La protesta dei “gilet gialli” ci lascia in eredità un altro Alert. Un segnale potente di disagio, malessere, rabbia che non può essere archiviato superficialmente con commenti banali e riduttivi come “erano quattro gatti”, “gli emarginati ci sono sempre stati”, “sistemeremo anche questo problema”.

Siamo di fronte ad una vera e propria rivolta. Non di minoranze povere ed emarginate, tipiche del disastroso stato sociale e culturale delle nostre periferie cittadine, ma di un ceto medio più allargato, neofita in forme di protesta così eclatanti.

Se l’innesto è stato economico (l’aumento del costo della benzina) il fenomeno ha assunto caratteristiche molto più ampie e pericolose. Sono scesi in piazza, e non solo a Parigi, cittadini stanchi, rancorosi e arrabbiati verso un’élite che li sta condannando alla emarginazione, alla povertà, ad una vita senza speranze concrete di miglioramento. Senza fiducia, anche per i propri figli o nipoti, verso il futuro. Un futuro fosco, connotato di disuguaglianze, disoccupazione, sacrifici e stenti senza contropartite.

E allora scatta il BASTA! Così non si può andare avanti.

Quello che è successo nei giorni scorsi in Francia non è un fenomeno peculiare dei francesi. È l’ennesimo grido di dolore che sta diventando violento e rabbioso in tutta Europa. Tipico di chi non ha nulla da perdere e inizia a sfasciare tutto. È un fenomeno ormai che riguarda molte metropoli del Villaggio Globale mondiale.

Ma chi sono i protagonisti di queste manifestazioni di protesta?

Non sono più soltanto gli abitanti delle periferie delle grandi città dimenticate dalla globalizzazione: sono gli abitanti delle regioni più disagiate dei vari paesi, quelli che si sentono abbandonati dal progresso, isolati dallo spopolamento dei loro territori, ignorati dallo sviluppo dei grandi centri urbani.

“Forgotten” li definì Donald Trump, con uno slogan cinico ma molto efficace. Sono tanti e in aumento in tutte le grandi nazioni occidentali.

Proprio su questi drammatici temi della nostra attualità si stanno confrontando alcuni centri di ricerca americani e inglesi, particolarmente illuminati e visionari. E, per la verità storica, uno dei protagonisti riconosciuti a livello mondiale, che ha studiato con largo anticipo questi fenomeni, articolando anche delle proposte concrete di soluzione, è un italiano e si chiama Fabrizio Barca.

Pickett può vantare con orgoglio di aver già trattato questo tema parecchi mesi orsono riportando una sintesi dei lavori emersi dagli studi di Barca e del suo team di giovani analisti.

Barca, statistico ed economista, dal 2011 al 2013 è stato Ministro per la Coesione Territoriale del Governo Monti: ha scritto “Il triangolo rotto. Partiti, società e stato” (Laterza, 2013), affrontando e anticipando proprio quei temi legati all’aumento di una insopportabile diseguaglianza tra gli abitanti dell’intero pianeta.

Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, nel suo editoriale domenicale ci ha socializzato quanto emerge da uno studio della Brookings Institution di Washington, dal titolo “Contrastare la geografia del disagio”. Un rapporto che riprende molte delle tesi già anticipate da oltre dieci anni dal team di Fabrizio Barca. Soprattutto affronta la sfida di individuare soluzioni per arginare questo delicatissimo e pericoloso fenomeno che potrebbe minare il fondamento delle nostre stesse democrazie liberali. Proprio sotto i nostri occhi, senza ulteriore preavviso. Sfruttando pigrizie, miopie e velleitarismi e cavalcando la tigre della protesta che diventa rivolta, come accaduto sugli Champs-Elysées.

Il rapporto dell’istituto americano propone cinque punti per recuperare i protagonisti di questo disagio-malessere.

Innanzitutto riqualificando la manodopera per consentirle di partecipare all’economia digitale oppure investendo su istruzione e formazione per consentire agli addetti ai lavoratori delle aree più depresse di impossessarsi delle nuove tecnologie.

In secondo luogo spingendo le istituzioni finanziarie a garantire l’accesso al capitale di rischio per le imprese che operano su questi territori: dovrebbe essere un intervento simile a quello denominato del micro-credito che ha consentito negli ultimi 25 anni l’accesso al capitale nelle regioni meno sviluppate del Villaggio Globale come, ad esempio, l’Indonesia e il Vietnam.

La Brookings Institution individua poi un terzo tipo di intervento per cercare di risolvere i problemi di questi soggetti appartenenti al ceto medio massacrato dalla crisi e definito, recentemente, da Papa Francesco, con il termine “gli scartati”.  Stiamo parlando del GAP di connettività dovuto al fatto che i maggiori operatori delle TLC  hanno investito e stanno investendo sulle nuove tecnologie solo nelle regioni più densamente popolate – le grandi metropoli – per ottimizzare i loro investimenti. Tale scelta produce degli effetti molto negativi sugli abitanti delle aree dimenticate, dove l’accesso alla connettività è più difficile e riduce le opportunità di conoscenza, di istruzione, di crescita e sviluppo. Per ovviare a tale problema il rapporto americano ipotizza la creazione di Poli di Crescita per aggredire dall’interno tali aree di sottosviluppo. La costruzione di una decina di tali Poli, posizionati geograficamente in maniera tale da contaminare positivamente le aree più arretrate, potrebbe dare un contributo in termini di riduzione del GAP sopra citato.

Il quinto e ultimo tassello fondamentale per innescare questa grande sfida strategica alle disuguaglianze è costituito da una riflessione quasi antropologica: gli abitanti di tutto il mondo devono incominciare ad abituarsi ad un concetto di movimento nuovo e necessario. Devono muoversi di più sul territorio per cogliere eventuali opportunità. Ogni resistenza alla mobilità diventa una debolezza che imprigiona i singoli impedendo loro di valorizzare opportunità di lavoro là dove si manifestano. Non ci sarà nessun tipo di intervento né politico né economico che potrà dare risultati concreti se i singoli abitanti, soprattutto nelle aree depresse, non accetteranno i sacrifici degli spostamenti in luoghi distanti per cogliere le nuove opportunità di crescita.

Alla luce del contenuto dello studio della Brookings Institution, è evidente come sia necessario ripensare il modello dello sviluppo economico nazionale partendo da una mappa del disagio per individuare le aree più depresse al fine di aggredirle con nuove tecnologie, micro-credito e connettività puntando ad innescare l’effetto domino di riqualificazione dei singoli cittadini che hanno perso il lavoro o escono dal mondo universitario con qualifiche inadatte a trovarlo.

Fabrizio Barca, da parte sua, fa proprio il contenuto del documento predisposto dalla Commissione Indipendente guidata da Enrico Giovannini e denominato “Uguaglianza sostenibile”.

Pickett ne ha già fatto cenno in un precedente post sul tema della fiscalità.

Il documento Giovannini avanza 110 proposte operative attorno a cinque temi: giustizia sociale per tutti, ridisegnare il capitalismo, progresso socio-ecologico, potere alle persone, promuovere il cambiamento. Il testo è stato promosso da parlamentari del gruppo dell’alleanza progressista dei socialisti e democratici del Parlamento Europeo e si rivolge a tutti. Secondo Barca, sarebbe un peccato se fosse vissuto come uno strumento dei partiti che si riconoscono in quel gruppo parlamentare. Infatti potrebbe rappresentare molto di più.

Barca fornisce, a tal fine, anche alcuni suggerimenti politici su come valorizzare il documento Giovannini. Uno strumento indipendente, non originato da questo o quel partito, che, a livello europeo, costituisce una piattaforma programmatica sulla quale possono allinearsi tutti, a prescindere dal loro Dna politico: “Lo si usi dunque – ha scritto recentemente Fabrizio Barca – come un documento “terzo”, un contributo da fuori. Lo si usi per confrontarsi e per individuare da parte di figure coraggiose e innovatrici di forze diverse, punti comuni. Lo si usi dentro le loro formazioni per stanare chi dedica le proprie giornate a costruire cordate anziché a prepararsi a cinque anni di difficili battaglie. Lo si usi per costruire candidature convincenti e radicali per le prossime elezioni europee”.

Sarebbe auspicabile per Barca che tali prossime elezioni europee possano portare nell’Europarlamento un centinaio di nuovi parlamentari con questa cultura comune. Un gruppo coeso formato soprattutto da giovani non compromessi con gli errori dell’ultimo trentennio. Un gruppo caratterizzato anche da una forte presenza femminile che condivida preventivamente il disegno di una Europa giusta e diversa da quella di oggi. Un gruppo di parlamentari che conosca il problema dei territori, delle aree disagiate ed abbandonate, che si impegni anima e corpo “a battersi e ricercare alleanze contrastando i tentativi autoritari e liberticidi”.

Si tratta dunque di trovare un punto di incontro programmatico tra diversi Dna politici e partitici: un punto di incontro che consenta di fare intravedere agli elettori l’esistenza di una alternativa condivisa sia al fondamentalismo neo-liberista sia alla dinamica autoritaria.

Perché ciò possa avvenire – questo è in sintesi l’auspicio finale di Fabrizio Barca – perché nessuno si senta escluso ma neanche proprietario di questo progetto, sarebbe importante se fossero proprio alcune alte istituzioni italiane a promuovere il confronto.

Proviamo a ripartire di lì.

Dalle conclusioni della Brookings Institution, dai suggerimenti/auspici di Fabrizio Barca, senza dimenticare la recente protesta dei cassonetti distrutti di Parigi.

Proviamo a diventare finalmente consapevoli che il modello di coesione sociale vada rivisto e anche in fretta.

Prima che sia troppo tardi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.