Ieri sono iniziati i campionati mondiali di calcio. L’Italia non ci sarà e quest’assenza è la spia di un paese prostrato, stanco, disilluso. L’Italia è un paese immobile, incerto, abituato ad arrangiarsi, si sente inferiore ma non lo ammette, non fa niente per crescere. L’Italia è un paese antico che ama le cose vecchie con un autostima ridotta ai minimi storici.

Gli italiani si sentono perdenti, attribuendo ad altri: al destino, all’Europa, all’Euro, ai migranti, al vicino della porta accanto, le cause degli insuccessi. Gli italiani dicono di essere pragmatici perché l’unica cosa in cui credono è la religione del risultato. Non ha importanza come lo si ottiene, non interessa altro. Gli italiani considerano la furbizia una virtù. Gli italiani desidererebbero giocare senza regole, e se proprio non si può, almeno interpretarle a proprio vantaggio. Gli italiani sono un popolo vecchio che tende ad invecchiare sempre di più.

I vecchi si sa, in genere, sono conservatori, non amano cambiare le loro abitudini, i loro convincimenti formatisi in anni e anni di lotte per conquistare quel poco o tanto che hanno e che vorrebbero godere senza disturbi.

Gli italiani sono diventati egoisti, individualisti, contraddicendo l’altruismo e lo spirito di accoglienza che le generazioni dei padri, dei nonni, e degli avi antichi coltivavano ereditariamente, perché quella era la cultura dei popoli del Mediterraneo.

L’accoglienza era sacra e l’ospite anche. Qualcuno obietterà, i numeri erano diversi, certo, ma anche le risorse.

Gli italiani si rinchiudono nelle loro case, sperando che là fuori qualcuno pensi a gestire la complessità che li circonda e che spesso supera la stessa volontà dei popoli che la subiscono. Gli italiani non amano la complessità, preferiscono la semplificazione. Gli italiani si innamorano delle parole d’ordine, che nella loro semplicità promettono la soluzione dei problemi complessi presenti nella realtà del terzo millennio.

Non sono passati molti anni da quando gli italiani si innamorarono della parola “Rottamazione”.

Intravidero in quella parola-slogan, la possibilità di buttare il vecchio per costruire il nuovo, senza nessuna riflessione sul valore del vecchio da buttare e le caratteristiche del nuovo da accogliere.

La parola “Rottamazione” nella sua semplicità riconduceva ad azioni promozionali orchestrate dalle case automobilistiche che in cambio della vecchia auto offrivano un’auto nuova a condizioni vantaggiosissime.

Nella realtà politico-sociale il paragone non resse. Per tante ragioni non durò molto e soprattutto non durò perché la promessa non fu mantenuta o così giudicò chi si era innamorato della parola “Rottamazione”.

La parola- slogan di oggi è “Cambiamento”. Ancora una volta si promette di cambiare il vecchio con il nuovo e ancora una volta l’innamoramento degli italiani è inarrestabile. La parola cambiamento non ha un significato preciso, perché si può cambiare in ogni direzione, quindi “Cambiamento” andrebbe corredato da uno o più aggettivi che indichino la direzione e le intenzioni. Agli italiani per adesso è sufficiente la promessa di cambiamento, poi si vedrà.

La Storia non si ripete, anche se qualcuno sostiene che quando la Storia sembra ripetersi, trasforma la tragedia della prima volta, in farsa.

Con tutte le cautele e i distinguo del caso, a me sembra che un cautissimo riferimento al 1789, senza ghigliottina, può essere azzardato.

La “Rottamazione” conquistò la Bastiglia (1789) della vecchia politica avvolta nelle sue liturgie e dominata da visioni socio-politiche forse superate, la emarginò fino al dissolvimento scissionistico.

La Rottamazione cercò di conquistare nuovi consensi in altre aree, ma il tentativo fallì e l’innamoramento finì.

Oggi c’è il “Cambiamento” con la presa del potere da parte di un binomio (IL Direttorio 1794) che si ripromette di ribaltare tutte le politiche precedenti: in campo economico-finanziario, in politica estera, nei confronti delle emigrazioni, nei rapporti con l’Europa e altro ancora.

È presto per dire cosa succederà nei prossimi mesi e anni, ma se ci attenessimo al parallelismo con la Rivoluzione Francese senza sangue, dopo il Direttorio  ci fu il Consolato e poi l’Imperatore. Figure Istituzionali che condussero alla Restaurazione.

La domanda cruciale è: se il percorso politico degli italiani dovesse condurre alla Restaurazione, cosa ci sarà da restaurare?

Comments (1)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    15 Giugno 2018 at 9:56

    Bravo Fidelio, analisi impietosa, ma corretta, siamo all’imbarbarimento e al trionfo dell’ignoranza e della maleducazione, purtroppo senza speranza prevedibile a breve.

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