Pickett condivide che sia uno dei temi cruciali della nostra coesistenza. Un tema sottostimato, o peggio, non stimato.

Addirittura molto apprezzato come presunto strumento efficace di confronto.

Un tema che riguarda il Metodo del nostro stare insieme, prima del Merito del “come” gestirlo.

Stiamo parlando del “Pensiero Breve“ e di quello straordinario media che si chiama Twitter che sta diventando la “penna stilografica“ delle nostre leadership mondiali oltre che la nostra.

Trump ne costruisce l’esempio più “terrificante” con tanti bravi replicanti anche nel nostro paese.

Ormai in 10 secondi (questo è il tempo mediamente dedicato a scrivere i 140 caratteri della “quasi in soffitta” convenzione Twitteriana) dobbiamo, vogliamo, pensiamo di esprimere i nostri pensieri, le nostre opinioni, le nostre tesi.

A meno che uno sia un genio – scriveva recentemente Michele Serra nella sua Amaca, un esempio di giornalismo che mira ad allungare il tempo stereotipato di twitter pur rimanendo nella sintesi – in 10 secondi è difficile organizzare una frase decente.

La notizia della nuova regola del gioco, con il passaggio dai 140 caratteri ai 280 previsti, non cambia la situazione ma segnala che, forse, anche i nostri “burattinai” della rete si sono accorti che in 10 secondi, con 140 caratteri come tetto massimo, ci si può soltanto fare del male: a noi stessi e agli altri.

È più probabile – ha scritto ancora Serra – riuscire a farlo in 20 secondi, meglio ancora in un paio di minuti, meglio ancora non 20 volte al giorno. La compressione del tempo (che è indeformabile, la giornata dura 24 ore per tutti) produce guasti sempre e comunque non solo sui social media.

Il tempo è l’unico parametro convenzionale inventato dagli esseri umani che la nostra società e i “burattinai“ dell’innovazione digitale non hanno ancora trovato il modo di deformare. Ci hanno provato e Twitter ne è la testimonianza più lampante. Anche il successo di Instagram rientra, a nostro avviso, in questo filone.

Affidiamo ad un’immagine il nostro pensiero. È più facile, più veloce, più efficace! Salvo vedere poi i risultati che, salvo qualche eccezione talentuosa, dimostrano soltanto la diffusione di una pigrizia intellettuale sconsiderata che porta a mandare sempre e solo immagini, più o meno belle e più o meno interessanti, sostitutive di un ragionamento, di un pensiero, di un’opinione.

Il tentativo di comprimere e ottimizzare il tempo è già stato oggetto della letteratura aziendalistica, con risultati disastrosi e contaminanti. I managers dovettero confrontarsi con regole nuove ed innovative: la lettura rapida, la diminuzione del sonno, l’accelerazione delle decisioni, ottenendo in genere il risultato di diventare persone nevrotiche e anche piuttosto antipatiche e cattive.

Sui social abbondano i performanti e i rapidissimi – ha sottolineato l’autore della rubrica l’Amaca – i cliccattori più veloci del West, ed è soprattutto per questo che i social producono un linguaggio di qualità molto bassa.

Una recente indagine di mercato cino-americana ha confermato che il raddoppio dei caratteri (dai 140 ai 280) sta diminuendo la violenza verbale nella rete e ha favorito lo sviluppo di argomentazioni più razionali. Qualcuno si è stupito? Sarebbe stato sorprendente il contrario. “Dare più spazio alla scrittura significa darle anche più tempo, dunque dare respiro ai neuroni e migliorare la qualità del pensiero.” ha chiosato sempre Michele Serra.

Dal mondo del biliardo, ci ha ricordato il giornalista de La Repubblica, viene il detto “calma e gesso“: prima di tirare, studia bene la situazione e nel frattempo ingessa la punta della tua stecca. È il modo di ragionare più disatteso della nostra epoca.

Il dilagare del Pensiero Breve è una iattura.

Piace, ci impone poca attenzione, è comprensibile per tutti. Ci fa capire con degli slogan scritti in modo semplice dei concetti complicati. Insomma ci aiuta a leggere meglio la realtà rispetto a quei paludati, complessi e articolati pensieri lunghi, scritti da una élite che, non volendo mollare il potere acquisito, ci ha sempre socializzato pillole di presunto sapere con un linguaggio arcaico, noioso e, spesso, incomprensibile.

Questo, in una sintesi provocatoria, un ragionamento che Pickett sente spesso fare in giro, soprattutto tra i giovani. Ma non solo.

Oggi vince, piace, ottiene il consenso chi semplifica con il rischio, doloso o colposo a seconda dei casi, di banalizzare, o peggio, distorcere problematiche complesse.

Sul tema si sofferma anche l’amico Pietro Paganini, sul suo blog “Paganini non ripete” (PNF).

Twitter (soprattutto in Italia) ha ormai sostituito lo spazio del confronto politico sterilizzando il dibattito e riducendolo ad affermazioni binarie (pro o contro) e polarizzando gli utenti in comunità (e cioè clan) i cui adepti si celebrano e promuovono rafforzando i propri pregiudizi, il modo di interpretare il mondo. È un problema perché così facendo si sviluppa poca conoscenza e si avanza unicamente per rivoluzioni che con lo strumento dei social media sono di natura unicamente emotiva.

Domanda: a che cosa portano tutti questi tweet se non ad un rafforzamento dei clan di appartenenza?

Pickett condivide le preoccupazioni di Paganini.

La forza-bellezza del confronto tra esseri umani passa attraverso l’esposizione delle proprie idee e, poi, a modifiche, evoluzioni, implementazioni del proprio sapere proprio in virtù della capacità di ascolto, della voglia di completare la propria conoscenza, la propria disponibilità a modificare le proprie opinioni alla luce di informazioni nuove e convincenti. Il Pensiero Breve è la negazione di tutto ciò.

Ci sclerotizza sulle nostre idee, perlopiù manichee, chiudendoci la mente invece di aprirla.

Diventa il nemico della curiosità virtuosa.

Quella curiosità-interesse verso il mondo che costituisce, a nostro avviso, il parametro vero della famosa e complicata parola che si scrive INTELLIGENZA.

Comments (1)
  1. elena canalis (reply)

    7 Gennaio 2019 at 13:53

    Condividendo il contenuto di questo articolo, mi piacerebbe esplorare insieme come fare a ritrovare come società la voglia dell’approfondimento. Come riscoprire il bello dell’approfondire, dello scoprire le diverse sfaccettature della stessa situazione?
    Viviamo in un tempo in cui taluni confutano i risultati della ricerca scientifica o delle principali scoperte dell’umanità, andando dietro a veloci pensieri simil slogan che banalizzano invece che semplificare, ma evidentemente convincono chi è alla disperata ricerca di soluzioni “veloci” per le proprie situazioni. E allora, come far tornare il gusto dell’approfondimento e della ricerca?
    Mi piacerebbe si trovassero esempi e dati su come muoversi in questa direzione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.