Ad un primo superficiale approccio può stupire che il tema della pubblicità dei giochi e delle scommesse abbia trovato spazio nel Decreto Dignità insieme a tematiche da esso … apparentemente … assai lontane, come la lotta al precariato ed il contrasto alla delocalizzazione. Ma non è così!

Non ci troviamo, infatti, di fronte ad uno di quei decreti omnibus, contenenti misure e provvedimenti assolutamente disomogenei che la (cattiva) politica ci ha abituato, purtroppo, a vedere sempre più spesso in questi anni. L’accorpamento ha, invece, una sua intrinseca ratio.

L’aumento del precariato, la delocalizzazione delle imprese e l’aumento del gioco e delle scommesse sono tutti eventi legati dal duplice fil rouge della globalizzazione e della crisi economica.

Sotto un primo profilo, la crescita dei giocatori che si è concretizzata in questi ultimi anni è, infatti, certamente correlata all’aumento dell’offerta del gioco legale (e non…) (i) nel mondo off line, con più sale, più offerta di giochi, più slot machines in ogni bar, anche della più lontana provincia, e (ii) nel mondo on line con una pluralità di siti Internet che attraggono giocatori di tutte le età (purtroppo anche minorenni) e di tutti i ceti sociali, ma che attirano, soprattutto, i giocatori “patologici” che possono così coltivare questa insana passione, lontani da occhi indiscreti e dalla riprovazione sociale di una condotta che rischia… drammaticamente… di trascinare nella povertà assoluta non solo il giocatore seriale, ma tutta la sua famiglia.

Sotto un secondo profilo, è, ugualmente, documentato, che l’aumento delle giocate cresce nei periodi in cui il reddito collettivo e quello individuale decrescono.

Non è un controsenso. La diminuzione del reddito porta, certo, razionalmente ad escludere le spese voluttuarie, concentrandosi sui bisogni essenziali, ma porta, altrettanto irrazionalmente gli individui a confidare nel “colpo di fortuna” che … magicamente … risolve un problema, quello della mancanza di un lavoro tout court o della disponibilità di un lavoro mal retribuito o precario, che opprime il singolo e la sua famiglia, logorata dalla paura del domani.

Oggi 6 agosto 2018, il Decreto Dignità verrà passato al vaglio del Senato, ma sarà, temiamo, poco più che una formalità considerato che il 7 agosto il Parlamento chiuderà per la pausa estiva. Non ci si può, quindi, aspettare modifiche particolarmente sostanziose allo scenario che si delineato all’esito dell’esame della Camera dei deputati.

Vediamo, allora, quali sono i contenuti del Decreto originario e del testo messo a punto dalla Camera dei deputati.

L’art. 8 vieta, innanzitutto, “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualsiasi mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni ed Internet”.

A far data dal 1 gennaio 2019 tale divieto si applicherà anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, “comprese le citazioni visive ed acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità, ai sensi del presente articolo, è vietata”.

Il Decreto esclude, invece, l’applicabilità di tale divieto alle lotterie nazionali (deroga che fa comodo allo Stato, che ne è il possessore) ed ai loghi sul gioco sicuro e responsabile dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Ove non rispettato, tale divieto comporterà importanti sanzioni a carico sia dell’inserzionista, sia del mezzo di diffusione e/o dell’organizzatore della manifestazione, ovvero una sanzione pecuniaria pari al 5% (percentuale incrementata al 20% in sede di conversione alla Camera) del valore della sponsorizzazione o della pubblicità (ma, in ogni caso, l’AGCom non potrà infliggere sanzioni inferiori ad euro 50.000,00).

Tali sanzioni andranno ad alimentare un fondo appositamente istituito per il contrasto al gioco d’azzardo patologico, affidato alla gestione del Ministero della Salute. Tale disposizione non deve stupire se si considera che, a far data dal gennaio 2017, la cura della ludopatia è stata inserita nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

La normativa di cui al decreto legge è stata poi implementata in sede di conversione. E’ stato previsto, innanzitutto, un emendamento che prevede un messaggio, nella lotteria istantanea ed attraverso gli apparecchi di intrattenimento, relativo ai danni del gioco d’azzardo per la salute, da veicolare anche nei luoghi ove questi ultimi risultano installati. Su entrambi i lati dei tagliandi dovranno poi essere riprodotte le relative avvertenze (“Questo gioco nuoce alla salute”) in modo da “coprire” almeno il venti per cento della superficie del tagliando.

Si ripropongono, quindi, nei medesimi termini, quei contenuti e quel conflitto di interessi che già affligge lo Stato Italiano per quanto riguarda le sigarette. Ovvero se le sigarette, come il gioco, danneggiano la salute fisica e/o psichica degli individui, perché lo Stato continua a voler guadagnare e speculare sulla loro commercializzazione e sull’offerta dei relativi servizi?

Non sarebbe stato più ragionevole (ed efficace) operare nella direzione di contenere l’offerta, riducendo la strabordante presenza delle slot machines, le cui licenze non hanno mai smesso di crescere negli ultimi anni? Non sarebbe stato più efficiente ridurre gli orari di accesso ai locali di gioco come già effettuato da alcune amministrazioni a livello locale?

Ci pare, infatti, che un’offerta più che capillare del gioco “porta a porta” (nei bar, nelle tabaccherie, negli alberghi, stabilimenti balneari, etc.), induca e favorisca la fruizione del gioco, ben più della pubblicità, alimentando quella che, per molti, è ormai diventata una vera e propria quotidianità.

La ragione per cui tale opzione, ben più efficace, è stata scartata è evidente: lo Stato necessita di poter fare affidamento sulle indispensabili risorse economiche ricavate dal gioco legale nel definire la/e prossima/e manovre finanziarie. Nel settore, in Italia, lavorano, inoltre, più di 140.000 persone i cui posti di lavoro non si vogliono certo mettere a rischio in un contesto occupazionale fragile, come quello attuale.

Ferma, dunque, la parità di offerta, bisogna chiedersi se abbia un senso vietare la pubblicità del gioco d’azzardo che, non lo dimentichiamo, era già puntualmente e rigorosamente regolamentata sia dalla normativa statuale che da quella autodisciplinare.

A nostro parere, questo divieto è figlio di un approccio ideologico e retrogrado al tema pubblicità, non condivisibile.

La pubblicità può non essere solo promozione, finalizzata esclusivamente ad incrementare l’offerta, ma può essere anche informazione.

Fare pubblicità al gioco d’azzardo può significare, innanzitutto, presentare ed orientare il potenziale fruitore a quello che è il gioco legale.

Da oggi in poi, tale informazione è bandita, ma continuerà a fiorire, ne siamo certi, la pubblicità del gioco illegale, che nel nostro Paese genera numeri di tutto rispetto.

Già oggi Google annuncia che non si potrà più fare pubblicità per giochi e scommesse con “AdWords” il servizio pubblicitario del motore di ricerca. Ma ciò non vuol dire certo che tramite il motore di ricerca non si potranno ancora trovare agevolmente siti di scommesse e casinò on line. Basterà digitare tali parole nella stringa del motore di ricerca per trovare tutti quei siti che operano con licenze internazionali, senza pagare le tasse in Italia, senza certificazioni e senza rispettare la legislazione vigente.

Ed allora, non sarebbe stato meglio consentire a chi svolge queste attività nel pieno rispetto delle norme italiane vigenti, con una regolare licenza, rispettando le direttive dei Monopoli di Stato,  di continuare a pubblicizzare i propri servizi in un quadro trasparente e regolamentato?

Il rischio è che a guadagnarci non siano i consumatori, ma solo chi pone in essere l’offerta di giochi illegali offerta che, tramite i canali on line, è diretta soprattutto ai giovani utenti, spesso neppure maggiorenni. E’ facile preconizzare che questi ultimi, allontanati da slot machines e terminali, cui potranno accedere solo con la tessera sanitaria che attesti la loro maggiore età, si orienteranno ancor più alla fruizione via web, già di per sé più congeniale per i nostri millenials.

Lo ribadiamo. In questo quadro, ci sarebbe sembrato assai più sensato, anziché dar seguito ad una deriva proibizionistica, valorizzare il ruolo positivo della pubblicità come informazione e strumento di acquisita consapevolezza dei rischi e delle opportunità insite nel giocare legalmente e con misura. In questo senso, era diretto, in verità, l’emendamento, non approvato, a quanto consta, in sede di conversione, che prevedeva uno stanziamento (non inferiore ad un milione di euro per ciascuno degli anni del triennio 2018-2020) destinato all’adozione di una campagna di comunicazione televisiva volta a sensibilizzare i cittadini sui problemi derivanti dal gioco patologico, sull’informazione circa il gioco legale, nonché per le attività di prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie.

La pubblicità non è insomma il male assoluto, da demonizzare, vietare, ma uno strumento positivo da incentivare, regolamentare e guidare.

Siamo in un déjà-vu … il divieto di pubblicizzare le sigarette, i “nuoce gravemente..” e le immagini impressionanti sui pacchetti non hanno disincentivato nuove leve di giovanissimi fumatori. Forse anche in questo caso sarebbe stata più efficace una pubblicità/informazione mirata a far conoscere e rendere consapevoli i destinatari, più che ad inserire rigidi ed assoluti divieti.

Ciò è tanto più vero se si guarda al gioco d’azzardo.

Anche solo una sigaretta al giorno nuoce alla salute. Non vi sono però evidenze scientifiche che lo stesso valga per un solo “gratta e vinci”…

Monica Togliatto

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