Estate, di solito, significa vacanze, divertimento, stacco rispetto alla quotidianità lavorativa. Una pausa di riposo e, per chi ci riesce, una ossigenazione del cervello su cose diverse. In realtà, la vera sfida è quella di riappropriarsi del nostro tempo libero, decidendo, a piacere, come riempirlo. Dal guardare la natura, soffermandosi pigramente a osservare particolari che nella foga quitidiana ci sono sfuggiti, al fare dello sport, delle passeggiate sulla riva del mare o sulla nostra splendida cerchia alpina. Dal leggere libri e giornali al meditare e scrivere soddisfacendo curiosità e passioni.
Tutto è lecito ovviamente, secondo gusti e attitudini: quello che gli esperti consigliano è però lo “stacco”, il cambiare il contenuto delle nostre giornate permettendo al cervello di non usare sempre e doverosamente gli stessi file ma di aprirne di nuovi o di recuperarne di vecchi finiti nel dimenticatoio.
Pickett ha deciso di provarci confrontandosi con un vecchio amico, spesso ospite e contributore di questo Blog. Con Fidelio ci siamo seduti sotto un pergolato della sua bella casa in Toscana e, senza angosce legate allo scorrere delle lancette dell’orologio, abbiamo provato a ragionare insieme, confrontandoci su un po’ di temi di attualità. Quelli che ci scorrono sotto gli occhi ogni mattina sul cartaceo o sul device dei giornali, senza avere spesso il tempo di approfondirli, fermandoci magari un secondo di più per capire, riflettere e ragionare sul cosa ci sta succedendo intorno.

Abbiamo impostato la discussione su delle domande comuni a cui abbiamo cercato, più che di rispondere, di riflettere in modo virtuoso e non settario.

Question (“Q”): Andiamo in vacanza con un mondo incerto, confuso, pieno di insicurezze. Qualcuno parla addirittura della vigilia di un’altra guerra mondiale. Ci sono preoccupazioni ma ci sono soprattutto vuoti decisionali e malesseri di molta parte dei cittadini del Villaggio Globale che la presunta ripresa economica, o comunque l’agiatezza in termini generali la vedono da lontano, troppo da lontano, con il binocolo.

Fidelio (“F”): “Questa crisi, questa incertezza, viene da lontano. Da quando gli ultra liberisti presero la leadership mondiale, certo attraverso la via democratica delle elezioni. Con Reagan e con la Thatcher iniziò una nuova modalità di convivenza chiamata alternativamente Globalizzazione/Delocalizzazione/Libera circolazione del denaro senza regole, che ha innescato una deriva al ribasso. Sono esplosi gli squilibri sociali e la forbice tra ricchi e poveri è aumentata in maniera mostruosa”.

Pickett(“P”): “Condivido, anche se il periodo reaganiano e thatcheriano ha rappresentato, anche, la fine di una certa modalità di gestire politicamente e socialmente le varie Nazioni ormai insostenibile dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista della  meritocrazia. Gli anni ’80 dovrebbero però essere riletti con attenzione, non con approccio manicheo. Presentano dei chiaro-scuri che indubbiamente da un lato hanno innescato il processo di finanziarizzazione del mondo che ha portato alla catastrofe del 2007 ma, dall’altro, hanno innescato anche i germi di una ripresa di energie e di voglia di abbattere i muri che  ha permesso a noi tutti di vedere, nel 1989 la fine della Guerra Fredda. Lo sbaglio è stato anche quello di pensare che da quel momento i problemi internazionali erano finiti e si sarebbe dovuto semplicemente esportare il modello democratico dei vincitori”.

Q: Dunque la vera sfida delle nuove leadership mondiali è quella di intervenire presto e bene sulla redistribuzione del reddito, sulle ingiustizie sociali.

F: “Credo che dobbiamo ripartire da una riconsiderazione del welfare, della modalità con cui lo Stato interviene per ridurre gli squilibri sociali e garantire a tutti un certo livello dignitoso di vita, di istruzione e di assistenza sanitaria. Dagli anni ’80 il mondo del welfare si è via via impoverito, cancellando istituti e diritti che erano stati faticosamente conquistati dalla classe dei lavoratori. Adesso quel modello va riletto, attualizzato, tenendo conto anche dei processi migratori che rivoluzioneranno la mappa del nostro mondo nei prossimi anni. Dove reperire le risorse? Credo che sia una scusa quella di affermare che quel tipo di welfare, tanto per intenderci quello degli anni ’70, non sia più finanziabile dalle attuali risorse pubbliche. Basterebbe che i governi, a risorse economico-finanziarie pubbliche ridotte, modificassero le priorità di intervento privilegiando il welfare e intervenendo, ad esempio, sulla fiscalità rendendola ancora più progressiva. Lo Stato, la leadership politica cioè, deve riappropriarsi di funzioni che non ha più svolto. Viviamo in una società sempre più vecchia in cui i protagonisti hanno una carta di identità datata e tendenzialmente sono anche i rappresentanti delle classi più ricche. Dunque conservazione e gestione dell’ordinaria amministrazione sono i due driver fondamentali: dobbiamo tenerne conto, cercando però di cambiarli. Se no la situazione non potrà che peggiorare”.

P: “Sì credo che una nuova politica di redistribuzione del reddito prodotto debba diventare la priorità numero uno di tutti i governi, soprattutto dei paesi cosiddetti sviluppati. Il malessere che sta per scoppiare (o è già drammaticamente scoppiato) in forme di violenza fisica e psicologica può essere arginato, come ci insegna la storia dell’umanità, soltanto con interventi pubblici mirati a ridurre la forbice tra ricchi e poveri e a migliorare la qualità della vita dei meno abbienti. Tra l’altro credo che questa sia l’arma per ridurre il consenso verso forme di terrorismo che pescano nell’area del malessere, ad esempio nelle periferie delle grandi città del mondo, strumentalizzando il bisogno di equità e di una vita migliore delle classi più povere. Mission impossible? Dipende dalla politica e dipende anche dalla responsabilità che i capi dei vari governi sapranno assumersi in termini di visione globale e solidale. Abbiamo bisogno di statisti e non di “amministratori di condominio” legati a scadenze elettorali così brevi da impedire qualsiasi disegno visionario.

Q: In questo complesso scenario che avete dipinto il ruolo dell’Europa dovrebbe essere uno dei cardini per determinare il successo o l’insuccesso di questa auspicata svolta politica e strategica.

F: “Sono pessimista sul ruolo dell’Europa. Purtroppo non c’è e non credo ci sarà mai una Europa unita. Il nostro continente si è spaccato, temo per sempre, dal Concilio di Trento (1545) e dalla Pace di Vestfalia (1648) quando iniziarono le varie guerre tra gli staterelli europei. La riforma luterana divise in due, culturalmente ed eticamente, l’Europa, creando educazioni, comportamenti e visioni della vita così diversi tra di loro da rendere veramente difficile la loro integrazione. Inoltre credo che i promotori di questo affascinante ma forse velleitario progetto sbagliarono ad allargare l’Unione Europea a 28 membri con una governance basata sull’unanimità. Fu in quel momento sancito il principio di una ingessatura che ha fatto, sta facendo e farà anche in futuro da “tappo” ad una vera integrazione europea. Non vedo all’orizzonte un Roosevelt o un Adenauer che possano assumere una leadership in grado di fare davvero uno scarto di qualità. Ci vorrebbe uno statista con una tale energia, una tale passione e una tale professionalità da andare oltre, con le sue decisioni, al pensiero dominante. Ecco perché sono pessimista”.

P: “Io ripartirei da Ventotene, da quella piccola isola del Tirreno dove nacque, in un periodo sicuramente più complesso, tragico e difficile rispetto a quello di oggi, un’idea straordinaria, pensata da uomini visionari che sapevano vedere “oltre” la triste quotidianità delle loro giornate di confinati dal fascismo. Renzi, lo scorso agosto, creò una grande suggestione invitando i colleghi tedeschi e francesi proprio a Ventotene con un messaggio pieno di voglie di ripartire proprio dal manifesto di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e gli altri antifascisti imprigionati su quell’isola. Fu un’idea molto bella che creò anche una grande illusione che però dovette scontrarsi, come Pickett scrisse proprio nell’agosto del 2016, con la miopia di classi politiche che devono ragionare su orizzonti temporali molto, troppo brevi e legati quindi allo “stomaco” degli elettori del momento storico. Io non credo che ci siano alternative ad un’Europa unica che possa, rivendicando il suo passato e i suoi valori fondanti, competere con i grandi giocatori mondiali del Villaggio Globale. Certo bisogna ragionare su una governance più efficiente; bisogna probabilmente prendere atto che il differenziale di capacità produttiva e di creazione di valore dei vari membri impone una diversa classificazione dello “stare insieme”; bisogna anche non offendersi o considerare il progetto fallito qualora fosse necessario ridurre il numero dei membri dell’Unione; bisogna, infine, sostituire la Bruxelles dei tecnocrati ragionieri con una Bruxelles di rappresentanti dei popoli desiderosi di stare insieme e di farsi governare insieme senza tanti se e senza tanti ma dettati più dall’economia che non dalla politica. Bisogna quindi procedere in questo progetto e non, come purtroppo Macron ci sta facendo vedere, crederci a livello di slogan in campagna elettorale e poi, ai primi sobbalzi umorali dell’elettorato, fare marcia indietro e prendere decisioni assolutamente contrarie ad una vera integrazione tra popoli che vogliono stare insieme per vincere la loro sfida nei confronti degli altri competitor internazionali”.

Q: In tutto questo complesso contesto politico ed economico, quanto ha inciso e quanto può rappresentare un valore o un disvalore la rivoluzione di internet?

F: “Non ho dubbi sulla utilità di questo nuovo strumento di conoscenza. Sono però molto preoccupato dalla creazione di un nuovo monopolio formato dai 4-5 grandi giocatori del sistema, oggi quasi tutti americani, che rappresentano una concentrazione di potere non solo economica, ma anche politica. Hanno in mano una conoscenza del “chi siamo noi” inimmaginabile, che incide e inciderà sempre di più sulle nostre libertà individuali e quindi anche sulla democrazia. Siamo finiti in un cul de sac in cui è necessario pensare ad una governance mondiale (difficilissima ma da ricercare in tutti i modi!) che metta in campo una normativa anti trust efficiente e tale da limitare sul serio e con efficacia lo strapotere di Google, Facebook, Amazon, ecc.”.

P: “Io credo che il bilancio del primo ventennio di internet presenti dei forti elementi contraddittori. Da un lato il mondo del web ha sicuramente favorito un accesso alla conoscenza e all’informazione che l’umanità non aveva mai conosciuto prima. Il volume dei dati che vengono trasferiti su internet ogni nano secondo tocca dimensioni che la matematica fa fatica a definire. Un vortice di informazioni, di dati, di notizie che ormai è impossibile pensare di monitorizzare e quindi monitorare e quindi reprimere, in caso di illeciti, con i tradizionali strumenti della giustizia ordinaria pubblica o autodisciplinare. Dall’altro lato ha messo in mano a della gente non educata all’utilizzo di questa nuova e straordinaria tecnologia, uno strumento che può dar vita a fenomeni di violenza psicologica, di diseducazione sociale, di manipolazione politica terrificanti. Assolutamente da arginare, reprimere e sanzionare. La vera sfida è dunque quella di riuscire a cavalcare questa innovazione tecnologica gestendola, non semplicemente subendola. Certo, adottando una politica di limitazioni e vincoli per i grandi players del settore che non possono pensare che attraverso una rivoluzione tecnologica possano conquistare, proprio attraverso la connessione mondiale, il dominio sul comportamento dei singoli individui. Anche in questo caso, come per il progetto dell’Unione Europea, ci vorrà una leadership politica davvero visionaria ma anche e soprattutto indipendente intellettualmente ed economicamente dai colossi di internet per impostare una strategia, anche giuridica, che da un lato fissi delle regole del gioco anti monopolio e, dall’altro, non blocchi o ritardi una evoluzione tecnologica che invece può essere piena di piacevoli sorprese e risorse, anche dal punto di vista della creazione di nuovi lavori, per lo sviluppo dell’umanità.”

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Ci sarebbero tanti altri argomenti da affrontare ma speriamo di aver già socializzato alcuni “titoli” per occupare il vostro tempo sotto l’ombrellone o sotto un cielo stellato pronti a festeggiare S. Lorenzo.

Una riflessione finale però non crediamo la si possa evitare: il pessimismo di Fidelio è assolutamente comprensibile, anzi, forse, è l’approccio meno velleitario che si possa avere leggendo i giornali tutte le mattine e vedendo quali derive il mondo sta prendendo in una logica protezionista sempre più egoista e miope nel creare muri invece di costruire ponti. Siamo di fronte alla drammatica concatenazione di problemi oggettivamente complessi e di difficile risoluzione, che la rivoluzione del web ci pone, in maniera concitata, davanti agli occhi ogni secondo della nostra ansiogena giornata. Con, in più, la mancanza di classi dirigenti, a livello mondiale, che abbiano una visione comune e soprattutto una direzione condivisa per affrontare e gestire questo immane compito. La conseguenza è che sprofondiamo nell’egoismo e nell’individualismo per cercare di dare una risposta alle nostre insicurezze e alle nostre mancanze di speranza per il futuro. Un effetto domino pericolosissimo che dobbiamo cercare di evitare e di invertire. Come? Innanzitutto analizzando e spacchettando le varie problematiche e approfondendone valori e disvalori nel dettaglio e non soltanto attraverso slogan o slide; poi, fotografata la situazione, mettendoci dentro energia, passione, competenza, visione solidale e non egoistica nel tentare di fissare alcune bisettrici fondamentali per uscire dal loup negativo; infine, probabilmente, smettendola di delegare a terzi la gestione delle cose comuni, quelle di tutti, per assumerci, ciascuno per quanto di competenza, le nostre responsabilità per contribuire con i propri apporti alla ricostruzione, mattone per mattone, non di un muro divisorio, ma di un ponte pieno zeppo di voglie di ascolto, di costruzione e di solidarietà.

Buone vacanze a tutti

Riccardo Rossotto

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