New York ha battuto la concorrenza. Ha vinto, insieme allo stato della Virginia, la gara tra 238 diverse municipalità americane, aggiudicandosi l’insediamento di Amazon sulla costa atlantica e cioè sul suo territorio, con annesso un investimento di 5 miliardi di dollari e una previsione di 25.000 nuovi posti di lavoro ad alto reddito.

Come ha fatto?

Ha offerto di più degli altri competitors pubblici, garantendo al colosso di Jeff Bezos un pacchetto di incentivi estremamente più “sexy” di tutti gli altri. In base a quanto dichiarato dalla società di Seattle più di 2 miliardi di dollari di agevolazioni fiscali.

Bene, bravi, complimenti!

Il commento alla notizia potrebbe finire qui salvo che il modello dell’operazione, così come congeniato e realizzato, ha riaperto una vecchia discussione sullo strapotere, da una parte, dei Big Four della tecnologia innovativa e, dall’altra, sullo stato di estrema debolezza negoziale e politica degli enti statali in generale.

Quanto sarà la ricaduta sul territorio di New York e nello stato della Virginia per poter sperare di compensare la magnitudo di incentivi fiscali concessi? In altri termini, di minor base imponibile tassabile per le due municipalità vincitrici?

Al di là dell’effetto mediatico dell’operazione (gratificazione per tutti i protagonisti … a breve termine) quali saranno i reali benefici per le comunità degli abitanti della Virginia e di New York che vedranno le loro municipalità introitare minori tributi e avere quindi nei prossimi esercizi rilevanti deficit da coprire … probabilmente con ulteriori tassazioni per i cittadini?

Proviamo a fare un po’ di ordine nel dibattito, ricapitolando la storia e la dinamica della negoziazione appena conclusa.

La questione ha inizio circa 1 anno fa quando Jeff Bezos lancia un annuncio al mercato: voleva dar vita ad una seconda importante sede di Amazon sulla costa atlantica. Non immaginava uno dei tanti depositi tipici del modello di business della società di Seattle, ma di un vero e proprio secondo quartier generale che avrebbe dovuto assumere ingegneri informatici, esperti di marketing, manodopera qualificata insomma. Allora si immaginava con una ricaduta in termini di posti di lavoro di circa 50.000 nuovi addetti.

Bezos spiegò alla stampa che avrebbe scelto il sito dove insediare la sua seconda più importante sede in base a diversi criteri tra cui l’esistenza ed efficienza delle infrastrutture, la vicinanza a grandi centri universitari. Poi ne aggiunse un altro, apparentemente più marginale e meno “alto”: la nuova sede di Amazon sarebbe stata costruita in un sito che offriva al gruppo le migliori condizioni in ordine alla fiscalità.

Iniziò allora una gara tra molte municipalità americane per aggiudicarsi il fantastico progetto.

Secondo Federico Rampini de La Repubblica, “si rivede l’ennesimo remake di un film classico, dall’esito scontato. Le multinazionali mettono in concorrenza fra loro gli stati, di fatto li ricattano. Se mi vuoi e se vuoi l’occupazione che creo, devi farmi pagare meno tasse possibili. E questa logica – sempre secondo il pensiero di Rampini – che ci ha portato al mondo attuale dove le mega-imprese e gli straricchi hanno 100 modi legali per eludere le tasse, mentre il ceto medio viene spremuto. Nel caso di Amazon abbiamo battuto ogni record. Alla fine l’azienda, commossa dalle offerte generose, ha deciso di creare non una ma due nuove sedi”.

Il lancio della gara per l’aggiudicazione dell’importantissimo progetto ha scatenato un’infinità di offerte, dal vario contenuto economico e fiscale. Ecco alcuni esempi: il Maryland ha proposto incentivi fiscali per 6,5 miliardi di dollari e altri 2 miliardi per il potenziamento delle infrastrutture: Newark, nel New Jersey, ha proposto ad Amazon incentivi per 7 miliardi complessivi di dollari. Columbus, Ohio, si è detta pronta a concedere l’esenzione totale dalle imposte sugli immobili per un periodo di 15 anni; Chicago si è impegnata a lasciare nelle casse della società beneficiaria tra i 50 e il 100% dei tributi locali dovuti dai dipendenti; Fresno, California, ha proposto di coinvolgere Amazon nelle decisioni riguardo alla destinazione delle imposte che versa.

Insomma un vero e proprio campionario di proposte che dovrebbero servire da stimolo ai nostri governanti per strutturare operazioni analoghe.

L’ha spuntata, come abbiamo detto, Amazon dando però un forte segnale al mercato soprattutto della committenza pubblica. Molti altri imprenditori, infatti, hanno dichiarato ai media che avrebbero telefonato immediatamente agli amministratori delle loro città chiedendo gli stessi privilegi.

Su questo tema delicatissimo che coinvolge tutto il sistema pubblico, non solo in America (i privilegi aventi come contenuto risorse economiche pubbliche devono essere messi a disposizione di tutta la collettività senza creare privilegi per alcuno) è uscito recentemente uno studio di un economista dell’Upjohn Institute for Employment Research, Timothy Bartik. Nelle conclusioni della ricerca emerge il timore che dopo la frenesia scoppiata intorno al caso Amazon, l’ammontare degli incentivi dati dagli enti pubblici alle imprese private continuerà a crescere. “Peccato che tali incentivi e sgravi fiscali – ha scritto Bartik – rischino di essere inutili”.

I suoi studi dimostrano, infatti, come non esista “un’ampia correlazione tra le agevolazioni alle imprese e il tasso di disoccupazione o il livello di reddito all’interno dello stato che le ha concesse”.

Spesso – sottolinea il prof. Bartik – sono male indirizzati: sarebbe logico che andassero alle società in grado di promettere maggiori salari, ma in realtà le offerte non sono basate su questo criterio. Tra l’altro, in base alle analisi effettuate da Bartik su casi analoghi emerge una realtà che dimostra come soltanto il 66% delle scelte degli imprenditori sono condizionate dagli incentivi promessi in un certo territorio.

Quello che è certo invece è che questo genere di accordi comporta un aggravio sicuro nel bilancio pubblico locale. Secondo le stime di Bartik esistono numerosi esempi che ne dimostrano la quasi certezza: le scuole del Texas hanno perso 4 miliardi di dollari a vantaggio del progetto di sviluppo economico dello stato; quelle di Cleveland più di 34 milioni in un solo anno. Il bilancio del New Jersey rischia un tracollo da un miliardo l’anno conseguente alle incentivazioni concesse a nuovi insediamenti industriali. E Bartik nel suo studio fornisce un lungo elenco di casi analoghi.

Dalle ricerche condotte dalla Good Jobs First, un ente specializzato nelle problematiche giuslavoriste, risulta che circa il 90% degli incentivi pubblici finiscono nelle tasche delle grandi imprese invece che andare a vantaggio dei piccoli imprenditori bisognosi di un reale sostegno economico finanziario.

Nonostante questi forti segnali che evidenziano le numerose contro indicazioni di fronte ad una generalizzata e non qualitativa incentivazione agli insediamenti imprenditoriali esterni, le amministrazioni pubbliche americane continuano a fare ampio ricorso a questi strumenti: in parte perché è semplice istituirli e prendersi il merito di aver agito nell’interesse dell’occupazione senza temi di smentita a breve; in parte perché, quando si vedranno i risultati a consuntivo… gli amministratori saranno altri.

Nel caso di New York si è calcolato che sommando le esenzioni fiscali offerte dal Comune e dallo Stato, ogni posto di lavoro nuovo creato da Amazon costerà 40 mila dollari di mancato gettito fiscale annuo.

Il che vuol dire un sicuro aggravio della posizione dei cittadini della metropoli americana nei prossimi anni. Infatti, come sottolinea Rampini, residente nella Grande Mela, “Amazon consumerà servizi pubblici come qualsiasi azienda – polizia, trasporti, nettezza urbana – questo significa che il conto finale lo pagheremo noi newyorkesi “normali”. Noi del ceto medio che lavoriamo e creiamo ricchezza come tutti ma non abbiamo il potere di ricattare il sindaco e il governatore minacciando di andare altrove. Oggi sia a New York City sia nel New York State ci sono maggioranze democratiche ma ciò non ha cambiato l’approccio  verso questo genere di operazioni. Quando si tratta di attirare le multinazionali, le leadership democratiche si comportano come i repubblicani: meno tasse alle imprese, meno tasse ai ricchi. In tal modo hanno evitato che Amazon andasse altrove. Ma a quel prezzo costava meno assumere direttamente nuovi impiegati comunali”.

Come si può intuire il tema è delicato e le soluzioni appaiono molto complesse. Non basta infatti ipotizzare, come ha scritto Rampini, che gli enti pubblici locali americani dovrebbero smetterla di competere sugli incentivi. Fare un passo indietro e immaginare una diversa pianificazione delle risorse. In tal caso infatti, se il fronte non fosse compatto, le imprese private andrebbero ad insediarsi sicuramente in quei territori dove le municipalità continuerebbero ad offrire loro agevolazioni. Con ovvio svantaggio per gli altri territori.

Alla fine della fiera infatti, i maggiori deficit dei comuni o degli stati li pagheranno i cittadini che subiranno un aumento delle tassazioni locali o statali.

Quella che ci giunge dall’America è dunque una “bella” lezione da meditare fino in fondo.

Quando invochiamo, come anche Pickett ha fatto in questo blog, politiche che attirino gli investitori sul territorio, dobbiamo porci degli interrogativi e adottare conseguentemente dei criteri di selezione molto sofisticati e soprattutto qualitativi.

Dietro quelli puramente quantitativi, potrebbero nascondersi infatti brutte sorprese prospettiche per gli abitanti del territorio vincitore dell’asta.

Il modello dovrebbe essere invece quello del Win-Win non quello del Winner privato e del Loser pubblico… quindi nostro!

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.