Sui colli fatali di Roma.  A proposito perché fatali? Nessuno ha mai spiegato la ragione di questo aggettivo appioppato alla città di Roma. Perché non colli ubertosi, colli bucolici, colli poetici, colli storici. Boh mistero.
Resta colli fatali e amen.
Dicevo, sui colli fatali di Roma è tornata a sventolare la bandiera dell’orgoglio offeso, la bandiera della difesa contro i soprusi, la bandiera da opporre alle ingiustizie che il paese subisce, la bandiera dei muscoli e del petto in fuori e mascella protesa in avanti, in una parola  la bandiera del nazionalismo che per vergogna di un passato non commentabile, oggi viene chiamato sovranismo.
Perché la parola sovranità ha ancora un che di nobile, forse in memoria degli antichi sovrani.
Sovranismo-nazionalismo da rivendicare e affermare contro un nemico che è là fuori e ci minaccia, ci costringe, ci obbliga, ci impedisce di essere liberi in casa nostra.
Con lentezza, progressione, costanza, sui colli fatali di Roma si costruisce, ogni giorno, la favola, oggi si direbbe la narrazione, della fortezza assediata.
Sembra che qualcuno dei costruttori di questa favola, abbia letto il Deserto Dei Tartari. Questo non credo.
Di Dino Buzzati.
La situazione odierna ha delle similitudini.
La fortezza Bastiani, del Deserto dei Tartari, ha un fascino irresistibile perché rappresenta l’unica difesa dai pericoli esterni. La fortezza ha un fascino perché compatta gli assediati, anche quelli che vorrebbero dare uno sguardo là fuori, per capire di che natura è il pericolo, come è fatto il nemico.
La fortezza da l’idea di noi dentro, fuori l’altro.
Nella fortezza siamo tutti chiamati alla difesa e chi si rifiuta o vorrebbe discutere, viene additato come traditore, reprobo.
È difficile nella fortezza avere un pensiero alternativo, perché questa alternativa potrebbe essere a vantaggio del nemico là fuori.

In queste condizioni nella fortezza  ha inizio l’indottrinamento degli assediati: ai bambini delle elementari viene distribuito il sillabario LIBRO e DISPETTO. Gli adulti  vengono inquadrati nelle esercitazioni preparatorie atte ad affrontare il nemico che sta arrivando. Nella fortezza qualche volta si può intravedere  un pezzo di cielo, un po’ di sole, di sera la luna, le stelle. Quello però è il cielo della fortezza, non è il cielo del nemico che ci minaccia. Il cielo della fortezza è nostro e lo difenderemo a costo di rimanere isolati per sempre segando il nostro cielo da quello del nemico.
Nel libro di Buzzati il nemico è rappresentato dai Tartari.
Il nemico di oggi dei colli fatali di Roma non è Porsenna, non è Annibale, che sono persone con nome e cognome, bensì l’Europa, della quale i colli fatali di Roma furono fondatori e contribuirono a istituire leggi e organismi.
È l’Europa il nemico da combattere e sconfiggere, è l’Europa del pluralismo che il nazionalismo deve abbattere, è l’Europa del progetto Erasmus che deve essere cancellata.

L’individuazione del nemico esterno è una vecchia e arcinota tecnica per ottenere il consenso interno.
Niente di nuovo, dovremmo essere vaccinati. Eppure funziona ancora.
Già nel 1922 sui colli fatali di Roma sventolò la bandiera del nazionalismo. Il nemico di allora erano gli alleati della prima guerra mondiale che, secondo i nazionalisti, mutilarono la nostra vittoria.
Successivamente imprecammo contro inglesi e francesi che non volevano dividere con noi l’Africa, sorvolando sul fatto che inglesi e francesi l’Africa l’avevano divisa fra loro nel XIX secolo e noi arrivavamo buoni ultimi a reclamare un posto al sole, quando il colonialismo era declinante e non era rimasto più niente da dividere o quasi. Poi sempre contro gli inglesi rivendicammo il Mediterraneo come Mare Nostrum. La perfida Albione. Peccato che nessuno informò gli italiani che quel mare era inglese da secoli perché possedevano: Gibilterra, Malta e Suez. I nemici diventarono le plutodemocrazie massoniche e ebraiche. In altre parole un nemico senza nome e cognome come
gli attuali poteri forti.

Oggi i colli fatali di Roma non rivendicano colonie o mare nostrum, molto più banalmente minacciano lo sforamento del 3%, una finanziaria in deficit, lo smantellamento delle regole comunitarie, il non versamento dei fondi comunitari, la non firma dei bilanci, il pagamento del nostro debito sovrano
con moneta parallela o questue da fare a Mosca e Pechino.
Tutte azioni che di fatto escluderebbero i colli fatali di Roma dal consesso europeo senza bisogno di referendum, peraltro non previsti, invocati da Grillo.
L’ ultimo intervento di Picket ha riportato alla memoria l’interessantissimo libro di Hannah  Arendt: “Le origini del totalitarismo”.

L’analisi che la Arendt fa della nascita e della costruzione del totalitarismo è esemplare e instilla il dubbio che dalla storia non impariamo mai. E questo dubbio diventa sempre più angosciante se si legge della stessa autrice: “La Banalità del Male”.

Molto del totalitarismo è basato su slogan, parole d’ordine magniloquenti, banale esecuzione di ordini senza chiedersi che effetto avranno…
Siamo in presenza di una ripetizione della Storia? Non lo so.
Si dice che quando la Storia si ripete tende alla commedia.
Il nazionalismo dei colli fatali di Roma del 1922, alla fine delle proteste, delle rivendicazioni, dei muscoli in evidenza, finì nelle braccia di Hitler.
Il nazionalismo dei colli fatali di Roma di oggi è finito nelle braccia di Orban.
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