Per non rischiare di appiattirci e impigrirci fin da subito in una quotidianità politica ed economica che da un lato ci imbarazza per il deficit di leadership esistente e dall’altro ci terrorizza per gli scenari foschi che ci attendono a livello mondiale nei prossimi mesi, proviamo a saltare il fosso e a mettere coraggiosamente, alla Pickett, le mani “nel fango” dei problemi veri, quelli che stanno scatenando il malessere in tutto il villaggio globale e che provocano, in tutto il mondo, ad ogni scadenza elettorale, delle presunte sorprese nei risultati. L’esplodere cioè di una protesta, come direbbe Totò “a prescindere”. La reazione della gente sembra quasi quella di chi reagisca ad un tradimento, a delle promesse non mantenute, a delle speranze negate per il futuro proprio o dei propri figli. “Non importa se il mio voto – sembra dire questo movimento che non dobbiamo sottovalutare – serva a breve ad alimentare demagogie nazionaliste o velleitarie, l’importante è che dia un forte segnale negativo alle oligarchie che ci hanno condotto negli ultimi 10 anni al disastro economico, all’esplosione di un malessere generale a rischio di terrorismo e di autodistruzione, ad una intollerabile differenza di vita tra i ricchi sempre più pochi e i poveri sempre più numerosi”.
Dunque perché questo titolo? Perché Pickett crede che il nocciolo dei problemi risieda nella capacità degli esseri umani e soprattutto delle classi dirigenti delegate in ogni paese alla gestione della convivenza della varie comunità, di affrontare senza reticenze né ipocrisie il cuore dei problemi nei quali ci siamo cacciati dopo l’età delle opulenze del consumismo.
Proviamo ad identificarne il perimetro e poi ciascuno di noi/voi cercherà di fornire il suo contributo all’analisi e alle possibili soluzioni prospettiche.

   Prima domanda: è possibile coniugare un debito finanziario ormai incontrollato e comunque di gran lunga superiore alla capacità produttiva di tutti gli stati del mondo con uno sviluppo sostenibile per l’intero pianeta? E’ possibile immaginare una manovra di politica economica sovranazionale che da un lato si ponga l’obiettivo di riduzione della forbice fra debito globale e PIL globale e dall’altro reperisca risorse finanziarie per il rilancio della domanda e quindi dell’economia globale? E ancora: è possibile evitare lo scoppio di una guerra che è sempre stata la miglior medicina nella storia dell’umanità per dare risposte immediate ed efficienti (con una contabilità dei morti terrificante, però!) ai quesiti sopra posti? Forse dobbiamo costringerci ad uscire dai puri modelli macroeconomici studiati fino ad oggi ed entrare in logiche in cui l’impatto sociale diventi un driver almeno concorrente rispetto ai razionali economici e finanziari.

   Seconda domanda: se anche gli economisti riuscissero a trovare… cosa di cui Pickett dubita fortemente … un modello economico nuovo e innovativo che possa fornire risposte convincenti ed attuabili alla prima domanda, in ogni caso ci troveremmo di fronte ad un altro tragico quesito: l’evoluzione tecnologica si porta dietro meccanicamente una riduzione dei posti di lavoro in tutti i settori tradizionali. L’intelligenza artificiale sta costruendo, con il nostro fondamentale supporto intellettuale ed industriale, un modello di sviluppo con tanti robot, molti disoccupati e pochi specialisti incaricati di coordinare, gestire e, speriamo, comandare le macchine intelligenti che ci sostituiranno nei lavori più duri della fabbrica o della campagna. Come coniugare quindi questa inarrestabile e per certi versi anche virtuosa evoluzione tecnologica con la sopravvivenza di attività che consentano a tutti i cittadini del villaggio globale di trovare risorse per vivere con dignità la loro esistenza terrena? Certo qualcuno ha già provato a rispondere con la “decrescita felice”: ci sembra un bello slogan che però dà luogo ad una scorciatoia di ragionamento non so quanto condivisa e condivisibile. Diciamo che può essere una soluzione anche se con margini di consenso molto ridotti. Ci siamo abituati a vivere con certi agi e con certe comodità difficile immaginare una autoconsapevolezza di riduzione compatibile con le esigenze del pianeta. Ma al di là di questa ipotesi come possiamo pensare di affrontare questa contraddizione che abbiamo di fronte agli occhi e che facciamo finta di non voler approfondire; quasi a rimuoverla per non avere davanti a noi la drammatica realtà dei prossimi anni?

   Terza domanda: è possibile pensare di continuare a vivere in un mondo in cui la forbice della redistribuzione del reddito invece che ridursi sta assumendo dimensioni imbarazzanti? E’ possibile immaginare un mondo in cui la gran parte delle persone ridotte in stato di povertà accetti di sopravvivere nella miseria, avendo dietro l’angolo e comunque in televisione l’immagine quotidiana di minoranze che invece se la spassano “a prescindere”?
Pickett pensa di no e pensa soprattutto che faccia parte della responsabilità delle classi dirigenti normalmente agiate di porsi in anticipo questo problema individuandone le possibili soluzioni. Senza dover richiamare le lezioni di Adriano Olivetti che comunque diceva che il differenziale di stipendio tra l’ultimo degli operai e il primo dei dirigenti non deve mai superare una certa soglia, dobbiamo renderci conto che la nostra convivenza è basata su un tasso di consenso che nasce da un differenziale non troppo elevato tra chi sta bene e chi non riesce a coniugare invece il pranzo con la cena. Senza contare che questo scenario costituisce una delle concause della drammatica situazione dei profughi che in parte abbandonano la patria devastata dalle guerre ma in parte lasciano le loro comunità nel miraggio di trovare in altri siti più opportunità per una vita dignitosa.
Come poter metterci le mani dentro a questo problema ormai prioritario per la nostra convivenza pacifica? Qui sì gli economisti ci possono aiutare: una migliore redistribuzione del reddito la si può ritrovare ad esempio in una adeguata politica fiscale o in una idonea politica di interventi a favore delle classi  meno abbienti. Pickett pensa che questo scenario sia percorribile ma ad una condizione fondamentale: i cosiddetti ricchi o almeno la parte più illuminata degli stessi, potrebbe anche farsi carico di un sacrificio a breve termine in funzione dell’obiettivo più alto e cioè quello di una qualità della vita generale migliore ma tale manovra deve essere accompagnata dall’adozione di veri criteri di meritocrazia nella scelta e selezione delle risorse professionali e politiche di ogni paese interessato alla riforma. Contemporaneamente bisogna avviare una reale, concreta e sicuramente non condivisa dal target colpito politica di spending review che si occupi di individuare e ridurre gli sprechi, le improduttività, le inefficienze. Infine bisogna togliere mercato alla criminalità incidendo e valorizzando modelli economici che favoriscano il “comportarsi bene” rispetto alle scorciatoie di proventi derivanti da attività illecite. Last but not least bisogna porsi il tema di come coniugare legalità con solidarietà e sostenibilità, altrimenti si rischia dei velleitarismi che possono sfociare in violente demagogie destabilizzanti.
Proprio questa mattina, quando avevo finito di scrivere queste riflessioni, ho letto su La Repubblica un intervento del fisico teorico inglese Stephen Hawking che si pone una serie di interrogativi su questi temi. Hawking legge l’attuale fotografia del mondo dalla sua sedia a rotelle, dalla sua posizione di disabile grave assurto ugualmente, grazie alla tecnologia, ad un ruolo prestigioso e di riferimento nella comunità scientifica mondiale. Hawking chiude la sua analisi con un auspicio che riporto letteralmente: “Le élite imparino l’umiltà o il populismo sarà trionfante”. Riflettiamoci gente, riflettiamoci.
Buon week end lungo di pensieri e progettualità virtuose.

Comments (2)
  1. Mauro (reply)

    8 Dicembre 2016 at 8:53

    Tre questioni molto pregnanti e la cui soluzione non é certo nella visione del singolo
    Cerchero in questo di dare il contributo anche in relazione al rapporto di profinda stima ed amicizia che minlega al fondatore del blog
    Partiro proprio da questo e cioé l’essere umano in se stesso
    Se il mondo fosse ancora diretto dai valori dei nostri padri , valori che legano ancora la mia persona e Riccardo ,bnon legati a temi di sfortunata attualita quali denaro immagine potere etc, posso pensare di asserire con matematica certezza che la terra e le persone che la popolano gia non sarebbero in queste condizioni
    Ma al di la della morale e di un fattore che è stato sottovalutato e lo è purtroppo spesso e cioè il mutanento climatico e la conseguente involuzione della terra penso che la risposta alle tre domande vada tecnicamente oltre le mie capacità anche se vorrei qui dare un piccolo contributo di semplicità ” per poter riequilibrare il mondo dobbiamo fare due passi indietro per poterne poi fare uno in avanti “.
    Forse banale ma riassume il concetto iniziale dei valori dei nostri padri
    Non credo all’appiattimento ed alla filosofia della totale eguagluanza perchè non è nemmeno il credo di Dio visto che ci ha creati tutti diversi sia fisicamente che mentalmente
    Concordo che le differenze non possano essere quelle che oggi stanno diventando sempre piu ampie ma chi avra la capacita di determinarne il modello?
    Purtroppo alla fine penso che l’uomo è un animale e come tale risolverà i suoi problemi
    La guerra ?
    Inevitabile l’unica cosa che non ne conosciamo la forma futura
    Quella di oggi è dell’economia della carta…….
    Buon we a tuttii

  2. Vittorio Musso (reply)

    12 Dicembre 2016 at 15:55

    vorrei rispondere con alcuni concetti pratici frutto dell’esperienza diretta sul mercato internazionale
    I colossi industriali sono ormai guidati da manager finanziari ,i quali, numeri alla mano, ristrutturano, riducendo personale e attivando politiche di riduzione costi sui fornitori oltre a ricercare spasmodicamente fonti di forniture nei paesi dove il costo del lavoro è estremamente piu’ basso.Per esempio..Oggi il Vietnam è piu’ competitivo della Cina..I prezzi di noi fornitori europei vengono confrontati con questi paesi..Se l’economia occidentale non avesse creato e sviluppato paesi come la Cina,non avremmo ridotto i nostri prezzi, i nostri profitti . Chi guida un’azienda dando la giusta importanza ai numeri ma anche all’aspetto della responsabilità sociale nei confronti dei dipendenti avrebbe sicuramente condiviso questo ”benessere”Non possiamo non valutare la povertà nata in conseguenza di queste politiche.I nostri grandi clienti ci chiedono quali sono le procedure per mantenere i criteri per il Corporate Social Responsability ma forse devono essere loro i primi a seguirli
    Per quanto riguarda noi Italiani,pensiamo che un operaio che guadagna 1300 Euro netti costa all’azienda 2600 Euro mentre in Germania ,a fronte di un costo lordo di 2600 Euro, il dipendente ne guadagna ca.1800 netti..quindi siamo piu’poveri,mentre negli Stati Uniti a fronte di un costo di 14 $/ora, il dipendente mette in tasca 13$ netti.possiamo ovviamente discutere sul sistema welfare nei vari paesi, ma resta il fatto che noi possiamo spendere di meno e siamo meno competitivi, il che determina la tendenza di chiudere le fabbriche in Italia e aprirle all’estero, ma sempre che non si tenga conto della responsabilità sociale..Trovare i giusti equilibri per evitare la povertà legata ai licenziamenti e alla chiusura delle fabbriche è il primo compito di un imprenditore o di un manager che voglia rispondere alle domande di Pickett
    Sulla guerra non saprei cosa rispondere ma resta sempre il dubbio, enorme,di quanto sia giusto entrare nelle dinamiche di paesi con culture e storie completamente diverse, nascondendosi dietro il presunto obbiettivo del ripristino della libertà e della democrazia..

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