Molti non si curano, molti sono preoccupati per le derive autoritarie che aleggiano in vari paesi del mondo e dell’Europa in particolare. Si paventa il pericolo del ritorno di un fascismo riveduto e attualizzato, si teme l’avvento di democrazie illiberali, s’inventano neologismi come democratura perché si ha paura delle dittature.

La democrazia è in pericolo, ma l’aggettivo liberale, che accompagna il sostantivo democrazia, come sta?

Da qualche tempo è in uso definire la democrazia: democrazia liberale.

In origine questa definizione non esisteva perché quando nacque la democrazia, il pensiero liberale non era ancora nato. Democrazia Liberale è un termine del linguaggio e della pubblicistica politica che indica una tendenza che s’ispira ai principi del liberalismo e della democrazia. Principi che non sono la stessa cosa.

I significati di questo binomio sono perfettamente conciliabili tra loro, la loro unione produce un risultato sinergico: 1+1=3?

Vediamo.

La democrazia è una forma di governo in cui il popolo esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi: democrazia diretta o plebiscitaria (referendum), indiretta (rappresentativa, parlamentare). Il pensiero liberale s’ispira al complesso dei principi e delle ideologie in cui si riconosce all’individuo un valore autonomo, tendendo a limitare l’azione statale. Infatti, liberalizzare significa liberare dal controllo statale.

In base ai principi enunciati si può dire che la formula Democrazia Liberale contiene due aspetti che contrastano: Il pubblico, costituito dal popolo sovrano, si affida, attraverso gli istituti della democrazia, allo Stato; il privato costituito dal libero e autonomo cittadino si affida all’iniziativa dei singoli.

Il privato (liberale) cerca, attraverso gli istituti politici della democrazia (pubblico) di conseguire i suoi obiettivi in sintesi definiti: meno Stato c’è, meglio è. Naturalmente, non è così semplice perché il pubblico (il popolo) si oppone e fa ricorso a tutti gli strumenti che il sistema democratico gli mette a disposizione e affida alle lotte in parlamento (legislativo) la difesa dei suoi diritti.

Il privato (pensiero liberale) lamenta le lungaggini delle procedure parlamentari e i tempi delle funzioni dei pesi e contrappesi che il sistema democratico prevede. Quindi cerca scorciatoie che permettano il raggiungimento degli obiettivi in tempi brevi.

Il parlamento è quasi d’impaccio, si comincia a studiare come scavalcarlo. Ha inizio così l’attacco al parlamento, alle sue liturgie, ai suoi tempi lunghi. Nascono così le proposte di leggi elettorali con premi di maggioranza, oppure leggi elettorali con collegi uninominali dove chi vince prende tutto, o leggi elettorali per eleggere un Presidente con ampi poteri.

In definitiva, leggi che spostino tutto, o quasi, il potere verso l’esecutivo, sottraendolo al legislativo. Tutto in nome della velocità di decisione presa da poche persone che si adeguano alle decisioni con un click.

Non è questa la via migliore per aprire le porte alle democrature?

Se si arriva a ipotizzare leggi elettorali con premio di maggioranza a chi prende più voti, indipendentemente da quanti, o nella migliore delle ipotesi assegnare il premio a chi prende il 35/40% dei voti, non ci stiamo incamminando verso governi che credono di gestire lo Stato come una S.p.A., dove è sufficiente il 30% o anche meno per comandare?

Se il sentimento generale va in questa direzione perché lamentarci se arrivano le democrature o peggio? Solo per la memoria di tutti, ricordo che nelle elezioni politiche del 1958, la DC ebbe da sola il 42% dei voti, il PCI il 22%, il PSI il 14%.

Nonostante tale successo fu sospinta, riluttante, ad avviare l’esperienza del centro-sinistra con il PSI. La spinta venne su sollecitazione del PRI di La Malfa e del PSDI di Saragat.

Molti diranno: altri tempi. Vero. Ma anche altre stature di politici. Non c’erano twitter e facebook. E soprattutto non c’era l’arroganza di tagliare le ali della società dal gioco politico. Incuranti del pericolo che se togli la voce in parlamento alle minoranze (le ali), prima o poi quelle voci urleranno  la loro rabbia in piazza.

Ma le democrature arriveranno, anzi sono già qui, perché nella vita politica delle nazioni c’è una talpa che sta scavando, da tempo, compromettendo le fondamenta della democrazia.

Questa talpa si chiama ECONOMIA FINANZIARIA.

Non sappiamo più come difenderci da questa massa fluida di danaro che rimbalza da un capo all’altro del pianeta con un semplice click. Abbiamo perso di vista che l’economia, specie l’economia finanziaria senza politica, senza le regole della politica, è l’anticamera del governo dei pochi e di conseguenza delle dittature.

Nel 1933 Hitler, con l’appoggio della grande finanza, passò nell’arco di tre mesi, in due elezioni, dal 33% al 44% dando vita alla dittatura che sappiamo. E non aveva la maggioranza dei voti.

L’economia finanziaria della globalizzazione ha fatto regredire le conquiste sociali e ha obliterato l’egualitarismo che è l’essenza della democrazia. Non c’è bisogno dell’avvento delle democrature, già oggi il mondo è governato come se fosse un’unica dittatura economica finanziaria.

Volete sapere come? Leggete quello che segue. E’ il colloquio tra Gary Cohn, presidente di Goldman Sachs, e Donald Trump, presidente degli Stati Uniti che ascolta capendo poco.

G. Cohn: “ L’imposta sul reddito delle società al 35% (era la vecchia imposta prima di Trump) è stata una manna per la mia azienda negli ultimi dieci anni. Abbiamo estero vestito(trasferito all’estero) in giurisdizioni fiscali con tassazione al 10%, ottenendo in cambio commissioni enormi”.

Goldman ha facilitato il trasferimento all’estero di decine di società, i capi delle società e dei consigli di amministrazione avevano la responsabilità nei confronti degli azionisti di massimizzare i profitti. Estero vestire incrementa i profitti.

Che fine fanno quei guadagni, si trasformano in ricchezza privata andando a incrementare la ricchezza dei già ricchi.

Investimenti per ridistribuire ricchezza, zero.

G. Cohn aggiunse: ” In quale altro modo un’azienda che fattura X oggi e X domani può ottenere un aumento dei profitti del 20% solo cambiando sede legale?” Erano questi i principi economici che spingevano Trump ad abbassare l’imposta sul reddito.

Le frasi riportate sono state riprese dal libro PAURA di Bob WoodWard. Può un sistema economico finanziario così impostato sottomettersi alle regole della democrazia? Può il pensiero liberale autore di questa turbo capitalismo aggettivare il sostantivo democrazia?

In altre parole democrazia liberale è un binomio possibile e soprattutto ha la capacità di soddisfare le istanze dei poveri e dei ricchi?

Se osserviamo l’esempio che abbiamo in casa nascono molti dubbi.

Il nostro governo è l’esempio di una democrazia liberale. Il M5S che interpreta il pubblico che chiede l’intervento dello Stato (reddito di cittadinanza), la Lega che interpreta il privato (flat tax, pace fiscale).

E’ un sistema che funziona? A occhio sembra di no perché incarnano due politiche, due visioni della società contrapposte.

E poiché rischiano di incartarsi accendono fuochi fatui: TAV, TAP, termovalorizzatori/inceneritori, porti chiusi, decreto sicurezza, lotta alla prescrizione e molto altro. Ma sono diversivi per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica.

Il vero problema è l’economia, il bilancio, lo scontro con l’Europa che se avessimo un governo solo liberale, potremmo dire all’Europa cancelliamo il reddito di cittadinanza (rimodulandolo); se avessimo un governo solo democrazia senza aggettivi, potremmo dire cancelliamo quota 100 per le pensioni e la pace fiscale (rimodulando il tutto).

La realtà è sotto i nostri occhi e ci dice che il mondo si sta incamminando verso forme di governo che hanno tutte le sembianze della democratura.

USA con un sistema elettorale che permette alla minoranza di governare, RUSSIA con un potere concentrato nelle mani di pochi oligarchi, CINA con il partito unico, INDIA una democrazia che mantiene la società divisa in caste è un non senso, i PAESI ARABI che mantengono regimi monarchici, L’EUROPA ci sta arrivando con gli attacchi, in alcuni paesi, alla stampa e alla magistratura, e con gli ultimi sondaggi che dicono che 1 europeo su 4 è sovranista.

Di fronte a questo scenario resta la speranza, alcuni segnali già ci sono, che le ali rappresentate dalle giovani generazioni comincino ad agitare la bandiera della protesta e rivendichino il diritto a contare e a incidere.

Il capitalismo finanziario oggi sembra avere vinto la sua battaglia, ma c’è sempre un futuro e vale la pena ricordare la favola che Mao ricordava ai giovani. La favola narra di un vecchio contadino, Yu Kung, che voleva spianare una montagna a colpi di zappa, lui e i suoi figli.

A chi gli diceva: ma che sciocchezze stai facendo? Il vecchio rispose: io morrò, ma rimarranno i miei figli. Moriranno i miei figli, ma resteranno i miei nipoti e così le generazioni si susseguiranno all’infinito. Le montagne sono alte, ma non potranno diventare ancora più alte. A ogni colpo di zappa esse diventeranno più basse.

Lo so Mao, oggi, non è più la guida di nessuno, però è da Mao che è nata la Cina di oggi.

Le iniquità sociali sono alte e potenti ma non è detto che non possono essere abbattute.

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