Pickett ha già detto, scritto e ragionato sul punto. C’è una risposta sola pronta ed efficiente alla obiezione, pigra e colposa, che sostiene che non ci sarebbero le risorse per affrontare una vera politica distributiva: la soluzione si chiama infatti “Lotta all’ evasione fiscale!”.

Facciamo due conti e ce ne accorgeremo.

Cottarelli, proprio in questi giorni, confermava che il nostro paese vanta un triste, pericoloso e tragico primato tra i paesi industrializzati: il record dell’evasione fiscale.

Il suo Osservatorio sulla spesa pubblica calcola che siamo ormai consolidati su una magnitudo stimabile in 120-130 miliardi di euro di tasse non pagate ogni anno. Se venissero recuperate anche solo in parte (lo abbiamo scritto più volte che con la tecnologia digitale esistente e utilizzata e gestita con professionalità e volontà di fare, non ci sarebbero troppi problemi ad incrociare le banche dati sui nostri redditi e sulle nostre proprietà con la nostra dichiarazione dei redditi annuale, accertando così chi sta barando!) potremmo contare su uno stock di risorse a disposizione assolutamente sufficiente per pianificare un grande intervento di politica distributiva.

Un nuovo e virtuoso New Deal italiano. “Di tutte le tendenze dannose per una disciplina economica sensata, la più seducente e, secondo me, la più velenosa è quella di concentrarsi sulle questioni redistributive” scriveva già nel 2003 il premio Nobel Robert Lucas, prima cioè della grande crisi. Sarà anche un argomento spinoso, o come lo definiva Lucas velenoso, ma non più eludibile.

Entriamo nel concreto: il governo, pare, il dubbio è d’obbligo nello scenario che ci viene propinato quotidianamente come in una triste puntata della “Corrida, dilettanti allo sbaraglio” abbia destinato 10 miliardi al progetto denominato Reddito di Cittadinanza. Di più non è stato possibile ci è stato detto. Se prendiamo al calcolatrice e mettiamo in fila i numeri di riferimento, il quadro che emerge è il seguente: calcolando i 5 milioni di poveri accertati e i circa 800 euro mensili immaginati per ciascuno di essi, si arriva a una cifra globale intorno ai 48/50 miliardi di euro all’ anno. Avendone stanziati circa 10 miliardi si può coprire un intervento che riguarderà, per un anno soltanto, circa 1/5 dei destinatari al di sotto della soglia della povertà.

Per carità, un target rilevante ma di certo molto inferiore al totale dei bisognosi. 4 milioni infatti rimarranno senza alcuna indennità.

Al di là quindi di ogni valutazione culturale ed educativa, anche dal punto di vista squisitamente economico, il progetto non funziona, non risolve il problema.

Ci mette una “pezza” con sostanzialmente le identiche aspirazioni (più elettorali che sostanziali) degli 80 euro mensili di Renzi di qualche anno fa.

A fronte di questa teoria redistributiva che, senza adeguate risorse allocate, rischia soltanto di sprecare denaro pubblico utilizzabile invece in altri settori con una funzione di leva superiore per sperare di creare nuova ricchezza, esiste un’altra corrente di pensiero (attuata, ad esempio, negli Stati Uniti dall’attuale amministrazione Trump) che punta esclusivamente sulla crescita, appunto, che fa aumentare il reddito di tutti, anche quello dei poveri e quindi ne riduce la povertà. La crescita permette una contemporanea riduzione della fiscalità con le positiva conseguenze immaginabili. Si usa a questo proposito la metafora del mare: “La marea che sale fa salire tutte le barche”. L’eventuale, ulteriore, arricchimento dei ricchi, sostengono i seguaci di questa dottrina economica, pur facendo aumentare le disuguaglianze, aiuta tutti perché un po’ della maggior ricchezza creata filtrerà sicuro verso il basso (in inglese si chiama l’effetto trickle-down).

La storia degli ultimi anni sembra smentire però questa tesi suggestiva. La crescita del PIL non impedisce l’aumento delle disuguaglianze anzi: si registra un sensibile miglioramento della posizione dei ricchi, sempre più ricchi, e un peggioramento dei redditi delle classi medie più basse. La forbice si allarga insomma dando vita a fenomeni di rabbia e di rancore, la brace del populismo in permanente crescita.

Cosa fare allora?

Bisognerebbe doverosamente immaginare degli strumenti finanziari che, almeno transitoriamente, sospendano i problemi di sopravvivenza di chi sta pagando o ha pagato un prezzo troppo alto a causa della globalizzazione selvaggia dei mercati da un lato e dall’ altro della rivoluzione tecnologica in atto conseguente alla intelligenza artificiale, perdendo o non trovando più lavoro.

Insomma, forme di sussidio che, associate a corsi di formazione professionale obbligatori per quei mestieri richiesti dal mercato, aiutino chi è disoccupato a sopravvivere dignitosamente, preparandosi auspicabilmente a cambiare lavoro.

Come finanziare questa nuova modalità di welfare?

Torniamo allora alla necessarietà di una lotta contro l’evasione fiscale svolta in modo moderno, tecnologico ed efficiente. Bisogna puntare al possibile e doveroso recupero di quel denaro che illecitamente viene sottratto ogni giorno alle casse pubbliche violando la normativa fiscale vigente. Con uno stock di finanza pari anche soltanto al 50% dei 120/130 miliardi immaginati con l’attuale livello delle tasse non pagate dagli italiani, si potrebbe iniziare una politica redistributiva virtuosa, davvero in grado di modificare nella sostanza una disuguaglianza inaccettabile.

50/60 miliardi di euro all’ anno consentirebbero un intervento quantitativamente rilevante e dirimente per questa tematica.

Non abbiamo bisogno di blitz della Guardia di Finanza effettuati più per scopi mediatici che non per effettivo recupero dell’evasione.

Abbiamo bisogno di una vera e seria volontà politica che, sfruttando al meglio le tecnologie digitali a disposizione, ponga fine ad una iniqua disuguaglianza dei cittadini di fronte alla legge nel momento in cui devono pagare le tasse.

Per volontà politica intendo fare atterrare misure concrete e virtuose. Vi do un esempio. La CGIA di Mestre ha recentemente pubblicato una ricerca che dimostra che sono due le imposte che pesano di più sul portafoglio degli italiani e che garantiscono da sole il 55,4% del gettito totale. Si tratta dell’IRPEF e dell’IVA. Il totale del gettito deriva invece da oltre 100 tasse che fanno andare in tilt anche il contribuente più diligente nel districarsi tra scadenze di contributi e tributi. Basterebbe rivisitare queste 100 tasse e ridurle a poche e rilevanti per sostanzialmente recuperare lo stesso gettito ma con una semplificazione per il contribuente rivoluzionaria e miracolosa. “Tenendo conto che dall’applicazione di una novantina di tasse, tributi e contributi l’Erario incassa solo il 15% del gettito totale annuo – ha segnalato proprio il responsabile dell’ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – con una serie riforma fiscale basterebbero poco più di 10 imposte per consentire ai contribuenti di beneficiare di una riscossione più contenuta, di lavorare con più serenità e con maggiori vantaggi anche per le casse dello Stato che, molto probabilmente, da questa sforbiciata vedrebbe ridursi anche l’evasione

Soltanto così possiamo mettere le basi per un vero New Deal culturale ed economico che tolga il nostro paese da un altrimenti irreversibile percorso verso il default economico e il disordine sociale.

Comments (2)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    23 Ottobre 2018 at 9:33

    Questo articolo avalla, con maggior precisione e cultura specifica, quanto ho sostenuto ieri nel mio pezzo. E’ li che si deve intervenire. Però a me risulta che l’importo stimato dell’evasione sia più o meno il doppio (255 mld) di quanto indicato qui sopra. Mi piacerebbe anche avere un’opinione da qualche studioso della materia in merito alle soluzioni (soprattutto la possibilità di scaricare tutti i nostri consumi, “ivati” con aliquote variabili) da me ipotizzate, atte a costringere tutti a richiedere ricevute. Consentendo in tal modo un robusto taglio delle aliquote fiscali. Grazie

  2. Maurizio Baiotti (reply)

    23 Ottobre 2018 at 17:52

    Ma perchè nessuno dei governi che si sono succeduti negli ultimi 10/20 anni non hanno fatto nulla di serio per porre limite a questo malcostume diffuso?

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