“Vuoi diventare il più ricco del cimitero?” La domanda, scherzosa ma non troppo, me la rivolgeva spesso, con tono scanzonato il mio caro amico-cliente quando mi vedeva gestire con affanno fatica e stress un’agenda giornaliera ricca di impegni che si affastellavano senza soluzioni di continuità. Mi guardava e, sorridendo, mi ripeteva quella domanda quasi fosse un nuovo mantra coniato per sorprendermi, per farmi riflettere sulla qualità della mia vita lavorativa. Le mie reazioni, nel tempo, furono varie: dal sorridere a malincuore per la suggestione del concetto così brillantemente e cinicamente sintetizzato, al fastidio derivante dalla sua indubbia e oggettiva verità di fondo. Dal considerare quella domanda una battuta riuscita senza troppi SE e senza tanti complicati MA di natura psicologica, all’interpretarla invece come una domanda–riflessione veramente importante per la qualità della mia e della nostra vita.

Perché rovinarsi la salute riempendoci di impegni stressanti al di là di ogni senso di responsabilità o del dovere ma soltanto per la passione-ambizione di “fare di più”, sia in termini di progettualità nuove sia, conseguentemente, in termini di maggior accumulazione di denaro? Probabilmente per una forma di bulimia “figlia” di un frullato complesso e composto da ambizioni/senso del dovere/volontà di guadagnare più soldi/aspetti reputazionali/autoreferenzialità eccessiva. Tutto ciò per rendersi conto poi, spesso troppo tardi, che tutta questa ansiosa e nevrotica iperattività si sarebbe dovuta scontrare poi con i limiti della nostra “carrozzeria” fisica e psicologica, spesso inadeguata a sopportarne il peso e la fatica.

Pickett, avendovi socializzato questa sua parte di privato stimolata, nel tempo, dalla domanda provocatoria dell’amico-cliente, ritiene che la tematica non vada semplicemente baypassata, rimuovendola o, peggio, evitandola. Non ha la presunzione di aver risolto il problema, ma non ha nemmeno considerato quella riflessione una semplice e brillante battutaccia, ben riuscita, da parte di un altro essere umano più saggio e più capace di leggere i vizi e le “follie” altrui. Pickett si è aperto un file celebrale e ha provato, negli anni, a introdurre delle faticose modalità diverse nella scansione delle proprie giornate. Ha cercato anche di seguire un grande insegnamento ricevuto in famiglia: un insegnamento bello e alto da dichiarare, più difficile e faticoso da realizzare. “Il denaro – questo era il cuore dell’ammonimento – devi considerarlo sempre uno strumento, non un fine: un mezzo, certamente dovuto, ma non un obiettivo!”.

Le due cose, apparentemente lontane, in realtà toccano un argomento chiave delle nostre esistenze: la variabile denaro quanto incide sulla nostra felicità? Il denaro, di per sé non rende felici … ma aiuta! … dicono, con ironia neanche tanto nascosta, coloro che ne hanno meno o addirittura non ne hanno proprio. Il tema ha scatenato dibattiti e confronti a volte molto rudi nella storia dell’umanità senza mai arrivare a conclusioni condivise all’unanimità. La qual cosa non deve apparire troppo strana, partecipando a tale dibattito sia coloro che di soldi ne hanno tanti sia coloro che ne hanno molto meno, a prescindere dai meriti!

Questa lunga introduzione, di venatura personale ma ci si augura anche e soprattutto collettiva, era necessaria a Pickett per socializzare a tutti una piacevole sorpresa accaduta proprio nei giorni scorsi in occasione della pubblicazione dei risultati di una ricerca effettuata da un gruppo di economisti americani e canadesi della prestigiosa università di Harvard. I ricercatori hanno costituito un campione  di 8000 persone rappresentanti le popolazioni degli Stati Uniti, del Canada, della Danimarca e dell’Olanda, oltre ad un gruppo di 800 milionari olandesi. A tutti i partecipanti è stato fatto compilare un questionario dove si chiedeva di spiegare come spendessero in generale il proprio denaro e di valutare, nel contempo, il proprio tasso di soddisfazione della loro vita. Alla fine, leggendo in maniera statisticamente rilevante le risposte ottenute, è risultato chiaro ed evidente come chi spenda di più in “acquisto di tempo- servizi” sia più felice di chi invece spenda di più in “acquisto di oggetti”. Una delle forme dichiarate di maggior soddisfazione da parte dei target degli intervistati è stata proprio la diminuzione di stress derivante dall’aver più tempo a proprio disposizione per le proprie cose. L’infelicità di contro, è spesso legata alla mancanza di tempo quotidiano per dedicarsi alle attività che ci piacerebbero di più. Il capo del team della ricerca Ashley Whillams ha voluto fare una “prova del 9” del primo risultato ottenuto con le risposte al questionario: ha così suddiviso 60 volontari in due gruppi diversi, scelti a caso. Il primo gruppo doveva spendere 40 dollari durante il fine settimana esclusivamente nell’acquisto di oggetti; il secondo soltanto nell’acquisto di tempo, pagando cioè qualcuno perché svolgesse compiti quotidiani che non piacevano ai componenti del gruppo medesimo. Il week end successivo i due gruppi ricevevano altri 40 dollari da spendere nel modo opposto al primo.

I risultati della sperimentazione sono stati in linea con quelli del primo questionario. Dopo il week end dedicato all’acquisto di tempo le persone si sentivano, in media, più rilassate e soddisfatte di quando invece avevano speso il denaro assegnato per fare shopping. Il dato sorprendente che emerge da questa ricerca è che i volontari avrebbero voluto spendere, se liberi di decidere, soltanto il 2% del budget dei 40 dollari in acquisto di tempo e cioè di servizi finalizzati a far guadagnare del tempo a sé stessi rispetto a fare dello shopping!

Ma perché siamo fatti così? Perché la stragrande maggioranza di noi evita questa semplice strada per cercare di migliorare la propria soddisfazione e raggiungere la tanto agognata felicità? Gli esperti ci dicono che viviamo spesso sensi di colpa: che non ci piace ammettere che, per pigrizia o per lusso ingiustificato, facciamo fare ad altri le mansioni che non ci piacciono, quelle che non vorremmo mai svolgere. Questo particolare aspetto psicologico è così radicato nella natura umana che più della metà dei milionari olandesi partecipanti alla ricerca ha dichiarato di evitare di spendere denaro in questa maniera perché poco consono al senso del dovere e, udite, udite, pare che fosse proprio la metà infelice del target dei milionari olandesi partecipante alla ricerca!

Parrebbe dunque di capire dal report finale della suggestiva ricerca americana che la vera felicità si trova più facilmente nelle piccole cose che facciamo nel nostro tempo libero: leggere, giocare, fare dello sport, sentire della musica, scrivere un articolo o un libro, conversare con gli amici piuttosto che farsi coinvolgere in maniera ossessiva e bulimica dai ritmi forsennati di un lavoro tutto mirato a guadagnare più potere e soprattutto più denaro. Quello che ci dovrebbe dare maggior felicità diventa invece un incubo che spesso porta frustrazioni e non valorizzazione virtuosa del denaro accumulato nel tempo. Probabilmente oggi, nel contesto socio economico che stiamo vivendo, è più che mai difficile staccare dal lavoro: la tecnologia ci permette di essere sempre connessi e rimaniamo attaccati ai device quasi avessimo l’angosciata sensazione di essere dei privilegiati sempre a rischio di uscire dal circuito. Il dedicarci al nostro tempo privato diventa una subordinata e non una priorità.

Le conclusioni della ricerca americana ci porterebbero a dire che quei “poveri ricchi insoddisfatti” sarebbero molto più felici se usassero i loro soldi non per comprare altri oggetti più o meno superflui, ma per acquistare una risorsa più scarsa e meno rinnovabile di tutte: il proprio tempo.  Il miglior modo per investire i tanti o pochi soldi guadagnati e “comprarsi la felicità” è quello di “acquistare tempo” e cioè utilizzare il proprio denaro per pagare adeguatamente persone che svolgano al nostro posto dei servizi non particolarmente piacevoli o graditi. Si evita così di spendere  del tempo in esperienze spiacevoli, negative, frustranti utilizzando invece il tempo “acquistato” per fare qualcosa che ci piaccia veramente: che ci dia soddisfazione e felicità. Commentando gli esiti della ricerca, il capo team Ashley Whillams ha dichiarato: “Curiosamente, mentre è molto in voga l’idea di aumentare la soddisfazione esistenziale compiendo esperienze piacevoli come viaggi o feste, é molto meno popolare quella di spendere denaro per evitare esperienze spiacevoli”.

Come ha sottolineato Alex Saragosa in un suo recente commento ai lavori del gruppo di Whillams, “lo scopo del lavoro – aveva già detto nel secolo scorso Albert Einstein – è solo quello di guadagnare tempo libero”. Nulla di nuovo dunque, ma pochissima attenzione a questo tema fondamentale per farci vivere meglio.

A questo proposito Pickett è venuto in possesso di un video che rappresenta in maniera molto efficace i temi sollevati dalla ricerca degli economisti di Harvard: è una breve clip che Pickett vi suggerisce fortemente di vedere e di meditare. Potrebbe essere di grande aiuto a migliorare la qualità delle nostre vite e delle vite delle persone che condividono con noi il percorso.

 

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