Registro, da un po’ di tempo, una situazione contraddittoria e preoccupante. Ciascuno di noi, a parole, esprime il suo malessere per lo stato di schiavitù permanente che anima le nostre giornate. Una forma di schiavismo tecnologico che ormai ci fa considerare smartphone o device similari come vere e proprie protesi schizzofreniche del nostro corpo. Non possiamo più farne a meno e le usiamo in modo compulsivo, con atroci scene di nervosismo se, per caso, le dimentichiamo in qualche posto, privandocene quindi per qualche ora. Nei comportamenti, infatti, con un atteggiamento bivalente da neo “giano-bifronte” siamo sempre più incollati con occhi ed orecchie a schermi o auricolari che ci danno quasi con i loro cinguettii la sensazione che viviamo: qualcuno ci cerca, non siamo soli, siamo connessi. Meglio dire drogati da una “sostanza” non meglio identificata che si chiama assuefazione da innovazione.

In astratto ci lamentiamo, con saggezza e lungimiranza. In concreto sprofondiamo sempre di più nell’assuefazione irreversibile.

Ogni tanto ci spaventiamo leggendo i risultati di ricerche mediche o di psichiatria che iniziano ad evidenziare, con casistica rilevante scientificamente, i danni causati da tali comportamenti tech-dipendenti. Ma poi, “domani è un altro giorno”, e il bisogno frenetico dell’esserci, di essere sempre e comunque connessi, prevale e ci fa tornare bovinamente ai nostri amati e inseparabili device.

Anche l’ultima oasi di pace, il volo aereo, soprattutto se di lungo raggio, sta per abdicare.

Si può già infatti e si potrà sempre di più, usare i device a bordo degli aerei, telefonando e mandando messaggi, mail, ecc. Insomma il progresso avanza e noi peggioriamo la qualità delle nostre vite, forse anche dal punto di vista medico, eppure … . Eppure non cambiamo di una virgola le nostre abitudini… anzi!

In questo quadro inquietante, la notizia che ad Orvieto, nel centro della penisola, ci sia un’azienda, la Vetrya (un centinaio di addetti con un’età media di 32 anni e un tasso di laureati del 90%) che ha approntato una stanza, riservata ai propri dipendenti e approntata per il “digital detox” non può che riempirci di felicità e di stimoli e pensieri.

La Vetrya sviluppa servizi per le reti TLC, piattaforme per la distribuzione di contenuti multimediali, internet degli oggetti e servizi similari. Insomma, Vetrya è un’azienda che opera proprio nell’avanguardia tecnologica ed è per questo che suscita maggior sorpresa la scelta del management di avere cura della salute dei propri dipendenti offrendogli l’opportunità di un “pensatoio” disconnesso: “Abbiamo bisogno di cervelli che producano piattaforme digitali  – ha spiegato Luca Tomassini, presidente e amministratore delegato di Vetrya, a Marco Patucchi di Repubblica – quindi vogliamo creare l’ecosistema ideale. Serve che la mente dei nostri ragazzi sia libera”.  Tomassini proprio perché è un grande conoscitore e frequentatore della Rete, è fortemente critico sulla deriva che il mondo degli internauti sta prendendo: “La rivoluzione digitale è inarrestabile e sta cambiando modelli di vita lavorativi e industriali. Porta vantaggi evidenti ma non credo che salverà il mondo. Anzi, devo dire, che i due miliardi di utenti Facebook cominciano un po’ a spaventare”.

La stanza per la “disintossicazione” dai device, è molto semplice, piena di luce e di colori. Si affaccia su un cortile caratterizzato dall’esposizione di numerose opere d’arte che riempiono di bellezza estetica l’occhio delle persone. L’arredamento è molto sobrio: poltrone, divani e cuscini, con le pareti completamente bianche, stimolano al riposo, al pensiero, al relax. Per accedervi bisogna abbandonare il proprio telefonino, il proprio computer, ogni tipo di device idoneo alla connessione. Nella stanza regna solo il silenzio e coloro che scelgono di passarci del tempo devono dedicarsi al pensiero, al ragionamento, alle riflessioni su questioni private o aziendali.

Molte aziende si stanno rendendo conto che la disconnessione aiuta a produrre  meglio e anche questo deve fare riflettere – ha dichiarato Massimo Bonini segretario della CGL di Milano – noi come sindacato ci stiamo attrezzando soprattutto nel terziario avanzato dove le alte professionalità rendono più complicato il nostro ruolo di rappresentanza. In Francia il diritto alla disconnessione è stato addirittura oggetto di una specifica disciplina legislativa. Noi stiamo studiando una soluzione normativa anche per il nostro paese”.

Effettivamente al di là dei cugini francesi, tutti gli altri paesi dell’Unione Europea hanno preferito, per ora, non legiferare in materia ma rinviare alla contrattazione aziendale l’eventuale disciplina della “digital detox”.

D’altronde anche uno dei grandi protagonisti dell’innovazione digitale, Justin Rosen Stein, l’inventore del tasto Like di Facebook, ha recentemente confessato: “La crescente distrazione tecnologica è un baco della nostra programmazione collettiva che dobbiamo immediatamente correggere liberandoci da questo infinito loop di dopamina”.

Chissà che nella concitazione generale degli entusiasmi sull’innovazione della Rete non stia prendendo forma davvero un filone di pensiero più consapevole dei rischi di una droga tecnologica dagli effetti ancora imprevedibili sulle nostre vite.

 

Comments (1)
  1. Alberto Contri (reply)

    3 Marzo 2018 at 12:32

    Concordo pienamente. Proprio questa settimana ho incontrato e apprezzato Alessio Carciofi, pioniere italiano del Digital Detox, che lavora con Vetrya. Già Richard Branson, CEO della Virgin, ha introdotto nelle sue aziende un giorno di disintossicazione digitale. Significa che i più avveduti si stanno accorgendo che insieme a tanti pregi, la rivoluzione digitale comporta effetti collaterali molto pericolosi, soprattutto per i più giovani. Eppure ci sono troppi entusiasti delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo tecnologico a oltranza che ti danno del vecchio conservatore e del laudator temporis acti se proponi un uso delle tecnologie digitali che non distrugga il patrimonio analogico della nostra mente. Sono particolarmente contento che in un luogo di riflessione come Pickett si cominci a dare importanza a questi temi.

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