Quattro argomenti apparentemente lontani.

Diversi.

Autonomi e indipendenti.

O forse no?

O forse quattro “titoli” che caratterizzano la nostra attualità quotidiana e che rappresentano la controversa complessità con la quale dobbiamo confrontarci ogni giorno. Quattro elementi che compongono la nostra ansiogena, confusa realtà connessa in modo inquietante e potenzialmente pericolosa al Presentismo.

All’occuparci, cioè, sempre e soltanto dell’Oggi, dimenticando il Ieri e sottovalutando il Domani.

Purtroppo non siamo aiutati dalla politica che, salvo alcuni rari esempi, ragiona sul quotidiano senza assolvere al suo dovere primario di impostare programmi a medio-lungo termine.

Avremmo bisogno di confrontarci non sempre e soltanto con l’ordinaria amministrazione dell’Oggi, ma ragionando sul futuro, su quel Domani da impostare Oggi, soprattutto avendo la responsabilità, proprio in questi mesi, di non sprecare i fondi del PNRR, una specie di Piano Marshall 2, una “una tantum” che non ci capiterà più per decenni.

Torniamo però ai quattro argomenti che ci hanno spinto a questa riflessione che speriamo inneschi discussioni e confronti, anche accesi se basati su capacità di ascolto e rispetto, tra di voi, cari lettori di Pickett.

Mi riferisco (i) all’intervento del prof. Bernardo Bertoldi, socio fondatore dell’edizione online de L’Incontro, sulla questione sollevata dallo storico Alessandro Barbero a proposito delle donne e dei loro deficit competitivi; (ii) alla trasmissione televisiva Rebus, il programma della domenica pomeriggio su Rai 3; (iii) al fenomeno politico Eric Zemmour, il giornalista di Destra che sta facendo sognare molti francesi alla vigilia delle elezioni per il nuovo Presidente della Repubblica; (iv) alla serie televisiva sud coreana Squid Game che sta ottenendo un successo mondiale incredibile (111 milioni di spettatori per le prime puntate), nonostante le polemiche e le grida di allarme lanciate da molti educatori.

Il giudizio di Barbero e il commento di Bertoldi

Non torniamo sul contenuto delle affermazioni dell’illustre storico sul genere femminile.

Ci limitiamo ad osservare che ogni tanto “l’arte di tacere” sarebbe una scelta opportuna.

Ci interessa, invece, sottolineare la nostra condivisione alla tesi esposta dal prof. Bertoldi sul metodo che dovremmo “Sempre” darci, soprattutto quando non siamo d’accordo su quanto affermato dal nostro interlocutore: il confronto deve essere sempre basato sul rispetto, la capacità di ascolto, il diritto di esprimere le nostre opinioni, condivisibili o meno.

Nel merito di quanto dichiarato da Barbero, nutriamo parecchie perplessità ma quello che ci preoccupa di più è il constatare la diffusione di un certo tipo di conformismo che introduce surrettiziamente nuove forme di censura.

Ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di esprimere le sue opinioni, logicamente senza diffamare nessuno: a noi spetta il corrispondente diritto di controbattere il suo pensiero articolando le nostre opinioni anche se distinte e distanti.

Nessuno è depositario di verità assolute: leggiamo, confrontiamoci, cerchiamo di capire dove risiedano le differenze, difendiamo le nostre opinioni sapendo che, proprio perché opinioni, si possono cambiare, anche in pochi minuti.

Ci teniamo a riportarvi un pensiero di Aldo Grasso, scritto sul Corriere della Sera: “In giro ci sono già troppi gendarmi del pensiero: quelli mossi da vecchi stereotipi e da ideologie sessiste, e quelli, ora dominanti nei collage americani, finalizzati alla promozione della diversità, dell’inclusione, della cancellazione.

Tutti parlano per tappare con violenza la bocca agli altri, ignorando che ‘il silenzio può talvolta fare le veci della saggezza per il povero di spirito’”.

Rebus: finalmente una trasmissione utile e stimolante

Ci ha colpito “il pensiero lungo”, nonostante l’angoscia dei tempi televisivi.

L’ironia e l’autoironia dei due protagonisti del programma: Giorgio Zanchini e Corrado Augias; la capacità, in pochi  minuti, di saper entrare in profondità in tematiche complesse e spesso divisive, per raccontarci il loro pensiero, con toni seri e professionali ma sempre “bassi”  e costruttivi.

Una trasmissione, insomma, a “decibel” non gridati, con contrapposizioni anche forti e accalorate ma sempre spiegate, approfondite, articolate.

Mai con l’arroganza di voler convincere ma con la consapevolezza di voler contribuire alla costruzione di una nostra opinione.

Opinione che, magari, grazie a Zanchini e Augias e ai loro illustri e stimolanti ospiti, durante la trasmissione, può cambiare o, comunque, arricchirsi di informazioni nuove e sconosciute

Sì, anche in questo caso, torniamo al metodo, quello sollevato dal prof. Bertoldi, che, a volte, diventa merito.

Complimenti quindi a Zanchini, ad Augias e al Direttore di Rai 3.

Eric Zemmour: chi era costui?

Fino a poco tempo fa lo conoscevano, anche nel suo paese, pochi francesi.

I suoi lettori di nicchia e pochi altri, affascinati dalla sua verve polemica e fortemente di parte.

Nel giro di qualche mese, Eric Zemmour è diventato una star mediatica, un caso politico, addirittura un candidato alla successione di Emmanuel Macron anche se il giornalista non ha mai ufficializzato una sua candidatura.

63 anni, una carriera di giornalista di Destra sempre sulle barricate per battaglie divisive e fortemente impregnate di ideologia ultra conservatrice.

Zemmour è ebreo e tra i vari interrogativi che solleva il suo successo c’è anche quello che concerne il significato dell’essere ebreo nella Francia del III millennio.

Un argomento delicato che mette le mani nelle “viscere” del paese transalpino.

Il suo ultimo saggio intitolato “La Francia non ha ancora detto la sua ultima parola” sta riscuotendo un successo importante che scala le classifiche dei libri più venduti.

Nei sondaggi per l’Eliseo, Zemmour è passato dal 7% al 17% delle preferenze dei francesi, secondo l’ultimo sondaggio pubblicato da Le Figaro. Apparentemente Zemmour sta raccogliendo più consensi del favorito della Destra conservatrice Xavier Bertrand ed è alla pari con Marine Le Pen.

Molti lo definiscono un Trump alla francese: qualcuno pensa che sia soltanto una “bolla mediatica” che presto si sgonfierà.

In ogni caso, sta diventando il punto di riferimento per la Destra e soprattutto per l’estrema Destra: “Davanti all’entusiasmo che sta suscitando, abbiamo una responsabilità  – spiega Olivier Ubéda, il suo responsabile per la comunicazione, ex consulente di Sarkozy, un po’ il Morisi di Zemmour – Eric è nella tradizione di una destra conservatrice, bonapartista, quella che un tempo era l’Rpr, il partito neo gollista”.

Perché lo citiamo tra i quattro argomenti sui quali vale la pena riflettere?

Perché Zemmour può rappresentare una nuova forma di populismo “opaco”: dice a voce alta quello che tanti francesi pensano senza osare dirlo.

Manipola la storia e fornisce speranze e sogni a quei francesi, tanti, delusi dalla politica degli ultimi tempi: “I suoi discorsi – ha scritto Tahar Ben Jelloun – corrispondono alle attese di una parte di quelli che pensano che tutto il male venga dall’immigrazione, legale o clandestina, che i criminali siano tutti immigrati, che la Francia se la passerebbe molto meglio se tutte queste persone venissero rispedite a casa loro”.

Seguiamolo nei prossimi mesi Eric Zemmour perché potrebbe fornirci lo stimolo per trovare anticorpi contro dei suoi emulatori italiani.

Squid Game: un modello educativo devastante … ma fatto benissimo!

Se non l’avete ancora vista la serie televisiva, guardatela, prima di tirarne poi delle conclusioni secondo la vostra sensibilità.

Oggi la produzione coreana rappresenta il maggior successo televisivo mondiale con oltre 100 milioni di utenti.

La cosa che più colpisce è il fatto che ha la stessa matrice di altri fenomeni televisivi o cinematografici basati grosso modo sulla medesima trama: un gruppo di persone, più o  meno disperate o disparate, costrette a sopravvivere in un ambiente creato artificialmente per il divertimento di altri.

La serie televisiva parallelamente al successo ottenuto, ha scatenato polemiche e grida di preoccupazione.

Abbiamo stralciato alcuni esempi di lettere inviate da lettori che reagiscono al dibattito su Squid Game.

Ho letto che in alcune scuole piemontesi gli insegnanti si sono accorti di giochi violenti in stile Squid Game, la serie vietata ai minori di 14 anni e che pare invece sia seguita anche da bambini più giovani. Ma è giusto chiedere con una petizione di sospendere la serie tv?”

“Le regole dovrebbero darle i genitori e questa serie è vietata ai minori di 14 anni. Il problema è la serie o i genitori che non sanno dare delle regole?“.

“Adesso il problema è Squid Game?  Ma la colpa è sempre di film, internet e video giochi se i bambini fanno giochi violenti?”.

E ancora: “Ogni volta che un ragazzino ha un atteggiamento sbagliato o violento a scuola è colpa dei programmi televisivi, dei giochi, della serie, della musica. Non è mai colpa dei genitori, mah!”

Concludiamo questa carrellata con una lettera di una insegnante: “Sono una maestra, bambini di terza e quarta elementare durante la ricreazione parlano di questa serie con una competenza da accaniti fans, senza parlare dell’emulazione … credo che questi bambini siano lasciati troppo, troppo soli!”.

Bisogna dare atto agli autori di Squid Game di aver avuto qualche uscita geniale, proponendo spunti di riflessione psicologica che andrebbero studiati prima di fare un dibattito basato sulla presenza o  meno di una violenza emulativa già d’altronde caratterizzante in molti altri film o serie televisive.

Per chi non l’avesse ancora vista, Squid Game racconta le disavventure di un gruppo di poveri, oppressi dai debiti, che si affrontano tra loro per denaro e per il divertimento di qualche anonimo riccone.

Come già detto, la serie è fatta molto bene ed è per questo che vale la pena riflettere sul suo successo.

Personalmente l’amarezza provata nel guardare i primi due episodi della serie è relativa alla circostanza che la storia umana non ha mai registrato disuguaglianze così brutali come quelle che caratterizzano la storia coreana.

Il miliardario sud coreano è più ricco di milioni di lavoratori sud coreani, la cui vita, appunto, non vale nulla. Forse, proprio qui, come ha scritto Aldo Cazzullo, nella sua brutale esagerazione, Squid Game è il gioco della nostra epoca: l’immagine  della storia di una disuguaglianza inaccettabile.

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