La lettura dei dati è agghiacciante.

Sei quasi portato a sperare, per sopravvivenza, in una colossale fake news.

Poi, se non ti arrendi ed entri con attenzione maggiore nel tema… ti metti le mani nei capelli!

In un paese normale (cosa che non siamo più da tempo) la questione demografica sarebbe, da almeno un paio d’anni, (le prime avvisaglie pericolose furono annunciate proprio da uno studio della Banca d’Italia nel 2017) una priorità strategica dell’Italia.

Un governo adeguato e con un minimo di visione, destinerebbe alla lotta contro la denatalità e la conseguente progressiva decrescita, una magnitudo di risorse tale da cercare di invertire un trend pericolosissimo.

Quello che è peggio, però, è che, salvo alcune Cassandre snobbate o criticate per eccesso di catastrofismo, la gran parte di noi non conosce il problema o comunque non ci mette la dovuta attenzione.

Lo sottovaluta; non lo considera quindi una priorità.

Culturalmente siamo portati, e i media non ci aiutano a cambiare mentalità, a considerare la riduzione dei neonati un fatto privato, contingente, già capitato e risolto nella storia dell’umanità.

Perché preoccuparci troppo e dedicarci fin da oggi attenzione e risorse?

In più la nostra classe politica fa finta di niente.

Salvo il caso, unico e solitario, della ministra Bonetti (che insieme al prof. Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale alla facoltà di economia dell’Università Cattolica di Milano, sta lanciando da tempo grida di allarme in tal senso) ci si limita a slogan saltuari, a semplificazioni demagogiche, destinando in sede di redazione della legge finanziaria o di stabilità annuale, pochi spiccioli, non valorizzati in un grande e ormai drammaticamente necessario piano strategico per aiutare le famiglie italiane a riconquistare fiducia nel futuro  e voglia di fare figli.

Nel 2019, i dati ci dicono che le nostre donne hanno partorito 1.29 figli a testa: di conseguenza i nuovi bambini che vengono al mondo non riescono a sostituire quelli che se ne vanno. Da due genitori nasce praticamente un figlio. Per ogni generazione si perde un cittadino prospettico.

Nel 2019 sono nati 435.000 bambini (siamo nella parte bassa della classifica dell’Unione Europea) e sono morti 647.000 italiani.

Nei prossimi trent’anni le nascite scenderanno ancora e le morti raddoppieranno.

Nel 1950, l’Italia era il decimo paese più popolato nel mondo: oggi è a stento tra i primi 30.

Secondo l’Istat nei prossimi trent’anni la popolazione mondiale crescerà di due miliardi, mentre quella italiana diminuirà di altri due milioni di individui.

Una catastrofe annunciata insomma, di cui non conosciamo evidentemente in modo adeguato il contenuto e i rischi, soprattutto per i nostri figli e per i nostri nipoti.

Ho deciso pertanto di prendere in mano e di compulsare con attenzione alcuni dei rapporti che circolano sulle scrivanie degli addetti ai lavori, realizzati da alcune istituzioni internazionali.

Mi sono riferito, per esempio, al report dell’Economist, denominato “The world 2050”, per cercare di capire meglio questo fenomeno, per avere più informazioni relativamente ad un tema che nel nostro paese non sfiora neanche le prime pagine dei giornali.

Ho anche esaminato le conclusioni delle indagini fatte dalla Goldman Sachs e del più grande fondo di private equity nel mondo, BlackRock. Infine, sono andato a recuperare lo studio della Banca d’Italia dal titolo “Contributo della demografia alla crescita economica” pubblicato nel 2017 ma ancora di grande e drammatica attualità.

Non volendo sommergervi di dati e diagrammi, mi limiterò ad una sintesi, tra l’altro sostanzialmente condivisa dalle varie e autorevoli analisi citate, della fotografia che emerge riguardo al nostro paese con riferimento all’oggi e alla nostra situazione prospettica tra trent’anni, nel 2050.

Quando, cioè, quei pochi bambini che stanno nascendo mentre leggerete questo articolo, avranno 30 anni.

L’età del trasferimento dalla fase dell’apprendimento a quella del lavoro.

Il momento cruciale delle scelte della loro vita.

State a sentire dunque quanto sto per raccontarvi, cercando di resistere fino in fondo senza cadere nella depressione più totale mista ad una rabbia che dovrebbe cogliervi con riguardo al nostro inaccettabile egoismo.

Su questo tema ci tornerò sopra in chiusura di questo pezzo ma, vi anticipo, che la responsabilità di quanto sta accadendo è solo nostra, della nostra generazione. Siamo stati e siamo miopi e chiusi in una visione del presente senza mai occuparci del futuro. Senza mai metterci una goccia di altruismo dedicata al mondo che stiamo per lasciare ai nostri giovani.

Provo a sistematizzare i risultati delle varie indagini che ho citato.

1. Il dato più facile da percepire è quello tracciato dall’Istat: nel 2050 saremo circa 2 milioni in meno. Abbiamo fatto meno figli e ormai ne partoriamo soltanto 1.29 per donna adulta. Nei prossimi trent’anni le nascite scenderanno di poco e come detto i decessi raddoppieranno.

Saremo dunque di meno e conseguentemente, produrremo di  meno e consumeremo di meno. Tutto ciò dà luogo a stime di crescita assai basse da qui fino al 2050.

La tesi centrale contenuta nel rapporto della Banca d’Italia del 2017 è impressionante: se tutte le variabili economiche rimanessero “congelate” al 2017 (dalla produttività, al tasso di occupazione, al tasso di qualità del capitale umano) e l’unica variabile a muoversi fosse quella della diminuzione della popolazione, il PIL nel 2061 avrebbe una contrazione del 24.24%!

Uno scenario apocalittico che già di per sé dovrebbe scatenare quell’attenzione che invece non mettiamo su questo tema.

2.L’Economist ha declassato l’Italia nella classifica del PIL mondiale dall’attuale 12° posto al 21° posto nel 2050. Stessa retrocessione l’hanno operata anche Goldman Sachs e BlackRock.

I pochi bambini che stanno nascendo in questi giorni e che compiranno trent’anni nel 2050 vivranno in un paese di vecchi con gli over 65 che costituiranno il 34% della popolazione.

Secondo un rapporto della Commissione Europea gli over 80 saranno il 14% del totale della popolazione, il doppio di oggi.

Se sommiamo i due dati, i trentenni nel 2050 dovranno caricarsi sulle spalle il costo di circa il 50% di over 65.

3.Il dramma di questa fotografia è che quei trentenni dovranno vedersela da un lato con un PIL cresciuto pochissimo, molto meno degli altri paesi occidentali, e dall’altro con un tasso di disoccupazione ancora intorno al 7-8% a causa anche dell’introduzione delle nuove tecnologie dell’Intelligenza Artificiale che secondo la McKinsey comporterà una riduzione di posti di lavoro nel mondo tra i 400 e gli 800 milioni e cioè tra il 15 e il 30% del totale.

L’Italia, secondo la McKinsey si collocherà a metà strada con una perdita del 25% degli attuali posti di lavoro.

4.In quell’Italia del 2050 quei tantissimi vecchi costeranno “una follia” alle casse dello stato sia per le pensioni da erogare, sia per il costo dell’assistenza sanitaria.

Infatti, l’invecchiamento della popolazione non potrà che creare un aumento ad esempio della spesa farmaceutica che, secondo le statistiche, negli ultimi due anni di vita di una persona è maggiore di quella sostenuta nell’arco dell’intera vita. Un dato per farvi capire il tema: la spesa farmaceutica rispetto al PIL è oggi del 6.6% e nel 2050 sarà del 7.8%.

La spesa globale sul PIL salirà dal 15.8% di quest’anno al 17% del 2050.

Le pensioni passeranno dai circa 255 miliardi anno a circa 336: 80 miliardi di euro in più.

Questo lo dice l’Istat chiamandolo “l’indice di dipendenza” che dà la misura di quanti anziani vengano mantenuti da chi lavora: oggi gli over 65 ogni 100 cittadini in età lavorativa sono circa il 39%, nel 2050 arriveranno quasi al 70%.

Come darci un minimo di speranza che tutto ciò possa non accadere con questa drammatica dinamica numerica?

Come si potrebbe contrastare questa tragica tendenza?

Definendo, secondo gli esperti, una strategia che preveda fin da subito dei benefits per le famiglie, soprattutto per quelle di coppie giovani, in modo tale da aumentare la loro fiducia nel futuro e conseguentemente il numero dei neonati da mettere “in cantiere”.

Inoltre, spiegano gli esperti delle istituzioni citate, un aumento del tasso di produttività annua dell’1% potrebbe invertire il risultato, segnando nel 2060 una crescita complessiva del PIL rilevante rispetto ad oggi e con tutte le conseguenze positive sulla vita dei cittadini e sui conti della finanza pubblica.

Già, ma come è immaginabile un aumento dell’1% del tasso di produttività annua di un paese come il nostro che, senza riforme, continua, in ogni esercizio finanziario, a non crescere, aumentando quindi un debito già enorme e continuando a non intervenire sui tagli necessari alla spesa pubblica?

La demografia non è un destino ineluttabile – scrive Alessandro Rosina – lo diventa se non ci prepariamo per tempo. Soprattutto se non consentiamo ai giovani di essere ben preparati per una lunga vita attiva. L’Italia rischia di scivolare irrimediabilmente in un circolo vizioso di basso sviluppo, bassa disponibilità di giovani qualificati, bassa innovazione, bassa espansione di nuove opportunità di lavoro e bassa crescita competitiva delle aziende. Senza un piano che consenta alle nuove generazioni (quale che sia il genere o il luogo di nascita) di diventare parte attiva e qualificata dei processi di crescita, non solo mancherà l’energia propulsiva nei prossimi anni, ma andranno ad accentuarsi squilibri tali da compromettere in modo insanabile il percorso dell’Italia per tutto il resto di questo secolo”.

La mina demografica è dunque già innescata: dobbiamo assolutamente trovare gli artificieri che non la facciano scoppiare.

Serve attenzione, professionalità e volontà politica per mettere al primo posto dell’agenda del governo questa delicatissima priorità.

Il nuovo responsabile dell’economia del PD, il prof. Emanuele Felice, docente di politica economica all’Università di Pescara, si candida ad avviare questo processo necessario. Sulle colonne di Repubblica ha letteralmente dichiarato: “Penso che il PD debba proporsi proprio come il partito che offre tutele, garanzie, inclusione: che riduce le disuguaglianze per fare uscire l’Italia dal declino e per attivare finalmente una politica economica destinata ai giovani”.

Facendoli rimanere qui e non preparandogli un futuro di rovine… aggiungo sommessamente io.

Stiamo a vedere come il prof. Felice si muoverà nei prossimi giorni.

Comments (1)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    8 Marzo 2020 at 17:34

    Riccardo, hai dipinto un quadro veramente drammatico del futuro che si sta profilando all’orizzonte, per i giovani e i meno giovani. Devo confessarti che mi riesce difficile immaginare dove chi ci governa potrebbe reperire le risorse atte a contenere, se non a risolvere, questo grave problema. La fonte dell’evasione è la prima risorsa che mi balza alla mente. Ma i governi arcobaleno che si sono succeduti da decenni non hanno dimostrato la volontà, più che la capacità, di volerlo risolvere! Siamo poi sicuri che dietro l’instabilità che in genere motiva il deficit demografico non si nasconda un po’ d’egoismo delle giovani coppie?!

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