Il punto interrogativo ci sembra d’obbligo!

Non è una provocazione ma una cruda fotografia della nostra attualità.

L’emergenza razzismo in Rete e su tutte le pagine dei giornali occupa un grande spazio della nostra attuale quotidianità.

Si succedono episodi di violenza fisica e psicologica ai danni di persone che hanno soltanto il difetto di avere un colore della pelle diverso dal nostro oppure una fede religiosa non “politicaly correct”.

Che cosa ci sta succedendo? Che cosa sta contaminando il nostro DNA che, in fondo, nella lunga storia del nostro bizzarro Paese, è sempre… o forse meglio, quasi sempre… stato caratterizzato da atteggiamenti inclusivi in cui l’accoglienza e la generosità, per necessità o per virtù, sono state le cifre del divenire del popolo italiano? “L’Italia è un’antica nazione mediterranea – ha scritto in questi giorni il direttore de La Stampa Maurizio Molinari – frutto dell’incontro e della convivenza fra più popoli e genti e non ha dunque nel proprio DNA il seme del razzismo.“ Detto ciò, non possiamo dimenticarci un nostro “periodo nero“: dal 1936, data di inizio della campagna militare in Africa orientale, legittimata anche dalla superiorità della nostra razza rispetto a quella delle popolazioni locali, al 1943, data che corrisponde alla caduta del regime fascista, l’Italia ha assunto decisioni e scelte istituzionali tipiche di un paese razzista. Come tutti sappiamo (quest’anno si ricordano gli ottant’anni di quella tragica data) nel 1938 furono emanate le leggi razziali che solennizzavano l’alleanza con il nazismo tedesco e la nostra convinta partecipazione corale alle peggiori derive culturali ed etiche di quel movimento.

È inutile dunque che ci culliamo nel facile alibi di essere comunque “brava gente” che, in fondo, anche nei momenti più disperati e bui della nostra storia recente, come appunto dal 1936 al 1943, ha sempre saputo distinguersi dai veri “cattivi“, i tedeschi.

Ha sempre interpretato, anche nel momento della scellerata decisione di promulgare le leggi razziali, con il buon senso italico le derive razziali senza mai esasperare la caccia agli ebrei anzi, in molti casi, proteggendoli.

Siamo, invece, anche noi un popolo “a rischio” di scelte sbagliate, anche nel campo delicato e spinoso della discriminazione razziale.

L’assemblea Costituente si dimostrò consapevole di questo rischio e della minaccia portata dal germe del razzismo: l’articolo 3 della nostra Costituzione nasce proprio da questa constatazione, per arginare, fermare, vietare questa devastante deriva culturale ed etica: ”Tutti cittadini – recita l’articolo 3 -hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.“

Dal 1948 questo articolo, semplice nella sua stesura ma formidabile nella sua efficacia, ha protetto il nostro paese dal virus dell’odio verso il prossimo, diventando anche il “padre“ normativo della legge Mancino, del giugno del 1993.

Sì, proprio di quella norma – oggi tanto contestata da alcuni esponenti della Lega che vorrebbero abrogarla – che vuole condannare i gesti, le azioni e gli slogan legati all’ideologia nazifascista, che incitano alla violenza o alla discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi.

La legge Mancino ribadisce inoltre il divieto, già previsto nella legge Scelba del 1952, di costituire organizzazioni o movimenti che abbiano come scopo la discriminazione razziale o comunque il richiamo ad ideologie ispirate al nazifascismo.

La legge prevede che chi propaganda idee fondate sull’odio razziale venga punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 €.

Pickett ha fatto veramente fatica a comprendere come mai Lorenzo Fontana sia uscito con la sua eclatante dichiarazione in ordine alla necessità di abolire tale legge. Tra l’altro proprio in un contesto come quello attuale dove l’auspicio di molti italiani è invece che venga finalmente applicata dalla magistratura inquirente e non continuamente dimenticata o disattesa, vista la gravità dei fenomeni che ci stanno passando davanti agli occhi con allucinante ripetitività.

Abbiamo fatto ricerche, ci siamo documentati ma non siamo riusciti a capire come il ministro Fontana ragioni per proporre l’abrogazione di una norma che sancisce un principio fondamentale per la nostra convivenza, quello scritto sulle pietre all’articolo 3 della nostra Costituzione.

Abbiamo trovato soltanto questa dichiarazione di Fontana che vi riportiamo tra virgolette: “in questi anni strani, la legge Mancino, si è trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano”.

Dunque, il pericolo paventato da Fontana sarebbe quello di una strumentalizzazione della legge Mancino che, stravolgendo i razionali originari, diventerebbe un boomerang per gli italiani onesti e non razzisti che si vedrebbero potenzialmente incriminabili per violazioni della legge ogniqualvolta, anche in buona fede e quindi con la ragione dalla propria parte, accusassero di qualche illecito un altro essere umano con il colore della pelle non bianco. A fronte di questo arzigogolato rischio… meglio abrogare la norma!

Lasciamo a voi ogni commento su questa posizione del ministro Fontana: certo rappresenta evidentemente un “sentire” di molti dei suoi sostenitori.

Ma è proprio questo il punto che interessa Pickett: stiamo vivendo in Italia un contesto sociale e culturale in cui stanno riaffiorando, per ragioni anche diverse, posizioni razziste?

Siamo davvero consapevoli dei rischi che stiamo correndo, sdoganando quotidianamente attraverso un lessico dolosamente caratterizzato da odio e rancore, attitudini, comportamenti ed emozioni che covano probabilmente nel fondo dell’anima di tutti gli esseri umani?

Ha incominciato a fornirci alcune risposte a questi dilemmi che ci angosciano la nostra quotidianità, il professore Lucio Biggiero dell’Università dell’Aquila, dove insegna organizzazione aziendale.

Biggiero svolge attività di ricerca attraverso i modelli “computazionali” che, adesso, proviamo a spiegarvi ovviamente con l’aiuto del professore.

La scienza della simulazione – ha detto Biggiero a Lavinia Rivara de La Repubblica – ha studiato a fondo il problema della segregazione residenziale, che è l’emblema, il fulcro di quella razziale. Negli stati i razzisti americani, i neri non potevano risiedere negli stessi quartieri, frequentare le stesse scuole o gli stessi autobus dei bianchi. I modelli di segregazione residenziale a cui mi riferisco cercano soluzioni numeriche, e per prevedere l’evoluzione di un fenomeno tentano di “riprodurlo“ nel mondo virtuale attraverso modelli denominati appunto computazionali.“ L’antesignano di questo tipo di studi è stato, negli anni 70, l’americano Thomas Schelling, poi insignito del premio Nobel nel 2005.

Schelling studiò le condizioni che generano la segregazione a partire da una situazione di non-segregazione, per capire se e in che modo si verificano esiti non desiderati da comportamenti non intenzionali, esattamente come avviene per la segregazione da “razzismo a basse dosi“.

Studi successivi hanno fornito risultati in linea con quelli di Schelling indicando che la segregazione si genera anche con bassi livelli di intolleranza e che il rafforzamento di sentimenti identitari conduce ad un inasprimento della dinamica segregazionista.

Personalmente – confessa Biggiero – condivido al 100% le tesi del premio Nobel americano: con i modelli sulla segregazione razziale si può dimostrare che per generare una società segregazionista non è necessario essere né intenzionalmente né totalmente razzista, e neanche esserlo al 50%. Schelling dimostrò proprio che è sufficiente un dosaggio di razzismo – inteso come intolleranza ai vicini di casa diversi dal proprio tipo – superiore al 33%.”

Ciò, forse, può non sorprendere – osserva ancora il professor Biggiero – ma è notevole poterlo dimostrare con la stessa forza di un teorema matematico. Non si può più dire che è questione di opinioni. Non più di quanto lo si possa dire del teorema di Pitagora.

Dunque quello che per Salvini e il suo entourage è una autentica sciocchezza, parlare di allarme razzismo in Italia, in verità è una tragica ……realtà!

Esistono solidi studi matematici di simulazione sociale che dimostrano come una società, proprio come quello italiana attuale, appena intollerante, possa correre un alto rischio di diventare fortemente razzista.

Per evitare questa drammatica deriva – dice il professor Biggiero – dobbiamo essere “fortemente anti-razzisti”. In tutti i dibattiti si presenta invece il problema in una luce sbagliata, dicotomica: per niente razzista, cioè 0% o totalmente razzista, cioè 100%. In questo modo quelli che chiamerei “proto-razzisti“, cioè coloro che lo sono un po’, hanno buon gioco a negare che ci si trovi di fronte ad un pericolo di razzismo. Troppo pochi sono coloro che si dichiarerebbero come tali. La questione non va posta come un’alternativa secca, ma va rovesciata: bisogna chiederci se siamo sufficientemente tolleranti e anti-razzisti per evitare che si arrivi ad una società segregazionista intollerante. Bisogna tenere molto alta la guardia, perché le dimostrazioni dei modelli di simulazione purtroppo sono state anticipate e poi confermate dalla storia del secolo scorso. La possibilità di generare una società totalmente razzista a partire da comportamenti individuali debolmente razzisti, ricorda molto i meccanismi che hanno portato all’organizzazione dello sterminio di massa degli ebrei e degli altri gruppi sociali ad essi equiparati. Tanta letteratura scientifica li ha analizzati in profondità ed è sempre emerso che, in fondo, i fanatici, i razzisti al 100%, erano relativamente pochi. La stragrande maggioranza assentiva e si assoggettava alle regole.

Per il professore, l’Italia sta vivendo un clima favorevole allo sviluppo di idee razziste: “Questa è la mia impressione. Forse si tratta solo di segnali deboli, ma ricordiamoci che i sistemi sociali sono complessi, seguono andamenti non lineari, caratterizzati da cambiamenti bruschi di direzione che vengono dopo periodi, anche lunghi, di piccolissimi cambiamenti. Appunto, i segnali deboli. Il problema è che quando i segnali diventano forti in genere e troppo tardi per bloccare o invertire quella dinamica.

Per tornare al titolo provocatorio di questo contributo, Pickett si permette una riflessione finale: saremmo anche “brava gente“ ma vigiliamo, per carità, subito e con grande severità su tutte le manifestazioni, anche di piccole minoranze, tendenti a forme più o meno eclatanti di razzismo.

I modelli elaborati da Schelling prima e Biggiero oggi, dimostrano che anche in Paesi civili e moderni come il nostro, bastano pochi individui determinati per inseminare odio e creare effetti emulativi devastanti.

Altroché abrogare la legge Mancino!!!

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