E allora ci siamo. Ultime ore di pensieri, confronti, discussioni, incertezze, desideri, e magari anche di un bel ” Vaffa”, poi eserciteremo il nostro diritto sovrano: quello di votare. Quello di esprimere la nostra preferenza, il nostro auspicio, le nostre speranze. Anche quello però di non andare al seggio, come volontà di segnalare un malessere, una lontananza. E, forse, peggio, una non credibilità nel sistema.

Oppure quello di andare al seggio infilare nell’urna una scheda bianca o una scheda nulla, volendo avvisare tutti di un disagio, di una non rappresentanza, di un conflitto con il sistema dei partiti attuali, con le leadership che si candidano a governare il paese per i prossimi cinque anni. Un tempo enorme nel mondo che ormai vive alla velocità di Internet!

Pickett lo scrisse e lo confermò in più occasioni: in questo blog non si fa politica partitica. Ci si occupa di attualità, di problemi della nostra comunità, dei rischi e delle opportunità della rivoluzione tecnologica che ci sovrastano; di storia e di storie private e pubbliche e di molto altro.

Neanche oggi, nel giorno di un voto importante derogheremo a questo principio. Però… Però non possiamo sottrarci da una serie di riflessioni: sulla gioia di andare a votare, ad esempio. L’emozione alla vigilia, durante e dopo nell’attesa dei risultati, di gustarci, ora per ora, l’unico momento, ogni cinque anni, in cui il popolo esprime la sua volontà. Un momento in cui ciascuno di noi sceglie di “gridare”, seppur nel segreto silenzioso del seggio, la propria manifestazione politica. La propria appartenenza. La propria speranza per il futuro personale e dei suoi familiari.

Certo, a nostro avviso, ci hanno tolto molto del nostro diritto. No alle preferenze, no al voto disgiunto, no alla conoscenza del vincitore la sera stessa delle elezioni. Ma ciò non toglie che, inutile vergognarsene, la felicità di poter partecipare alla costruzione del consenso politico è un momento indimenticabile delle nostre vite. La partitocrazia ha indubbiamente svuotato di molti miti alti la “bella politica” per chiamarla alla Walter Veltroni maniera, ma non è riuscita a toglierci la gioia della partecipazione attiva e diretta alla realizzazione della democrazia: al votare. Al potere esprimere, senza censure, condizionamenti, minacce il nostro pensiero, la nostra opinione su chi crediamo possa prendere in mano il timone e condurre il nostro bizzarro paese nei prossimi cinque anni.

Probabilmente state pensando che stiamo esagerando, gonfiando di significato un momento rituale e non così importante della nostra vita. Pickett pensa di no: pensa che, nel tempo, nei vizi consolidati delle democrazie, i cittadini rischino di perdere di vista l’importanza decisiva del loro ruolo e dello strumento che hanno a disposizione per incidere sulle classi dirigenti del paese: il voto e l’andare a votare.

Il giorno delle elezioni è sempre un giorno particolare: diventiamo davvero tutti uguali, come ha scritto Michele Serra sulle colonne della Repubblica. È un giorno quasi fiabesco in cui vengono annullati i privilegi, le raccomandazioni, le corsie preferenziali. Tutti usciamo di casa e ci incamminiamo verso il seggio che ci è stato assegnato. Ci mettiamo in coda e aspettiamo il nostro turno con pazienza e senza agitarci. Poi in cambio del documento d’identità riceviamo una matita, si proprio una matita, chiamata anche lapis (sembra di vivere nella preistoria!) e allora, sulle schede che ci vengono consegnate, nel segreto del seggio, quando dopo i rumori della campagna elettorale non ci rimane che il silenzio che contorna noi stessi nel quadrato della “gabina” alla Bossi maniera, decidiamo su quale simbolo apporre la nostra scelta. Abbiamo una chances sola, non dobbiamo sprecarla né sbagliare per tentennamenti o distrazione. E allora la mano, con più o meno determinazione, si muove con il lapis tra le dita e va verso il simbolo prescelto. Quello che rappresenta la nostra scelta ovvero, in molti casi, quello che rappresenta il “meno peggio” delle nostre aspettative. Poi, scaricata la tensione, ripieghiamo la scheda e facciamo il tragitto al contrario, imbucando la “testimonianza” scritta della nostra decisione politica in un box di cartone insieme a quella degli altri. Un momento fantastico, in cui vivi in diretta, apprezzi e quasi tocchi fisicamente cosa voglia dire vivere in democrazia. Certo con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Ma sicuramente con la straordinaria possibilità di avere, almeno una volta ogni “n” anni, la possibilità di manifestare il nostro pensiero senza vincoli, manipolazioni o ricatti.

Pickett ci teneva a socializzarvi questo suo sentimento: questa sua percezione-emozione che lo prende ogni volta che viene chiamato ad esprimere con responsabilità e indipendenza il suo diritto di elettore.

Poi da lunedì l’augurio e che ci si rioccupi dei problemi veri del paese e a questo proposito ci permettiamo di indicarne due, prioritari e fondamentali per cercare di costruire un futuro su basi complicate e difficili ma almeno solide.

Il nostro amico Andrea, un uomo cresciuto nei centri studi e quindi un uomo che maneggia quotidianamente analisi, scenari, diagrammi nazionali e internazionali su temi relativi al dove stiamo andando e in quali contesti verremo a trovarci tra una decina di anni se non interverremo con decisione e lungimiranza su alcuni fattori decisivi della nostra comunità e della nostra economia, Andrea, dicevamo, ci evidenzia e avverte che il calo demografico da una parte e il deficit di produttività del nostro sistema industriale, preso nella sua globalità, dall’altra, sono due criticità che potrebbero travolgere il futuro del nostro paese se non adeguatamente analizzate e risolte. Nel 2030, le statistiche ci confermano che con gli attuali trend di natalità saremo un paese di vecchi senza un futuro e con il modello economico di sostentamento fallito (pensioni etc.): ci confermano anche che il nostro sistema industriale, senza i necessari accorgimenti, non potrà più competere a livello mondiale salvo pochissime eccezioni.

Che fare dunque? Probabilmente concentrarci fin da subito su queste due tematiche che hanno , purtroppo, soltanto sfiorato i dibattiti e le promesse della appena conclusa campagna elettorale.

Immaginare e realizzare degli incentivi, mirati soprattutto alle donne italiane, che permettano ai giovani di ridurre il loro tasso di tensione relativo al lavoro, all’occupazione, ai redditi da conseguire. Degli incentivi che sulla falsariga del cosiddetto “quoziente familiare” diano una mano alle nostre nuove generazioni per concentrarsi anche nella “costruzione” di famiglie, con tanti figli e quindi con tanti piccoli italiani di domani.

Il secondo immediato intervento dovrebbe riguardare incentivi per le imprese mirati a migliorare la loro produttività. Sicuramente il cuneo fiscale costituisce un esempio sul “dove” lasciare subito il segno di un cambiamento riducendo quello che rappresenta un insopportabile differenziale tra il netto percepito dal dipendente del nostro sistema industriale e il lordo pagato dal suo datore di lavoro.

Speriamo dunque che, chiunque vinca le elezioni, si dedichi fin da subito a questi due grandi temi che non possono essere né rinviati né tantomeno dimenticati. Non è un problema di risorse. È soltanto un problema di volontà politica.

Buon voto a tutti.

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