Dopo tante critiche spietate al capitalismo rapace, mi impongo una pausa di riflessione, attiva e costruttiva.

Un approccio riformista e non negazionista o rivoluzionario.

Provo, dopo aver fotografato cinicamente ma spero lucidamente, i disastri compiuti dal modello capitalistico negli ultimi decenni, a girare pagina e a verificare come si potrebbe modificare tale modello, facendolo tornare un esempio virtuoso di coesistenza tra i popoli pacifico e solidale.

L’occasione me l’ha offerta un incontro con un italiano che ha girato il mondo; che, pur non dimenticandosi le sue radici italiane, ha lavorato in grandi ed autorevoli istituzioni internazionali come l’ONU (dove è stato vice segretario dal 2002 al 2010) o la Banca Europea dello Sviluppo (dove è stato segretario generale dal ’94 al 2002) o, ancora, l’Unione Europea (dove ha rivestito il ruolo di Direttore Generale della Direzione Economia e Finanza della Commissione Europea dall’87 al ’92).

Insomma, un curriculum di altissimo livello istituzionale con esperienze in posti chiave della geopolitica mondiale ed europea.

Sto parlando dell’economista Antonio Maria Costa, 79 anni, portati benissimo, torinese, molto stimato dagli addetti ai lavori ma poco conosciuto dal grande pubblico.

Vive attualmente tra Vienna e Bruxelles, collaborando con diverse riviste internazionali. È Editor in Chief del Journal of Policy Modelling.

Costa si è sempre occupato di economia-politica sviluppando una profonda conoscenza della storia delle democrazie occidentali, proprio quelle che stanno zoppicando sotto i colpi dei vari populismi sorti per le devastazioni sociali di un certo capitalismo deteriore.

Con lui ho parlato della crisi del modello capitalistico, scoppiata proprio quando sembrava aver sconfitto per sempre il suo eterno rivale: il socialismo comunista.

Con Costa ho analizzato la situazione odierna e ho cercato di capire come, in base alla sua lunga esperienza, lui gestirebbe “dal di dentro” una riforma del modello.

Eccovi il resoconto della nostra chiacchierata.

Il capitalismo ha creato l’economia moderna – esordisce Costa – ha sconfitto ogni altra ideologia, incluso il comunismo. Ci sono stati scioperi e proteste, certo, eppure per due secoli la libera concorrenza e la proprietà privata hanno generato benessere collettivo”.

Poi cosa è successo?

Da un ventennio, l’economia ristagna, l’esclusione sociale e la devastazione ambientale prevalgono. Il cittadino, disorientato, elegge autocrati nemici del sistema che si trova di fronte ad una crisi esistenziale: evolvere o perire? Per salvare il capitalismo occorre reinventarlo”.

L’analisi di Costa è puntuale e dettagliata: “Il capitalismo nasce per creare ricchezza sulla base di tre principi. “L’egoismo individuale” che genera benessere collettivo (Adam Smith). “La creazione distruttiva” che costruisce nuove attività sulle macerie di altre (Joseph Schumpeter). “La supremazia dell’azionista”, riferimento individuale nell’impresa (Milton Friedman).

Principi certo non etici, eppure capaci di promuovere sviluppo e occupazione”.

Quali sono le cause dello svuotamento valoriale di questi principi? Come mai ad un certo punto il capitalismo ha preso una deriva esclusivamente speculativa e traumatica?

Per Costa ci sono tre cause principali.

La prima“L’egoismo individuale non crea più benessere generale come predicato dai padri fondatori. È avidità pura. Infatti, il capitalismo oggi è degenerato in un impianto che permette a poche aziende privilegiate di estorcere enormi guadagni dal resto della società. Patrimoni di centinaia di miliardi realizzati in mezza generazione: una razzia organizzata a freddo che il Financial Times ha definito “Capitalismo di rendita” sotto tutela politica.

Oggi i governi permettono una concentrazione aziendale senza precedenti. I giganti informatici manipolano mercati, acquisiscono rendite e devastano il resto del tessuto socio-economico.

Atteggiamenti già conosciuti in passato ma soltanto su scala locale oggi sono realizzati globalmente”.

La seconda causa della crisi: “Il fisco. Il capitalismo contemporaneo non si arricchisce solo manipolando i mercati. Elude quanto il cittadino non può evitare: le tasse. La collusione con il potere politico permette ai giganti aziendali di beneficiare di giurisdizioni canaglia e paradisi fiscali. Soprattutto permette loro di sfruttare la corsa al ribasso tra paesi che gareggiano nell’offrire alle multinazionali vantaggi senza precedenti”.

La terza causa: La perdita di fede nel capitalismo: la finanza. Una ventina di anni fa, la spensierata de-regolamentazione del sistema finanziario iniziata dall’amministrazione Clinton ed estesa poi in Europa, ha permesso comportamenti sconsiderati, causa della crisi del 2008. Meccanismi che macinano denaro al solo scopo di produrne altro per pochi privilegiati. Non importa se a danno di altri comparti o dell’occupazione e della produttività. Ne risultano redditi spropositati (come i bonus milionari ai manager di apparente successo) che inflazionano le remunerazioni anche in altri settori. In USA il rapporto reddito da lavoro tra amministratori e dipendenti è salito a 300:1. In Europa, pur alto, è metà di quel valore”.

Sulla base di questa analisi, quindi lei pensa che potrebbero essere avviate delle iniziative concrete per invertire questo trend devastante?

Riportare cioè il modello capitalistico alle sue origini?

Spurgarlo del  marciume speculativo che rischia di portarci tutti ad una nuova guerra mondiale, magari non combattuta con le armi tradizionali, ma con le armi, più subdole e meno individuabili che sono quelle economiche?

Costa individua quattro proposte: tre “figlie” delle tre cause della crisi sopra esposte, una quarta legata a quella che oggi chiamiamo responsabilità sociale dell’impresa e dell’imprenditore.

Le posso sintetizzare così, parafrasando la sua esposizione.

Prima proposta di riforma: per fermare questa devastazione occorre individuare nuove fondamenta giuridiche. Il modello sviluppato nel secolo scorso contro lo strapotere aziendale non è più sufficiente. All’epoca i monopoli danneggiavano i consumatori con prezzi alti. Oggi non derubano il portafoglio del consumatore: gli sottraggono i dati personali e gli limitano la libertà. Proprio su questa ipotesi di reato, si basano alcune recenti iniziative del congresso americano e dell’agenzia federale degli Stati Uniti a difesa del consumatore con l’obiettivo di destrutturare i mega-monopoli per il ruolo duale con il quale soffocano il mercato: sono piattaforme di servizio e al tempo stesso subdoli acquirenti di dati personali. Soltanto una riforma della normativa anti-trust potrà condurre a dei risultati concreti.

Seconda proposta di riforma: bisogna obbligare i nuovi monopoli a pagare le tasse. Questa oggi è la priorità dell’Ocse che conduce il negoziato per definire una imposta equa per le mega imprese. Sono iniziative motivate non da acume politico – secondo Costa – né da equità verso il contribuente; c’è soprattutto attesa del dividendo fiscale. I giganti dell’informatica eludono annualmente tasse intorno ai 500 miliardi di euro. Tassarli rappresenterebbe un potenziale introito utile a paesi come l’Italia gravati da un pesantissimo debito pubblico.

Terza proposta di riforma: restituire alla finanza il ruolo di intermediazione tra risparmiatori ed investitori. Nulla di punitivo: ma l’adozione di misure per scoraggiare la pura speculazione e promuovere ragionevolezza nelle transazioni allungando i tempi materiali di esecuzione, oggi ridotti, dai nuovi algoritmi, ad un centesimo di secondo. Si sta discutendo l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, la vecchia idea di James Tobin, premio Nobel, di “spargere granelli di sabbia nel meccanismo finanziario” per rallentarlo.

Quarta e ultima proposta di riforma: allargare la cerchia dei beneficiari dell’attività economica. Rendimenti per gli azionisti ma anche per dipendenti e clienti e a favore del rispetto dell’ambiente stesso. Il successo dell’imprenditore non risulta solo dal suo talento egoistico: deve riflettere anche l’impegno dei dipendenti e la fedeltà dei consumatori, in un contesto che deve permettere all’eco-sistema di sopravvivere. L’azienda che beneficia della società nel suo complesso deve riflettere gli interessi di tutti nelle proprie finalità: un modello di comportamento sottolineato, tra l’altro, ripetutamente e con forza da Papa Francesco e ora anche apparentemente condiviso dalle leadership politiche. Ci sono segnali sul mercato in tale direzione: le 38 maggiori aziende americane confermano, attraverso la sottoscrizione di un manifesto per un nuovo capitalismo, che il successo imprenditoriale è dovuto non solo all’azionista ma anche a fattori esterni da tenere in conto nelle finalità dell’azienda.

La sintesi del pensiero di Costa porta dunque ad una visione positiva sul futuro “In misura crescente governi, organismi multilaterali ed enti privati mostrano una nuova consapevolezza dell’importanza di fermare il ciclo perverso che ha trasformato la libera iniziativa e la proprietà privata in rendita monopolistica, in evasione fiscale, in una disuguaglianza sociale distruttiva anche per l’ambiente. È nostra responsabilità, in quanto elettori, contribuenti e operatori, partecipare agli sforzi per salvare il sistema liberal-democratico. Le distorsioni fisiologiche che deturpano concorrenza, fisco e finanza vanno corrette al più presto”.

A queste considerazioni dell’autorevole economista italiano, si aggiunge la notizia e l’importanza dell’evento organizzato dal Vaticano a fine marzo ad Assisi. Economy of Francesco, una specie di incontro di Davos in materia di morale in economia. La posta in gioco è alta e l’ambizione percepita è quella di voler proporre soluzioni economico-morali per il futuro. La preoccupazione sta nel fatto che queste proposte che si formuleranno ad Assisi, patrocinate proprio da Papa Francesco, possano fondarsi su “utopie economiche”.

Il problema esiste da sempre poiché l’economia non è una scienza e talvolta sogna e crea utopie.

La speranza è che l’autorità del Papa e la consapevolezza delle classi dirigenti imprenditoriali e politiche di una effettiva riforma del modello capitalistico, contaminino positivamente le decisioni delle leadership mondiali.

Non abbiamo tanto tempo e le riflessioni di Costa dovrebbero convincerci ad occuparci subito e con grande impegno di questa priorità strategica del Villaggio Globale.

Comments (2)
  1. maurizio baiotti (reply)

    4 Marzo 2020 at 13:19

    Molto interessante, ma sarà possibile attuare quanto consiglia Costa?

  2. Riccardo Tosi (reply)

    8 Marzo 2020 at 18:06

    Costa, da esperto quale è, ha esposto nei dettagli le ragioni del semi-fallimento e i possibili rimedi per “resuscitare” un capitalismo che, ormai da anni e senza essere così incisivo, ho definito becero. Becero perché è riuscito a trasformare un processo che poteva e doveva essere virtuoso (e te lo sta dicendo un socialista convinto!) in un vizioso declivio! Un modello che, se disegnato con lungimiranza e non con egoismo, avrebbe potuto aprire ai popoli ben altre prospettive. Una famelica ottusità, una assente visione prospettica ci hanno invece precipitati nell’attuale, drammatica situazione. Vorrei poter essere ottimista, ma temo che le generazioni più vicine riusciranno a godere di un capitalismo più umano e aderente alla realtà.

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