Quello che mi ha sempre colpito subito… per differenza con noi italiani… è la capacità degli americani di aver storicizzato positivamente la propria guerra civile, metabolizzando le ragioni dei vinti e rendendo onore a tutti i morti di quella tragedia durata quattro lunghi anni.

In tutti i cimiteri di guerra e nei campi di battaglia (sempre ben tenuti, ben organizzati, ben “raccontati “ai visitatori, anche a quelli non appassionati e ignoranti delle vicende della guerra civile americana) le statue dei generali famosi si mischiano ai monumenti eretti dai singoli Stati dell’Unione, dell’una e dell’altra parte, dei nordisti o dei sudisti, in una grande, suggestiva e condivisa rappresentazione della memoria comune di tutti gli americani dei nostri giorni. Certo, quella guerra aveva anche, e non ci stancheremo mai di sottolineare “Anche”, motivazioni originarie di natura razziale, legate allo schiavismo e alla necessità della lotta per la sua abolizione. Rappresentava comunque una tappa nell’evoluzione di una grande, futura democrazia mondiale. Una tappa, per alcuni, molto dolorosa, faticosa da accettare ma, come ricordò il presidente Lincoln nel suo famoso discorso, nel novembre del 1863, dunque in piena guerra, nel cimitero di Gettysburg, in occasione del ricordo dei caduti di quella grande battaglia del luglio precedente, una tappa fondamentale nella costruzione di una comunità di esseri umani e di una nazione che avrebbe impostato la sua leadership mondiale su libertà e democrazia. Non sempre l’America c’è poi riuscita… Anzi! Però è indubbio che proprio nel momento più tragico del conflitto tra il Nord e il Sud, il presidente di una parte, Lincoln appunto, seppe scrivere e pronunciare un discorso paradigmatico nella costruzione di un comune sentire tra gli americani. Alla fine della guerra- auspicabilmente vicina ma, in realtà, come sappiamo noi posteri, ancora drammaticamente lunga sanguinosa e lontana – ricominceremo – disse il presidente dei nordisti – a lavorare insieme, a educare i nostri figli su valori comuni e condivisi come quelli di libertà, giustizia e democrazia, rimuovendo quello che oggi ci divide apparentemente in modo non negoziabile.

Oggi, a distanza di oltre 150 anni da quegli eventi, in America, a causa di una violenta recrudescenza di posizioni razziali, si discute se sia giusto, formativo, utile che una nazione permetta la costruzione prima e poi il pellegrinaggio a monumenti con la raffigurazione di protagonisti della parte “sbagliata”, quella che non solo ha perso la guerra ma ha cercato anche di difendere valori negativi e antilibertari come lo schiavismo.

“Heritage not hate” sostengono i fautori del mantenimento dei simboli di tutto il passato di un paese anche quello non condiviso dai vincitori . Non solo le immagini e le storie di quelli che hanno prevalso. Ma di tutti. Non si può scegliere quale sia stata la nostra storia patria: quella è stata! Bella o brutta che sia: piaccia o non piaccia a tutti! Il dovere e la responsabilità delle generazioni che vengono dopo e quella di studiarla e approfondirla cercando di capirne i risvolti, le motivazioni, anche e soprattutto quelle legate ai perché avvennero certi fatti e non altri. Perché, ad un certo punto della sua storia, all’interno di uno stesso Stato, I cittadini si dividono e da una convivenza pacifica si passa alle armi? Capendo quindi le ragioni dei vinti e non impigrendosi nel perpetrare le ragioni dei vincitori. Senza eccedere, ovviamente, in forme di revisionismo più da tifosi calcistici che non da soggetti interessati a conoscere meglio il proprio passato, le proprie radici di cittadini di una certa nazione. Per chi come Pickett (la scelta del personaggio che dà il nome a questo blog, come vi ricorderete benissimo, non fu casuale!) ha ammirato la maturità e la generosità americana nel sapersi leggere dentro , anche negli eccessi e nei difetti di un passato neanche tanto remoto, per poter procedere poi meglio nel consolidamento della propria natura identitaria, l’attuale contenzioso/dibattito è molto deludente. Un passo indietro nella cultura di un popolo che, speriamo, possa raddrizzare presto il confronto, riacquistando quella saggezza e lucidità di una visione sul proprio passato, anche se contrastato e contraddittorio, sempre unificante e mai divisiva.

Questo è il nocciolo, ad avviso di Pickett, della questione. Non altri.

Comments (1)
  1. Maurizio (reply)

    21 Agosto 2017 at 15:06

    Concordo Riccardo, sulla stupidità di abbattere simboli sia di una parte che dell’altra.

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