Vi ricordate “le tre sfide dietro l’angolo”? Uno dei primi contributi al dibattito lanciato da Pickett su questo blog. Si sollevava, tra l’altro, il drammatico e irrisolto tema della sempre maggiore robotizzazione del nostro modello industriale con la conseguente esplosione del numero dei disoccupati.

L’industria 4.0 migliora la produttività ma “uccide” l’occupazione. Pickett si poneva il tema di come bilanciare due elementi che da un lato migliorano i profitti di pochi e dall’altro aumentano il numero dei non occupati da sussidiare…..”gli altri”, i tanti! Ma sussidiare come? Da parte di chi? Da parte dello Stato? Probabilmente sì, ma con quali risorse economiche e provenienti da dove? Un reddito di cittadinanza generalizzato e finanziato con una fiscalità progressiva mirata a redistribuire i profitti di “alcuni” nella generale comunità dei “molti”? Insomma una grande e complicata sfida che impatterà  sul nostro vivere insieme pacificamente nei prossimi anni.

Pickett è reduce dalla lettura di un libro che si occupa proprio di questa tematica lasciando il lettore, almeno questa è stata la nostra impressione, da un lato affascinato e dall’altro disperato. Ne emerge un quadro allucinante. Stiamo procedendo a 120 km all’ora contro un muro. Viviamo con una disperante leggerezza e una irresponsabile follia un momento storico che ci potrebbe irreversibilmente cambiare il modello di vita e non ci poniamo dei quesiti, non apriamo un dibattito, non cerchiamo antidoti o soluzioni. Ci nascondiamo dietro slogan irritanti del tipo “il prezzo del progresso!” oppure “non abbiamo scelta, il progresso non si arresta!” Pur lontanissimo da ogni suggestione della filosofia sulla “decrescita felice”, Pickett auspicherebbe, da parte della leadership politica e imprenditoriale, una presa di coscienza di questo trend e una meditazione generale sul come gestirla. Banalmente per evitare guai più seri quando la robotizzazione diventerà generalizzata ed esploderanno inevitabilmente le tensioni sociali.

Ma veniamo al contenuto del libro “Homo Deus: a brief history of Tomorrow” scritto dallo storico israeliano Yuval Harari, professore all’Università ebraica di Gerusalemme. Il volume sarà edito da Bompiani e uscirà nella traduzione italiana nei primi mesi del 2017. Harari si è già conquistato, in tutto il mondo, l’interesse e la simpatia dei curiosi sul nostro futuro più prossimo, con il libro “Sapiens: da animali a dei, breve storia dell’umanità”, un best seller tradotto in oltre 30 paesi e firmato in Italia sempre dalla casa editrice Bompiani. Pur partendo da una serie di considerazioni positive sull’evoluzione della razza umana, il giovane professore sviluppa poi ragionamenti inquietanti sugli scenari che ci aspettano, soprattutto nel campo del lavoro, della convivenza civile, dei rischi per la democrazia.

Pickett ha provato a metterli in fila rispettando l’articolazione del pensiero dell’autore e riservandosi soltanto alcune considerazioni finali connesse con il grido di allarme già lanciato su questo blog con l’articolo precedente.

Ecco dunque l’Harari pensiero sintetizzato per punti.

  • L’umanità non ha mai avuto un potere come oggi. Si muore di più per obesità che non per denutrizione. Più di vecchiaia che di malattia. I progressi della medicina sono stati incredibili.
  • Le prossime conquiste della scienza medica porteranno ad allungare di più la durata della vita. Si parla già di “risolvere la morte!”. Quasi fosse un problema banale da affrontare e risolvere.
  • Se tale presunto progresso scientifico passerà, come sembra, attraverso interventi genetici, allora torneremo a doverci occupare di temi collegati alla razza: da una parte i privilegiati, con le risorse economiche a disposizione, pronti ad usufruire di tali soluzioni genetiche; dall’altra….gli “altri”!
  • Dall’uguaglianza di essere tutti sani – lo scenario attuale – alla disuguaglianza di chi sarà più forte, ricco, potente ed esperto rispetto agli altri. L’élite avrà più potere, più intelligenza, più forza. Il rischio di fagocitare la democrazia sarà quindi più alto.
  • Il dramma di questa situazione è che nessuno oserà mai opporsi al progresso della scienza medica. Big data, intelligenza artificiale, sono già strumenti e soluzioni che migliorano la nostra vita. Chi potrebbe opporsi a nuovi studi, ricerche, investimenti in questo campo? Nessuno, possiamo esserne certi.
  • Un ostacolo potrebbe essere la violazione della nostra privacy. Ma chi tra la salute e la privacy privilegerebbe la seconda?
  • Il rischio di un passaggio di potere dagli umani alle macchine, ai robot, diventerà una certezza. Facebook, già oggi, ci conosce meglio dei nostri amici più cari. Ha registrato i nostri profili, le nostre passioni, anche quelle non confessate, e le nostre abitudini. Ci conosce meglio di noi stessi!
  • Esisterà soltanto una ristretta cerchia di umani, gli “eletti”, capaci di controllare le macchine intelligenti, concentrando nelle loro mani un potere inimmaginabile. Determinante anche per i nostri destini, quelli …….”degli altri”.
  • L’uomo si è sempre distinto dalla macchina per la consapevolezza. Oggi abbiamo avviato un percorso in cui l’intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza. Esistono software con algoritmi che guidano auto, fanno diagnosi medicali, giocano a scacchi meglio degli umani. In queste attività la consapevolezza è quasi un optional, forse addirittura un ostacolo. La macchina in certe attività in cui basta riconoscere degli schemi, dei protocolli definiti, è più brava ed efficace di noi.
  • In questo scenario, una parte dell’umanità potrebbe diventare marginale, inutile. Questa rivoluzione potrebbe dunque creare una nuova classe sociale: i superflui, i disoccupati o i mai occupati. Dalle classi lavoratrici di massa, dagli eserciti composti da milioni di soldati, passeremo ad un mondo in cui piccole élite di esperti, “gli eletti” (ma non in senso democratico!), saranno in grado di governare a distanza robot, droni, software con algoritmi sempre più sofisticati. Intuibile diventa il rischio, quasi certezza, della tenuta del nostro sistema democratico almeno sulla base di come lo stiamo vivendo oggi.
  • Sorge, di conseguenza, una drammatica domanda: se gli umani non serviranno più come masse utili al progresso, perché investire ancora sulla loro salute, istruzione, benessere? Le “élite”, si occuperanno di altro, investiranno altrove.
  • Quando anche queste “èlite “dovessero poi diventare preda, anche loro, delle intelligenze artificiali, allora… anche Harari non se la sente di andare oltre su questo punto. Non disegna la nuova Apocalisse fantascientifica. Si limita a scrivere: “Non sarà un’Apocalisse ma l’apertura di un capitolo completamente nuovo negli annali della vita. Che non riusciremmo ad immaginare nemmeno nei sogni più strani visto che anche i sogni sono prodotti di chimica organica mentre la nuova vita sarà guidata da menti inorganiche”.
  • Gli umani, conclude l’autore, da animisti, amanti della natura in tutte le sue declinazioni, sono diventati umanisti. Si sono inventati un Dio a loro somiglianza, sottoponendo il mondo animale al loro controllo. Nel nostro prossimo futuro ci scontreremo contro la nostra marginalità, quasi irrilevanza. “Le macchine ci renderanno immortali ma anche, nello stesso tempo, inutili e obsoleti”.

*** *** ***

Come anticipatovi all’inizio, cari amici, l’Homo Deus apre voragini di preoccupazioni. Non tanto per noi stessi quanto per le generazioni prossime a venire. Si potrebbe archiviare il tutto con facilità (e Pickett teme molto questa pigra rimozione!) sostenendo che si tratta di fantascienza. Stimolante, anche suggestiva, ma semplice fantascienza. Come è sempre accaduto, l’uomo terrà tra le sue mani forti e sapienti il progresso, le trasformazioni, il futuro. Pickett nutre invece dei dubbi su questa conclusione, sicuramente rassicurante ma anche troppo superficiale e autoassolutoria. Non varrebbe la pena invece ragionare e studiare rimedi contro queste ipotesi sventurate? Magari rafforzando i sistemi di controllo etici e scientifici su possibili derive e accelerazioni dello sviluppo, delle ricerche e delle tecnologie, sempre contrabbandato con l’alibi dell’ineluttabile e virtuoso progresso della scienza? Soprattutto nel campo della genetica e della sua possibile manipolazione, non rinviamo la discussione su questi temi. Apriamo un dibattito serio, costruttivo e senza approcci manichei. La storia qualcosa ci deve insegnare: il mito del superuomo, la razza eletta, le oligarchie autoreferenziali sono fenomeni cogniti. Già visti, subiti ma poi combattuti e vinti proprio per la consapevolezza della loro tragicità. Non sottovalutiamoli. È insito nella natura umana essere affascinati da queste icone. Il finale però lo conosciamo avendo già pagato prezzi  enormi per una iniziale pigrizia a considerarli nella loro devastante pericolosità. Il film Sully di Clint Eastwood, nelle sale in questi giorni, ci lascia un messaggio di speranza: l’uomo, con le sue virtù e i suoi difetti, sarà sempre “meglio” delle macchine. La sua esperienza, saggezza, sensibilità avrà sempre un pizzico di valore aggiunto superiore. Basta non appiattirsi su questa visione e costruirci sopra con pazienza degli strumenti di controllo sulle deviazioni possibili.

Il volume di Harari lancia un sasso importante nello stagno dei nostri pensieri. Non lasciamolo cadere invano per pigrizia, egoismo, distrazione.

Buon 2017.

Comments (1)
  1. eraldo mussa (reply)

    5 Gennaio 2017 at 9:46

    grazie pickett, e buon 2017 !

    interessante, vero, lucido, un bel contributo per iniziare l’anno e guardare alle cose con occhio diverso .

    ho visto il film , ho gioito anche io alla vittoria del comandante al tribunale dell’inquisizione cui era sottoposto.

    viva l’ uomo, abbasso l’uso sconsiderato, inconsapevole e strumentalizzato delle macchine !

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