocato una rottura generazionale, determinata anche dalla mancata trasmissione della memoria. Se non siamo riusciti a tramandare la memoria dei padri, abbiamo commesso un errore tragico, perché noi restiamo con la nostra storia e chi quella storia non l’ha ricevuta finisce per percepirsi come nato dal nulla che va verso il nulla.

Vedere gruppi di persone di varia età che pur stando insieme continuano a digitare, consultare, messaggiare, è la dimostrazione che ognuno sta per conto suo facendo finta di socializzare. Non si parla e non si ascolta.

Quella che oggi viene propinata come nuova frontiera delle libertà individuali, perché internet consentirebbe la democrazia diretta, è una supponente illusione.

È una illusione perché la somma di libertà individuale che un popolo può conquistare e conservare dipende dal grado della sua maturità politica che è direttamente proporzionale alla sua capacità di governarsi.

In cosa consiste la maturità di un popolo se in un epoca dominata dal caos, il popolo mantiene al potere ed è attratto solo da chi gestisce i dettagli  (sicurezza, reddito di inclusione , vitalizi ecc…) ed è incurante della complessità strategica del mondo al quale aderiamo e con il quale siamo connessi e interdipendenti?

Capire le conseguenze di ogni singolo avvenimento su cui si viene chiamati ad esprimere un sì o un no è qualcosa che non si può insegnare.

Dimissionare la cultura, l’approfondimento, la competenza è una arrogante stupidaggine.

Sostituire tutto questo con la superficiale tuttologia di un clic è esercizio attraente ma pericoloso, perché governare significa comprensione della struttura e del funzionamento di tutto l’organismo sociale.

Nelle democrazie attuali, il successo effimero e immediato conta di più della gloria duratura.

In parole più banali: solo tattica, niente strategia.

A quelli che oggi vanno in soccorso del vincitore, è utile ricordare che la capacità di progettare politicamente il futuro di una collettività e poi di realizzare politicamente quel progetto, non è compito da affidare a una moltitudine compulsivamente legata a un device qualsiasi, pronta a fare clic su qualsiasi argomento.

È possibile tornare a spiegare a questa moltitudine i principi generosi del Socialismo Democratico e Liberale?

Oggi non è possibile perché pensano di aver capito tutto. Dispensano opinioni su tutto e respingono concetti basilari come: il forte deve lasciare spazio al debole.

Stiamo vivendo una fase storica in cui l’unico tipo di politica è affermare con risolutezza le proprie effimere e superficiali opinioni senza curarsi di argomentarle. Il vincitore politico di oggi è concentrato ossessivamente sul proprio diritto soggettivo e parla solo di diritti e mai di doveri, aizzando le masse sollecitandone le passioni.

È una deriva che potrebbe portare a invocare a gran voce: qualcuno che Comandi.

Il tutto avviene in maniera soft, non ci sono marce, tumulti, per ora.

Lentamente veniamo fagocitati da una immensa vaselina, dalla quale diventa sempre più difficile liberarsi.

Tutto è scivoloso, virtuale, eppure avvolgente, consistente; infatti, questa vaselina  governa il paese.

La parte che ancora non è andata in soccorso del vincitore o che non intende andarci sembra Oblomowizzata.

Oblomow, è l’eroe rappresentativo della pigrizia, dell’inerzia e del fatalismo della borghesia russa, nel romanzo di Contcharow.

Una democrazia è sana se contempla un governo che governa e una opposizione che controlla e stimola.

Purtroppo l’opposizione è oblomowizzata e non è in grado di versare un po’ di sabbia in questa massa di vaselina.

Nel 1992 il complesso Talking Heads pubblicò una raccolta di loro brani sotto il titolo: Sand in the Vaseline.

Ecco ci vorrebbe un granello di sabbia che rendesse un po’ ruvida questa vaselina e il granello potrebbe essere la cultura che dovrebbe tornare a fare il suo mestiere: contestare in ogni luogo e in ogni dove tutte le stupidaggini e le falsità che girano per la rete e nei discorsi da bar. Non possiamo rassegnarci al ne so a sufficienza. La competizione è tra la cultura, il sapere, la competenza, e la superficialità, il pressappoco, il verbo di internet. Se dobbiamo perdere almeno combattiamo.

Comments (1)
  1. Ada Rosso (reply)

    22 Agosto 2018 at 21:45

    Sono proprio,d’accordo. Bisogna tornare a lottare per l’affermazione della cultura e della responsabilità individuale

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