Nelle tenebre convulse del nostro quotidiano, ogni tanto, compare una luce di speranza. Una fiammella che ci riporta notizie “buone e belle“ sul nostro futuro prossimo.
In questo caso, come le evoluzioni della tecnologia ci stiano permettendo, se sapientemente condotte da umani visionari, analisi e azioni conseguenti mirate ad un mondo più equo, più sostenibile, più “vicino“ al sogno che coltiviamo in una parte, ormai ridotta per la verità, del nostro cervello.
Quello di un’umanità migliore, più solidale meno rabbiosa. Non solo protagonista efferata dei video delle torture in Libia ma protagonista di progettualità indirizzate verso un miglioramento della vita di TUTTI e non solo di ALCUNI privilegiati.
In questo caso, la “bella notizia“ ci arriva da Stanford, una delle più importanti università americane.
Chi ce la racconta è un italiano: un giovane Assistant Professor che con i colleghi David Lobell, esperto di satelliti, e Marshall Burke, economista, esperto in povertà e sicurezza alimentare, fa parte di un gruppo di lavoro che ha dato vita al Sustainability and Artificial Intelligence Lab.
Il team studia come trasformare le immagini satellitari in dati e predizioni per un futuro più equo e sostenibile.
Oggi abbiamo algoritmi capaci di classificare immagini e localizzare, al loro interno, oggetti con una accuratezza pari o superiore a quella umana – ha spiegato Stefano Ermon, il membro italiano del gruppo di studio di Stanford. Le applicazioni sono infinite: ci sono, ad esempio, aziende private che abbinano foto satellitari e “Machine Learning” per stimare le vendite di una catena di supermercati, osservando il numero di automobili lasciate dai clienti nei parcheggi, per poi dare queste informazioni agli speculatori di borsa.
Altri riescono a stimare l’ammontare delle riserve petrolifere dall’ombra più o meno profonda che le petroliere – viste dal satellite – fanno sul mare, dettaglio che può rivelarne il grado di carico.
La differenza con i nostri studi è che noi usiamo questa tecnologia per scopi umanitari, più utili alla società in senso ampio e pubblico che non ai privati.
Ermon ha fatto poi alcuni esempi di recenti applicazioni della loro tecnologia per finalità sociali.
Per capire la qualità delle infrastrutture nei paesi in via di sviluppo abbiamo elaborato alcuni algoritmi specifici. Diamo come input ad una rete neurale sia le immagini a luce visibile che quelle raccolte su altre bande, come il radar o gli infrarossi. L’algoritmo le combina per identificare strade (sono asfaltate oppure no?), edifici (hanno tetto in cemento? In metallo? In paglia e fango?) e ciò ci permette di stimare lo sviluppo economico di quella zona. Il bello e il brutto di questo approccio è che funziona molto bene ma non sappiamo perché!
Il nostro punto di partenza sono immagini relative a situazioni dove già esistono statistiche e dati: mostriamo all’algoritmo la foto satellitare di un campo che sappiamo aver dato, a qualche mese di distanza dalla foto, un ottimo raccolto agricolo. È come se dicessimo al computer “Ecco, un campo che produrrà molto, ha questo aspetto. “Ripetiamo l’operazione per le migliaia di volte necessarie ad allenare l’algoritmo e, una volta che la rete neurale è riuscita ad estrarre gli indizi visivi rivelatori di un campo fertile (a volte assolutamente ignoti al nostro occhio umano) il computer è in grado di fare predizione basandosi su nuove foto satellitari di campi su cui non ci sia alcuna informazione statistica.
Ermon ci fornisce un altro esempio incredibile: ”possiamo avere un’immagine presa durante il giorno, che mostra quali sono gli abitati e quali sono le zone con foreste o deserti, e, inoltre, un’immagine presa di notte che mostra le zone illuminate artificialmente.
L’algoritmo, sovrapponendo le immagini, impara che se di notte una zona abitata appare buia, probabilmente è una zona povera. Se invece è una zona desertica ad apparire buia di notte, non bisogna trarne un giudizio di povertà, perché non ci si può aspettare che li esista l’illuminazione artificiale. Con questi sistemi si possono osservare i terreni dallo spazio, stimare la loro produttività e prevedere quale tipo di pesticida o di fertilizzante potrebbe essere il più adatto.
Le conclusioni di Ermon sono affascinanti e rivoluzionarie nell’ambito della ricerca sul futuro delle nostre vite: “Una volta allenato, l’algoritmo, poi per ottenere nuove predizione, basta che sia messo in condizione di “vedere” nuove immagini satellitari che oggi sono accessibili e poco costose. Dopodiché, lui replicherà il suo lavoro con perfetta coerenza e conformità.
Da quando si è sparsa la voce dei risultati del gruppo di lavoro dell’Università di Stanford, il team di Ermon è stato subissato di richieste: “ONG che operano nei paesi poveri, ad esempio, vogliono usare questa tecnologia per vedere dall’alto se certi tipi di interventi su agricoltura ed economia risultano efficaci.”
Insomma uno strumento che migliorerà le ricerche preventive e ridurrà il rischio di investimenti sbagliati.
E questo è soltanto uno dei tanti possibili casi in cui potrà essere applicata questa nuova idea sviluppata da una start-up di nome Atlas A.I.
Insomma, tiriamoci su il morale cari amici perché l’evoluzione tecnologica, se gestita sempre da un cervello di un essere umano visionario, può davvero permetterci di migliorare il mondo e soprattutto quel mondo dei meno fortunati.
Parola di Pickett.

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