Pickett ha affrontato recentemente uno degli storici vizi capitali dell’economia italiana. Definito da Carlo Cottarelli nel suo ultimo libro come il primo, il più grave dei peccati capitali: l’evasione fiscale.

Ci sembra davvero peculiare che in un momento storico di ricerca quasi forsennata di risorse finanziarie che possano, in qualche modo, riportare il nostro debito dentro un perimetro accettabile e ottemperante ai vincoli europei, lo ripetiamo sempre, da noi sottoscritti e accettati, ci sembra davvero strano, dicevamo, che neanche il Governo del Cambiamento non abbia attivato, fin da subito, un’efficiente lotta all’evasione. Molte parole sono state dette ma pochissimi i fatti concreti realizzati.

Ci chiediamo dunque il perché di questa storica “distrazione” di tutti i nostri governi in materia di repressione di condotte profondamente gravi e lesive dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Pochi si caricano il fardello di tutti, sommando alle fatiche quotidiane le … beffe della disuguaglianza iniqua.

Oggi, con la tecnologia digitale, non ci stancheremo mai di ribadirlo, basterebbe potenziare il sistema informatico pubblico, incrociando le informazioni delle numerose banche dati esistenti, leggendo così i nostri profili originati dai Big Data per ottenere dei risultati immediati.

Ci confortano in questo grido di stupore e rabbia, le conclusioni della Commissione presieduta da Enrico Giovannini.

State a sentire: per misurare l’evasione fiscale si usa spesso il tax gap e cioè la differenza fra il gettito teorico originato in base alle leggi vigenti e il gettito effettivo incassato dalla nostra amministrazione. Tale tax gap comprende anche l’elusione fiscale che consiste “nell’aggiramento dell’obbligo fiscale, senza violarlo, per mezzo di comportamenti o altri mezzi giuridici tesi ad ottenere un illegittimo risparmio di imposta”.

Il tax gap, si legge nelle stime della Commissione Giovannini, relativo alle entrate tributarie, è stato nel 2016 di 89.9 miliardi contro una media di 92.2 degli anni 2013-2015. Se si considerano anche i contributi sociali, il tax gap sale a 108.9 miliardi nel biennio 2013-2015. L’evasione ed elusione dei tributi rappresentavano circa il 31.3% del gettito teorico di tale biennio e il 30.5% della stima provvisoria relativa al 2016. L’evasione fiscale risulta più elevata per le imposte sul reddito dei lavoratori autonomi.

Interessante anche l’esempio del canone RAI che rappresentava una propensione all’evasione del 35.5% nel triennio 2013-2015. Con la brillante idea del pagamento dell’imposta inserito nelle bollette elettriche tale propensione è crollata nel 2016 al 9.9%! Dunque esistono prove lampanti che con buone pratiche non vessatorie si può immediatamente procedere ad un importante recupero dell’evasione fiscale.

Un altro esempio ci viene fornito dalle imposte sui canoni di locazione: dopo l’introduzione della cedolare secca (imposta sostituita da una aliquota fissa al 21%) per chi affitta immobili ad uso abitativo, l’evasione è, anche qui, crollata.

Se tutte le tasse fossero state pagate – ha scritto Cottarelli – il bilancio pubblico del 2014 avrebbe potuto avere un surplus del 5% invece che un deficit del 3%”. Un calcolo meccanico ma che fornisce un’idea chiara di quanto anche una piccola riduzione dell’evasione potrebbe essere importante per far quadrare i conti.

Se dal 1980 l’evasione fiscale fosse stata di un punto percentuale più bassa – ha scritto sempre Carlo Cottarelli – il nostro debito pubblico, tenendo conto del risparmio degli interessi, sarebbe ora del 70-75% del PIL”. Tutto ciò senza contare la riduzione degli effetti distorsivi sulla distribuzione del reddito che l’evasione fiscale comporta sempre.

L’Italia, nel confronto europeo anche sull’evasione dell’IVA, è agli ultimi posti insieme a Malta e Grecia.

Un recupero di tributi e dei contributi evasi potrebbe essere usato virtuosamente per ridurre il deficit (e conseguentemente il debito) pubblico o per ridurre le tasse a chi le paga o, ancora, in parti uguali a entrambi gli obiettivi o anche a finanziare spese aggiuntive (come il reddito di cittadinanza) senza aumentare il deficit rischiando un contenzioso con l’Europa.

La lotta all’evasione fiscale viene citata tre volte nel Contratto di Governo: una delle tre con riferimento al gioco d’azzardo. Per l’attuale governo l’evasione deve essere disincentivata. Il ragionamento contenuto nel Contratto del Governo giallo-verde è, in sintesi, il seguente: il contribuente ha tanto più interesse ad evadere quanto più alte sono le aliquote e il fisco è vissuto come un soggetto ostile e vessatorio. Quindi basta ridurre la pressione fiscale, con la flat tax a due aliquote, abolire gli odiosi spesometri e redditometri e rifondare così il rapporto tra lo Stato e i contribuenti sulla reciproca collaborazione e buona fede, per scongiurare ogni “stato di paura”  per il contribuente.

Un clima insomma di “pace fiscale” suggellato da un bello sconto sugli importi accertati e dovuti.

Va infine ricordato che a ridurre l’incentivo a evadere è anche la probabilità di subire accertamenti e l’entità delle pene (pecuniarie o penali) previste per gli evasori accertati. Può essere anche ampliato il ricorso a sostituti di imposta e alle ritenute d’acconto per i lavoratori autonomi oltre all’obbligo di strumenti elettronici per i pagamenti (che diventano quindi tracciabili) e la trasmissione di dati fisicamente rilevanti.

Viene quindi immaginato un sistema di maggior fiducia e collaborazione fra lo Stato e i contribuenti con l’auspicio di importanti risultati dal punto di vista dell’aumento del gettito fiscale e della riduzione dell’evasione.

Al di là quindi della condivisione di specifici strumenti per combattere tale fenomeno, apparentemente esiste la volontà di tutti i protagonisti di avviare un percorso virtuoso. Le conclusioni della Commissione Giovannini potrebbero diventare un utile strumento di riferimento per affrontare finalmente, in concreto, la questione.

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