Il neo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pronunciato, nel suo discorso al Senato per la fiducia, la parola “Cittadini” 27 volte. Dopo le due congiunzioni “ma” e “anche” – come ci ricorda Sebastiano Messina su La Repubblica – un’avversativa e una coordinante pronunciate per 31 e 39 volte, Cittadini è stata la parola centrale del discorso programmatico del professor Conte. Volutamente ha enfatizzato il ritorno del potere al popolo, ai Cittadini, agli “azionisti” della democrazia italiana. Dopo anni di caste o élite concentrate soltanto su se stesse e sui propri privilegi e comunque non in grado di gestire efficientemente e con equità la crisi economica e la complessità dell’imperante globalizzazione, l’auspicio del nuovo Presidente del Consiglio è che il timone del comando torni al titolare legittimo: il Cittadino.

Bellissima ed emozionante dichiarazione programmatica!

Il tema vero però, secondo Pickett è che, al di là delle parole, bisogna tramutarle in concreto in fatti concludenti.

La classe politica precedente ha fallito? Si è dimenticata degli “altri”, di quelli più colpiti dalla diseguaglianza sempre più insopportabile?

Bene … vada a casa! Ma poi? Rieleggiamone un’altra … semplicemente!

La questione sembra risolta: in realtà il tema è più complesso e spinoso.

Per governare un Comune o una Città Metropolitana o, a maggior ragione, un paese come l’Italia, non ci si improvvisa. I problemi sono enormi e richiedono competenze multidisciplinari. Il rischio è quindi di dare in mano ad un volonteroso e pieno di entusiasmo Cittadino dilettante una Ferrari quando, il neofita, al massimo, ha preso la patente di guida da qualche giorno. Il costo, in termine di errori, anche commessi in buona fede, potrebbe diventare enorme.

Quindi? Non si cambia e si deve accettare qualsiasi inefficienza, sopruso e arroganza dalla casta-élite? No, assolutamente no!

Bisogna cercare una soluzione che permetta di coniugare il cambiamento con idonee competenze e responsabilizzazioni.

La Storia ci insegna che il populismo dopo la fase iniziale dell’entusiasmo quasi rivoluzionario, nella maggior parte dei casi sfocia in forme dittatoriali in cui il sogno del cambiamento si trasforma nell’incubo di un regime liberticida.

Proviamo a ragionare sul concetto di competenza che sembra quasi rifiutata dai nuovi movimenti populisti.

Come ci ricordano Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera “oggi pare che essere incompetenti, non avere una buona istruzione, non avere alcuna esperienza sia un merito”.

I due autorevoli economisti ci forniscono anche alcuni esempi sui quali meditare a proposito di competenza.

Primo esempio. Sul tema della redistribuzione della ricchezza fra i cittadini, possono esistere delle condivisioni in linea di principio che però poi rischiano di scontrarsi con l’attuazione delle relative politiche economiche. “La scienza delle finanze – scrivono Alesina e Giavazzi – insegna come diversi modi per attuare un obiettivo di redistribuzione possano essere più o meno efficaci. Dove per efficaci si intendono politiche che raggiungano l’obiettivo redistributivo desiderato minimizzando i costi. Costi in termini di mancata crescita, di distorsioni del sistema welfare a svantaggio dei meno abbienti che favoriscano questa o quella categoria, questa o quella generazione”.

In questo esempio per Competenza intendiamo il capire come, stabilito un certo obiettivo di redistribuzione, ci siano modi più o meno efficaci per raggiungerlo e con quale ripartizione di costi. Scelte delicate quindi che presuppongono istruzione, conoscenza, esperienza sia in campo tecnico sia in campo politico.

Secondo esempio. In teoria le leggi sono di competenza del Parlamento e del Governo e la burocrazia dovrebbe limitarsi alla loro applicazione. La realtà ci dimostra un quadro ben diverso. Sia nella preparazione sia nell’applicazione delle leggi gli alti burocrati dello stato hanno una influenza enorme. Spesso decisiva “Le leggi le “fanno” anche loro e spesso e soprattutto loro – scrivono i due economisti milanesi – Più il ministro è incompetente più sarà facile per il suo capo di gabinetto convincerlo che non c’è alternativa a una certa soluzione. Un politico incompetente, impreparato, con intorno uno staff di consiglieri anch’essi neofiti, rischia di diventare, in pochi mesi, ostaggio delle burocrazie… Accadde così durante il primo governo Berlusconi del 1994: infatti fu un governo che realizzò assai poco di ciò che aveva promesso”.

Teniamo conto che anche a Bruxelles la macchina e soprattutto la “cucina” legislativa è in mano alle burocrazie europee. I dossier sono molto più complicati e senza competenza specifica è difficile far valere i propri interessi nei vari consessi.

Terzo esempio. Il terzo caso esemplificativo citato da Alesina e Giavazzi è relativo all’Euro. Quando fu introdotto, si discusse a lungo sui pro e sui contro di quel progetto. Dopo la crisi del 2008 si sono ulteriormente approfondite le imperfezioni del modello della moneta unica “Ma un conto è discutere di come riformare e migliorare l’unione monetaria – scrivono i due economisti – ben diverso è insistere per designare al Ministero dell’Economia un personaggio ostinatamente contrario all’Euro”.

Il tema è dunque complicato anche se affascinante. Come riuscire a coniugare il cambiamento con la competenza?

Pickett sul punto prova ad articolare una semplice analisi con l’auspicio di scatenare riflessioni e ragionamenti virtuosi.

Proprio per le considerazioni svolte, nella “stanza dei bottoni” sia di un governo, sia di un’azienda, sia di una famiglia, sia di una comunità di esseri umani, ci devono stare dei soggetti, certo indicati dalla maggioranza dei membri del consesso di riferimento, ma dei soggetti in grado di saper gestire la cosa comune in modo responsabile, efficiente, onesto ed equo.

Ai tempi di Pericle, nella antica Atene, la gestione della comunità veniva affidata ai “Migliori”, gli Optimati, che via via cooptavano nel tempo i loro successori, basandosi sugli stessi criteri di scelta. Quand’è che il modello andò in crisi? Quando gli Optimati incominciarono a cooptare non i migliori, ma i famigli, gli amici, i parenti.

Stesso discorso potrebbe valere per quello che per anni è stato considerato il benchmark della contaminazione negativa: il mondo dei baroni universitari. Anche quel modello lì era nato sul presupposto di delegare ai “Migliori” la gestione delle università e quindi dell’assegnazione delle nuove cattedre. Il sistema funzionò per anni poi iniziarono gli scandali e andò in crisi: che cosa era successo? Semplicemente che i Migliori non avevano più cooptato i loro allievi migliori e avevano iniziato a designare i “propri” allievi in modo tale da creare una sorta di casta nella gestione universitaria italiana. Non più basandosi su criteri di meritocrazia.

Il fatto che l’essere umano, nei due esempi citati, abbia rovinato un modello di governance e di delegazione della gestione del potere, non vuol dire che il modello sia sbagliato. Significa forse che l’essere umano, esaurita una spinta iniziale di serietà, visione, senso della cosa comune, con l’andar del tempo ne perde la filosofia a vantaggio dell’egoismo, dell’arricchimento, del potere personale, dell’avidità.

Tutto quanto detto ci porta a concludere che non è necessariamente l’unica strada quella delle derive populiste per riformare l’attuale sistema di cooptazione delle classi dirigenti, smantellando le caste. Dovremmo ritornare allo spirito originario delle regole del gioco che disciplinano i diritti e i doveri dei membri di una comunità. Tra questi quello che i Migliori si occupino della gestione della casa comune, sapendo che con il termine Migliori si intendono persone istruite, con esperienza adeguata, con talento dimostrato, con competenza in certe materie. Con tutte le responsabilità e con tutte quindi le sanzioni in caso di inadempimento ai loro doveri.

Per concludere, quando usiamo la parola Cittadini facciamo attenzione perché il vocabolo è molto delicato e potenzialmente manipolabile da derive interpretative strumentali.

Il Cittadino è sicuramente depositario del diritto di scegliersi chi deve gestire la comunità: ma il Cittadino (tutti noi quindi quando andiamo a votare) in fondo ha dei bisogni molto basici. Sicurezza, un posto di lavoro, un futuro per i propri figli e poi forse qualche desiderio e ambizione di fare una certa carriera o di raggiungere certi obiettivi. Non vede l’ora però di trovare qualcuno che si occupi della cosa pubblica e che lo lasci sviluppare il suo talento nel privato. Piaccia o non piaccia Pickett ritiene che il nostro quadro di riferimento sia questo. L’auspicio è che su questo quadro antropologico si sviluppino i ragionamenti per “riparare” l’attuale modello di coesione politica e sociale, senza rischiare derive dittatoriali.

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