Poche volte su questo blog un tema ha provocato così appassionata  e numerosa partecipazione, come si è verificato per il tema della povertà. Ho apprezzato molto l’intervento-sfogo di C e prendendo spunto da quello vorrei dare un’ulteriore angolazione alla discussione.

Si parla di povertà in tanti modi e ognuno ne evidenzia gli aspetti negativi e suggerisce interventi diversi per ridurre e attenuare la tragedia della povertà. Molti si adoperano in concreto soccorrendo, aiutando, organizzando assistenza.

Tutti interventi lodevoli che vanno mantenuti in vita e incrementati. Tuttavia bisogna ammetterlo sono tutti interventi fatti sapendo che la povertà non sarà mai sconfitta definitivamente e questo perché curiamo gli effetti di un male del quale non vogliamo occuparci e non ci siamo mai occupati. Non l’abbiamo mai affrontato con l’intenzione di curarlo.

Fu affrontato in passato in modi del tutto errati e per fini di potere individuale. Ed è per questo che è un male che ci terrorizza.

La povertà nasce dalla disuguaglianza. La povertà nasce e prospera in una società che ha privilegiato il concetto di libertà e ha negletto il concetto di uguaglianza. È prevalso il principio che la vita non dipende dall’avere in mano buone carte, ma dal giocare bene una cattiva mano. Questo principio può valere nel gioco del bridge e chi conosce questo gioco sa di cosa parlo.

Ma siamo sicuri che nella vita sia così?

Che merito c’è a nascere figlio di Rockfeller e che demerito c’è a nascere figlio di una famiglia del Sud Sudan, dello Yemen, del Sahara. Se ho sempre in mano una cattiva mano come posso pensare di vincere la partita? Il caso domina fin dalla famiglia di origine: un ambiente che non scegliamo e nel quale ci troviamo gettati.

È il disinteresse dell’uomo per l’uguaglianza, è il forte attaccamento dell’uomo ai principi di libertà, che generano  ricchezza e povertà. L’uomo forte dei principi di libertà individuale di cui si avvale può sottomettere, sfruttare i suoi simili che il caso ha reso deboli e meno liberi.

L’uguaglianza è un principio che parla di società, di comunità, parla degli interessi generali prima di quelli individuali. L’uguaglianza vorrebbe che non solo il figlio di Rockfeller possa godere il piacere di ascoltare l’adagietto della quinta sinfonia di Mahler, ma anche il figlio di una famiglia del Burundi.

Uguaglianza vuol dire equa distribuzione della ricchezza, delle risorse ma anche pari possibilità di accesso ai processi culturali. Affermiamo che si deve ridurre il gap creatosi tra i pochissimi ricchi e i moltissimi poveri, vorremmo una redistribuzione della ricchezza. Ma di quale ricchezza stiamo parlando? Forse sotto intendiamo che lo Stato dovrebbe ridistribuire la ricchezza?

Nel migliore dei casi gli Stati possono con le loro politiche creare la ricchezza, ma per la distribuzione, nelle condizioni sociali attuali, chi è in condizioni di ridistribuire è il mercato. Ma non avviene, per le note ragioni di congiuntura, e se avviene lo fa in maniera del tutto squilibrata. Tutti gli stati sono indebitati e il nostro si trascina il terzo debito del mondo.

Quindi lo Stato può fare solo assistenza che è quello che fa il nostro governo. Ma l’assistenza non fa scomparire la povertà. Forse bisognerà trovare il coraggio di cominciare a parlare di redistribuzione della ricchezza privata? Le vedo già le facce e sento già i lamenti e le grida.

È bastato che il vice primo ministro Salvini accennasse al grande risparmio privato delle famiglie italiane, sotto intendendo che in forza di questo asset il bilancio italiano non ha nulla da temere, che l’autostrada Como Chiasso Lugano ha visto un notevole incremento di traffico di auto di italiani che si precipitavano ad aprire c/c nelle banche svizzere, cosa che oggi si fa con l’IBAN. Altro che ridistribuire la ricchezza privata, scottati dalla manovra notturna di Amato gli italiani già corrono ai ripari.

È dal 1789 che l’umanità, almeno quella occidentale, si dibatte nel binomio uguaglianza, libertà. Queste due forze non si conciliano quasi mai tra loro.

La libertà è una esigenza superiore che compare ogni tanto, l’uguaglianza è invece un bisogno costante, forte come la fame. Questa frase non è mia è di Alexis de Toqueville.

Le parole che misero in moto il 1789 furono: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Da allora abbiamo frequentato assiduamente Libertà, per niente Uguaglianza, e abbiamo scaricato su Fratellanza (assistenza) tutto quello che avremmo dovuto fare per Uguaglianza.

Nella Rivoluzione Francese il 1789 è il simbolo della libertà il 1793 è il simbolo dell’uguaglianza. In mezzo c’è un fiume di sangue.

Come reagisce oggi il popolo alla parola uguaglianza? Credo che possa avere una reazione violenta perché questa parola contrasta ferocemente con xenofobia, razzismo, respingimenti, chiusura dei porti e dei confini. Tutti sentimenti e disposizioni che in qualche misura hanno a che fare con la povertà della quale il popolo, nella sua grande maggioranza, se ne sbatte.

Siamo al punto in cui siamo perché dalla seconda metà del secolo scorso abbiamo continuato con la giaculatoria che: meno Stato c’è, meglio è. Alla fine ci siamo convinti e lo Stato si è fatto da parte. Ma la Storia beffarda oggi ci ripropone lo Stato.

Oggi lo Stato torna perché ci siamo accorti che non possiamo elevare il settore privato a elemento di salvaguardia universale, perché non lo è. Il mercato non risolve il problema della miseria e della povertà, anzi alla luce delle innovazioni tecnologiche, lo incrementa.

Lo so non piace, perché il passato ci mostrò un volto disumano, ma per fare fronte alla povertà del mondo e per tentare di sconfiggerla dovremo incamminarci per il sentiero tortuoso, accidentato, impervio, pericoloso dell’uguaglianza coniugata con la libertà.

Forse è vero che in tutto il mondo la forza dell’utopia socialista, volta a cambiare le cose, ha perso attrattiva. Si afferma da più parti che la sinistra tradizionale è superata, in compenso nessuno riesce a definire cosa è oggi la sinistra.

Penso che la sinistra, senza vergogna debba riappropriarsi della bandiera dell’uguaglianza declinandola nell’attualità delle Innovazioni tecnologiche. Negli anni ’70 del secolo scorso, nel pieno dell’ autunno caldo, degli scioperi selvaggi, il vecchio La Malfa affermò che se fosse stato più giovane avrebbe fondato il partito dei disoccupati. Ecco un’idea ancora attuale.

In un mondo a miseria crescente stiamo vivendo la stagione di tutti contro tutti. È il risultato del sovranismo-nazionalismo che induce alla chiusura e allo scontro. Nessuno ha la ricetta per risolvere i problemi economico-finanziari provocati dalla globalizzazione, e i problemi dell’emigrazione provocati dalle guerre, dalla miseria, dalla povertà.

I guru dell’economia cominciano sottovoce a fare riferimento al debito mondiale che pare sia una cifra che forse non si riesce a scrivere, parlano di milioni di trilioni. Boh. Ma esistono veramente i creditori di queste cifre? Chi Sono? Forse non la sa nessuno e se cominciano a parlarne forse dobbiamo prepararci a un’altra bolla ancora più grande di quella del 2007/2008.

È in atto un rimescolamento che non credo sarà fermato dai porti chiusi perché è un rimescolamento sospinto da una forza irresistibile: la POVERTA’. Alla povertà deve essere applicato il principio dei vasi comunicanti: qualcuno deve scendere di livello perché ad oggi è certo che non siamo in grado di produrre ricchezza per tutti gli abitanti del pianeta che attualmente sono 7,5 miliardi e nel 2050 sono previsti 10 miliardi.

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