La ripresa superiore alle previsioni è un argomento molto gettonato. Del lavoro che sottostà a questa ripresa e soprattutto della qualità del lavoro, poco si parla. Al netto delle esportazioni, che sono parte importante di questa ripresa, i consumi interni, che in buona parte derivano dall’ andamento della occupazione, sono deludenti.

L’ 80% dei nuovi posti di lavoro, creati nel 2017, è a termine con una durata media, nella grande maggioranza, inferiore a 12 mesi. Il lavoro a tempo determinato sta assumendo carattere di regola generale per l’occupazione in Italia? Che tipo di ripresa è una ripresa basata su un precariato dal futuro incerto?

Tutti i partiti che si candidano a governare il paese parlano e promettono posti di lavoro. È diventata una giaculatoria. Ammesso che ci riescano, non è nel loro potere determinare la qualità del lavoro che promettono. Infatti, parlano e promettono lavoro in termini generici e evitano di parlare di lavori a tempo indeterminato che significa una prospettiva decente per il futuro.

I posti di lavoro sono nella disponibilità del capitale (aziende) non del governo che può solo incentivare, agevolare, aiutare, ma non determinare la qualità dell’occupazione che nel XXI secolo è diventata di una sola tipologia: PRECARIA. Rendendo superfluo continuare a battersi per la riesumazione dell’art. 18.

Certo è una sconfitta e al momento non si sa come porre rimedio. Oggi i politici quando parlano di lavoro sembra che parlino di lavoro del XX secolo, o peggio ancora in maniera astratta.

Forse sono disattento, ma non ricordo qualche politico che abbia affrontato il problema del lavoro in presenza dei robot che sostituiscono un lavoratore, o dell’intelligenza artificiale che potrebbe sostituire molte attività anche intellettive dell’uomo. Non è difficile immaginare che questa rivoluzione riduca ancora di più la possibilità di occupazione delle persone in carne ed ossa.

Ci si limita, per ora, a immaginare nuovi lavori che non si specificano, o altre fantasie futuribili, ma qui e ora non mi pare ci siano proposte che affrontino seriamente il problema non solo di quali lavori ma di come affrontare la marea di precari che la suddetta rivoluzione produrrà.

In maniera forse empirica, ogni tanto qualcuno accenna alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Ma resta una boutade a cui nessuno da seguito neanche per confutarla. Certo è che le varie rivoluzioni industriali hanno sempre comportato una riduzione dell’orario di lavoro. Nel 1960 io lavoravo 48 ore settimanali, oggi sono 40ore.

Intanto le applicazioni con dentro un algoritmo sfornano a getto continuo lavori saltuari e mal pagati. Si accetta con entusiasmo la ennesima rivoluzione industriale indotta dalla rivoluzione tecnologica, ma una rivoluzione nel mondo del lavoro che ridia dignità al lavoratore non viene presa neanche in considerazione e si continua, da parte del capitale (aziende) a chiedere sconti, agevolazioni, riduzione di tasse, per assumere a tempo determinato.

Qualche anno addietro Altan con visione profetica disegnò la vignetta che di seguito descrivo:

Cipputi è alle prese con improbabili macchinari, dietro di lui il caporeparto osserva con in mano gli strumenti del controllo-tempo. Il capo reparto con aria saccente e intimidatoria dice: Uno di questi giorni sarai sostituito da un robot, Cipputi! Cipputi, senza distogliere lo sguardo dalla sua occupazione risponde: E lei cosa farà, verrà a rompermi i coglioni a casa?

È la sintesi perfetta di come lavoratore e capo del lavoratore resteranno senza lavoro. Io mi auguro che non si arrivi a tanto, perché in quel caso potrebbero essere dolori per tutti.

Fidelio Perchinelli.

Comments (1)
  1. dario (reply)

    14 Marzo 2018 at 19:21

    Tema complesso con tante variabili incerte, ma tanto per cominciare si potrebbe partire dall’approfondire 2 temi
    1. il ruolo del sistema scolastico e formativo
    2. cosa succede negli altri paesi (vedi ad esempio Germania)

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