Una delle “suggestive“ proposte che nascono dal mondo penta stellato, riguarda la progressiva eliminazione del Parlamento, almeno nella sua attuale conformazione.

La democrazia diretta disintermedia e non ha bisogno di organi di rappresentanza della volontà dei cittadini: questo è l’assunto di alcuni pensatori del mondo grillino.

Nonostante la recente definizione della Corte Costituzionale che ha rappresentato il Parlamento come il “Luogo di confronto e di discussione tra le diverse forze politiche con procedure poste a garanzia dell’ordinamento nel suo insieme”, apparentemente sembrerebbe che la sua funzione sia obsoleta, ingombrante per la “vera” manifestazione diretta della volontà del Popolo.

Slogan a parte (Pickett evita appositamente, almeno per ora, ogni commento in merito a tale posizione filosofica) quello che preoccupa sono alcuni segnali di una cultura emergente mirata a picconare il nostro baluardo della democrazia, quel “luogo del confronto” evocato dai nostri giudici costituzionali.

Sono tre gli esempi che la nostra concitata attualità ci mette sul tavolo.

Innanzitutto il progetto di “referendum propositivo” che è imperniato su un forte punto di criticità anti-parlamentare, come ha commentato di recente Andrea Manzella. Innescato dall’iniziativa popolare, il Parlamento deve discutere questo progetto di riforma e valutarla secondo i propri regolamenti. Il Ministro Fraccaro ha sottolineato come il lavoro parlamentare debba comunque  “trovare l’apprezzamento dei promotori” per evitare che “l’appello al popolo” non sia rispettato. Una posizione che manifestatamente appoggia una riforma che necessita invece di un’attenta riflessione per non scardinare un equilibrio costituzionale che attualmente esiste, può essere legittimamente riformato, ma non deve alterare i principi di equilibrio tra i diritti dei cittadini e i poteri del Parlamento.

Secondo Manzella concentrandosi sulla proposta di riforma della democrazia referendaria, ci si continua a dimenticare di una semplice ma forse ormai necessaria riforma costituzionale che riguarda il diritto dei giovani dai 18 ai 25 anni di poter votare anche per il Senato. Ormai sembra anacronistica la limitazione elettorale nata su presupposti ormai superati dal ruolo e dall’importanza delle giovani generazioni nella formazione dei due rami del Parlamento. Perché limitare il diritto di intervenire nei meccanismi fondamentali della democrazia proprio quella fascia di età che avrebbe più bisogno di partecipare attivamente alla costruzione del futuro del paese ma anche del suo futuro personale?

La Corte Costituzionale ha recentemente negato all’attuale opposizione parlamentare la legittimazione a difendere il proprio spazio vitale di discussione nell’ambito della votazione sulla legge finanziaria. Questo “disarmo” è avvenuto proprio in riferimento alla recentissima votazione sulla legge di bilancio durante la quale, a causa dell’utilizzo del voto di fiducia da parte del Governo, non si è potuto verificare quel confronto parlamentare essenziale e necessario per discutere in aula il più importante strumento normativo di economia previsto dalla nostra legislazione. Proprio quello che la Corte Costituzionale ha definito come il “nucleo storico delle funzioni affidate alla rappresentanza politica”.

La democrazia diretta; la piena rappresentatività di tutti gli elettori maggiorenni; i diritti delle opposizioni sono dunque i tre elementi che citavamo all’inizio di questo post che evidenziano come l’attuale maggioranza miri ad una lenta ma progressiva modifica delle dinamiche parlamentari e dei rapporti tra i cittadini e il Parlamento.

Manzella ci ricorda che “al di là delle tradizionali funzioni istituzionali, il Parlamento, con le sue procedure, deve infatti far fronte oggi a nuovi compiti. Innanzitutto, dovrebbe svolgere con i suoi strumenti conoscitivi una “funzione di verità” cioè di contro-informazione rispetto alle falsità circolanti nel web, spesso propagate e “indirizzate” da pubblici poteri”.

Il Parlamento dovrebbe garantire poi, con le sue regole di equilibrio nel contraddittorio, una funzione di argine rispetto al dibattito contaminato che normalmente domina i cosiddetti social network, la zona fuorilegge degli elettori solitari di massa.

Proprio la rivoluzione digitale ci dovrebbe far riflettere sull’importanza di avere un organo costituzionale che tuteli le opinioni di tutti attraverso un confronto anche serrato, ma libero, indipendente e basato sul rispetto reciproco anche di pensieri opposti.

Proprio questa riflessione, se condivisa, dovrebbe rappresentare “una buona ragione per non indebolirlo” come ha chiosato proprio Andrea Manzella, autorevole costituzionalista, presidente del Centro Studi sul Parlamento dell’Università Luiss di Roma.

 

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