Siamo confusi, spaventati, preoccupati. Continuamente sballottati da notizie che ci fanno spesso cambiare idee, opinioni e momenti psicologici durante il corso della lettura o dell’ascolto. Non sappiamo più a chi credere tra i predicatori di sventure e quelli portatori del verbo dell’accoglienza senza “Se” e senza “ma”. Siamo infastiditi anche dal non avere delle idee chiare in testa sul come affrontare questa criticità.

La cronaca nera ci espone poi a un altro rischio pericoloso ma umanamente comprensibile: la convinzione che certi fenomeni, certi comportamenti, certi reati, certe violenze quotidiane, in altre parole l’imbarbarimento della nostra convivenza “ex civile”, siano causati proprio da questo esodo biblico che invece di integrare le popolazioni contamina i nostri valori e la nostra comunità. Di conseguenza ci schieriamo contro ogni posizione che tende a ragionare su come riuscire a coniugare immigrazione-accoglienza-integrazione dentro un principio, non negoziabile, del rispetto della legge e delle opinioni, anche religiose, altrui.

Rischiamo di lasciarci andare a dei “No” gridati più per paura che non per attitudine razzista; a delle prese di posizioni rigide, irrazionali, contrarie alla nostra storia, educazione, cultura.

Bisognerebbe richiamare il ragionamento sviluppato proprio recentemente su questo blog: come poter rispettare i valori della Liberta, dell’Uguaglianza e della Fratellanza senza con questo mettere a rischio la sicurezza, l’identità e la speranza nel futuro nostre e delle nostre famiglie e delle nostre comunità? Pickett suggerisce innanzitutto di non smettere mai di informarsi; di non abbandonare mai la voglia di capire, di ragionare; di non arrendersi mai al bombardamento di notizie che riceviamo in ogni minuto della nostra giornata. Bisogna reagire leggendo, chiedendosi dei perché, mettendo a confronto le fonti, applicando i nostri criteri di giudizio a prescindere dal tipo di informazioni che riceviamo. Usiamo, in altre parole, i nostri filtri cognitivi, figli di cosa ci è stato insegnato e di come siamo stati educati. Poi, continuiamo a tenere le antenne dritte, attente a percepire cosa ci accade intorno, selezionando, in funzione delle nostre opinioni, anche politiche e religiose, le fonti di apprendimento. Partendo, soprattutto, da quelle lontane dal nostro sentire. Opposte, a volte, come indirizzo. Solo così potremmo davvero renderci conto e capire meglio come la pensano quelli che hanno idee diverse dalle nostre. La conoscenza , in questi casi, è potere, è capacità di intervenire nelle situazioni critiche, conoscendo la posizione delle parti e potendo così individuare meglio i punti di incontro. Il giusto equilibrio per “uno stare insieme” lecito è accettabile.

Ecco un esempio, proprio sul tema epocale della immigrazione di massa, di un contributo autorevole che ci può essere utile per ragionare in modo appropriato ed approfondito su una complessa tematica che ci terrà compagnia per i prossimi decenni. Un contributo che potrebbe farci venire delle idee e delle progettualità magari per collaborare, nel nostro piccolo, alla soluzione di qualche “pezzo” di questo drammatico, attualissimo e NON irrisolvibile problema della nostra comunità.

Ci stiamo riferendo a un recente studio della grande società di consulenza internazionale McKinsey che ha approfondito il contenuto del fenomeno negli ultimi anni nel mondo.

McKinsey Global Institute ha calcolato che il 90% dei 247 milioni di persone che hanno oltrepassato le frontiere per stabilirsi in un altro paese, l’ha fatto volontariamente, per ragioni economiche. I “veri” rifugiati, alla ricerca disperata di un asilo per uscire dalle guerre o dalle dittature, sono forse più visibili ma sono soltanto il 10% del fenomeno. La gran parte degli immigrati cerca semplicemente un lavoro e dal 2000 al 2014 ha contribuito tra il 40 e l’80% alla crescita della forza lavoro nei maggiori luoghi di destinazione. La migrazione da un paese povero a un paese ricco, a più alta produttività, fornisce un contributo rilevante alla creazione della ricchezza globale.

Lo studio della società di consulenza americana calcola che i migranti rappresentino il 3,4% della popolazione del mondo ma che sono in grado di realizzare quasi il 10% prodotto lordo globale. Si tratta, in cifre, di circa 6.700 miliardi di dollari, 3000 in più di quelli che avrebbero prodotto gli immigrati nei loro paesi d’origine. Un dato questo su cui bisognerebbe riflettere in maniera accurata e possibilmente non fondamentalista.

Le nazioni più sviluppate che hanno saputo beneficiare di tale immigrazione, hanno registrato un notevole aumento del loro Pil nazionale.

Si aprono dunque, collegati al fenomeno dell’immigrazione di massa, grandi temi relativi all’alloggiamento, all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alla creazione di posti di lavoro e soprattutto all’accettazione sociale di questi migranti: tutti temi non ancora risolti e a volte nemmeno messi in agenda.

La McKinsey ha calcolato che il gap salariale tra immigrati e nativi stia oggi in una forbice tra il 20 e il 30% e che potrebbe diminuire, nei prossimi anni, ad un livello tra il 5 e il 10%. Ciò significherebbe una crescita maggiore per l’economia globale tra gli 800 e i 1000 miliardi di dollari l’anno. Il valore del lavoro degli immigrati, sempre secondo McKinsey, è già oggi evidente in diverse tipologie di attività.

Il rapporto si chiude con una provocazione stimolante. Nonostante il quadro economico e sociale sopra delineato, l’immigrazione continua essere considerata una piaga, una tragedia che rischia di travolgere l’identità e la convivenza pacifica dei paesi più sviluppati. Può anche darsi, sostengono gli analisti di McKinsey, ma dal momento che continuerà ad esserci … non è forse più intelligente e proattivo lavorare anche sui suoi portati positivi?

Meditate gente, meditate.

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