Credetemi ha una forza esplosiva. Nasconde nella sua gestualità semplice e istintiva una enorme suggestione emotiva. Stiamo parlando della Carezza, volutamente con la C maiuscola. Pickett vi aveva avvisato durante la narrazione dell’incontro con Francesco: ci saremmo tornati sopra!

Perché concedere tanta importanza ad un gesto che, per la sua naturalezza, risale probabilmente alla preistoria degli umani? Un gesto dolce, inclusivo, di attenzione e affetto per l’altro. Certo, se accompagnata da un sorriso, da una espressione dolce di un viso, allora si tocca il “massimo”.

Il ricevente vive un momento magico di importanza, affetto, partecipazione, minor solitudine, speranza di superare il momento difficile.

Pickett in quel taxi, seduto di fianco a Francesco, ha provato una sensazione particolare. Rara. Peculiare per la non conoscenza del vicino, la drammaticità del momento passato, la voglia di far sentire Francesco meno solo. Farlo meditare sulla circostanza di essere un protagonista di una comunità che gli voleva bene, che lo coccolava, che non voleva che si abbandonasse alla tragedia del “farla finita”. Ebbene una carezza nata istintivamente guardandolo lì, rannicchiato sul sedile posteriore del taxi, con un viso però più disteso rispetto a pochi minuti prima, quando se ne stava sdraiato sull’ultimo gradino della scalinata che scende verso il Po, a fissare quel fiume, gonfio di acqua, che voleva far diventare il suo ultimo approdo. Ebbene, dicevamo, quella carezza scatenò la sua reazione: mi prese la mano rispondendo al mio affetto e la sua partecipazione fisica. Una unione di due mani che sigillavano un patto, un ringraziamento, un risorgere di una speranza dalle ceneri di una possibile tragedia.

Non ho molti ricordi personali di carezze ricevute: non perché avessi genitori o parenti anaffettivi, anzi! Ma la carezza non faceva parte del loro “armadietto degli attrezzi” per socializzare amore e partecipazione. L’ho scoperta o, meglio, riscoperta, recentemente quando una persona che mi vuole bene, vedendomi moscio e angosciato dai miei problemi, mi ha dato una carezza costringendomi ad una sana e virtuosa rivisitazione di quel semplice gesto materiale.

Non voglio con queste considerazioni dimenticarmi dell’importanza dei baci, degli abbracci, delle pacche sulle spalle degli altri: tutti gesti tipici che normalmente testimoniano amore e affetto. Voglio soltanto sottoporre alla vostra attenzione la riscoperta di un segno, la carezza appunto, che forse ci siamo persi per strada. È una sintesi bellissima di affetto, partecipazione, attenzione e inclusione. Tutti valori di cui abbiamo un gran bisogno. Quanta ragione, lungimiranza e visione aveva dunque avuto e dimostrato Papa Giovanni con il suo famoso e indimenticabile discorso “Questa sera quando sarete tornati a casa, date una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa”. Aveva voluto ricordare a tutti noi l’importanza di quel gesto semplice e naturale, da non lasciare mai “in soffitta”.

L’elogio della carezza insomma.

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