Il Caffè di Massimo Gramellini di una di queste mattine afose (per noi torinesi sarà sempre il Buongiorno di Gramellini, compagno insostituibile del nostro primo caffè appena svegli) sul Corriere della Sera ha riaperto una ferita già denunciata da Pickett alcuni mesi or sono. Il tema della povertà reale e della povertà percepita: il curioso, paradossale, incomprensibile tema della esistenza di opportunità di lavoro scartate però dai disoccupati o mai occupati in quanto scomoda, non dignitosa, troppo faticosa, non rispettosa delle esigenze quotidiane di tempo libero, riposo e altre amenità.
Gramellini scrive: “il signor Claudio Ortichi, Albergatore di Castel San Pietro in provincia di Bologna, si era messo in testa di assumere una cameriera italiana. L’unico requisito era che sapesse parlicchiare un po’ di inglese. Suggestionato dalle statistiche sulla disoccupazione giovanile, si preparava a fronteggiare frotte di aspiranti, come nei concorsi per uno strapuntino da infermiera. Invece ha rimediato deserti sconfinati di silenzio, interrotti da qualche timidissima avances. Una ragazza gli ha detto che sarebbe stata libera soltanto ad agosto, perché prima in vacanza voleva andarci lei. Un’altra si è dichiarata disponibile da subito, a patto che non le si chiedesse di lavorare durante i fine settimana, quando evidentemente immagina che negli alberghi si instauri un regime autarchico imperniato sul self service. L’albergatore le ho provate tutte, persino a buttarla sul ridere, assicurando in un altro annuncio che lo stipendio sarebbe stato pagato in euro e non in sesterzi o ghinee. Ma alla fine della risata, si è immalinconito pure lui. Può darsi che, a dispetto delle statistiche, la situazione non sia ancora così disperata da rendere appetibile i lavori stagionali. Resta il fatto che l’entrata dell’hotel fronteggia quella di un istituto alberghiero a cui risultano iscritti novecento studenti. Bisognosi, si presume, di esperienze pratiche. E soltanto un paese squinternato come il nostro poteva allestire un sistema scolastico che non riesce a fare attraversare la strada neanche a uno di loro.”
Pickett non può che malinconicamente sotto scrivere parola per parola l’esempio citato da Gramellini. Nell’esperimento di agricoltura sociale in corso di realizzazione alla cascina Massetta a Santena, a pochi chilometri dal centro di Torino, grazie all’entusiasmo, passione e professionalità di Paolo Guerci e del suo team di volontari, l’esperienza tristemente maturata e’ esattamente quella dell’albergatore bolognese: a fronte della disponibilità di offrire un alloggio, un posto per dormire, un pranzo e una cena e la dignità di un posto di lavoro in campo agricolo con relativa “paghetta”, le risposte dei candidati, per la verità, neanche troppo numerosi, sono sempre la stesse: “il lavoro mi sembra molto faticoso; ma allora non posso essere libero nei weekend! Ma come faccio a continuare a vedere la mia ragazza se sono costretto a rimanere qui, in cascina, tutti i giorni per accudire le galline o comunque per svolgere la mia attività?”
Proprio in questi giorni sui giornali sono state pubblicate le statistiche che dimostrano quanto sia cambiata la nostra vita dal 2011 al 2017 e cioè negli ultimi cinque-sei anni. Più debiti, meno spese, soprattutto per gli Under 35 pochissime opportunità di lavoro vero, dignitoso e non precario. Ebbene in questo tragico scenario gli episodi di Castel San Pietro e di Santena dimostrano che, per ragioni varie e davvero difficili da comprendere, i posti di lavoro ci sarebbero ma vengono rifiutati, non considerati dignitosi o semplicemente troppo faticosi. C’è da chiedersi quindi che tipo di educazione abbiano ricevuto questi Under 35 che, di fronte a una opportunità reale di occupare finalmente le loro giornate scansite dall’incubo del non far nulla, rifiutano l’offerta e tornano ad ingrossare le liste o degli studenti fuori corso o dei disoccupati-mai occupati o dei precari del “dolce far niente che poi si vedrà…”
Qualche interrogativo allora, noi genitori, dovremmo porcelo: ma cosa gli abbiamo insegnato, come li abbiamo viziati, come li abbiamo preparati alla vita: volevamo i bamboccioni… eccoli! Con quale futuro davanti a loro? Disastroso culturalmente, socialmente ed economicamente.
Forse ripartendo di lì, da queste crude riflessioni, possiamo sperare di uscire da una matassa per certi versi apparentemente incomprensibile e quindi non mutabile. E invece, ci auguriamo, soltanto difficile da ammettere e relativamente facile da iniziare a modificare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.