Il modello delle Democrazie Liberali zoppica. Annaspa di fronte alle rivoluzioni – tragedie del terzo millennio. La globalizzazione dei mercati, il tumultuoso fenomeno delle migrazioni di massa, l’insopportabile aumento della disuguaglianza tra ricchi e poveri, la rivoluzione tecnologica prima del Web e ora dell’Intelligenza Artificiale, stanno picconando le fondamenta delle vecchie democrazie liberali nate sulle ceneri dei totalitarismi del ‘900.

La lentezza e inefficienza dei sistemi parlamentari (oltre alla grave e apparentemente inarrestabile delegittimazione del sistema partitocratico e delle cosiddette élite: un fenomeno certamente nato anche da responsabilità precise delle classi politiche europee dell’ultimo trentennio) fa fatica a stare dietro ai bisogni che provengono dal marciapiede, non solo delle periferie, delle città europee.

La politica arranca, manca di visione, rischia di avvilupparsi nell’oggettiva e contraddittoria complessità di questo delicato momento storico europeo e mondiale.

Il rischio di derive dittatoriali è sotto i nostri occhi. In tutti i paesi dell’Unione europea, i partiti populisti e sovranisti guadagnano consensi ad ogni elezione ai danni di quelli tradizionali. La promessa di un cambiamento più o meno utopica e velleitaria, fa presa su una parte dell’elettorato stufa, rabbiosa e rancorosa verso leadership che l’hanno dimenticata, marginalizzata, quasi mettendola da parte. L’insicurezza fisica ed economica sta monopolizzando gli stomaci dei cittadini, fornendo potenzialità enormi di consenso per chi investe sulle paure della gente.

In questa scabrosa attualità, alcuni cercano di insinuarsi promettendo un cambiamento basato anche sullo slogan mai evidentemente arrugginito del Law and Order: un film già visto, pagato, erroneamente archiviato come non ripetibile. E invece siamo di nuovo qui, a temere l’innescarsi di processi, poi difficilmente recuperabili, di derive xenofobe, razziste, fondamentaliste, fasciste che, semplificando la complessità e puntando sul “presentismo”, offrono ricette suggestive per tornare a vivere felici, sereni e speranzosi nel futuro.

Definito il quadro e fotografato il rischio, Pickett prova a socializzarvi uno spunto di riflessione storico. Un richiamo ad un periodo della storia europea recente che compie, proprio in questi giorni di novembre, 100 anni: la nascita e l’autodistruzione della Repubblica di Weimar. Un laboratorio politico nato il 9 novembre 1918 sulle ceneri dell’impero tedesco di Guglielmo II e sulla tragica sconfitta nella Grande Guerra.

Weimar, nella memoria collettiva e nella storiografia mondiale non solo germanica, viene ricordata – come ha scritto di recente Gian Enrico Rusconi su La Stampa – come un’esperienza politica fallita: quella che aprì la strada, con le sue inefficienze, all’avvento del nazismo di Hitler.

La prima forma di repubblica tedesca viene definita come una democrazia “improvvisata” poi, fortunatamente dopo la parentesi hitleriana, sostituita da una democrazia “riuscita”, quella sorta nel secondo dopo guerra.

Eppure Weimar, con tutti i suoi difetti, soprattutto d’instabilità politica (decine di governi si succedettero in un decennio con cinque tornate elettorali tutte anticipate sulla scadenza naturale per impossibilità di trovare una maggioranza parlamentare che esprimesse un governo!) rappresentò il primo esempio di democrazia vera nella storia tedesca, con il popolo legittimato, attraverso lo strumento delle elezioni, ad indicare le sue preferenze politiche.

Eppure fu “improvvisata” e soltanto nel 1945 la Bundesrepublik affinò il modello costituzionale di Weimar che aveva aperto le porte al nazional-socialismo, costruendo così la democrazia “riuscita” attuale.

Come? Con alcune integrazioni e modifiche che vale la pena ricordare.

I costituenti tedeschi nel 1945-46 hanno voluto ridurre drasticamente le competenze del Presidente della Repubblica che a Weimar aveva, di fatto, portato ad un regime presidenziale diventato poi un regime totalitario; hanno introdotto l’innovativo strumento della “sfiducia costruttiva” per evitare proprio quei pericoli della ingovernabilità che avevano causato la crisi di Weimar; hanno imposto ai partiti la soglia di sbarramento del 5% per evitare la frammentazione partitica. Il nocciolo però, la novità vera era ancora un’altra: quella di individuare una sostanziale “polizza assicurativa” della Costituzione liberale tedesca.

Vi è, infatti, nella carta costituzionale tedesca l’enunciazione di una serie di diritti fondamentali inalienabili che garantiscono l’intangibilità stessa della sostanza democratica della Costituzione. Nessuna maggioranza parlamentare può modificare i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. A questo scopo è stato istituito un organismo di controllo della costituzionalità delle iniziative politiche partitiche: la Difesa della Costituzione (Verfassungsschutz).

Mentre a Weimar i nemici della Repubblica potevano godere della libertà democratica di … distruggerla, oggi questo è molto ma molto più difficile per non dire impossibile.

Gli Organi per la Difesa della Costituzione hanno iniziato da un po’ di tempo a muoversi per monitorare le condotte di alcuni gruppi e movimenti di estrema destra, compreso il partito dell’AfD, Alternative fur Deutschland, il partito populista tedesco che ha una rappresentanza in parlamento per ora pari al 12,6% e che, nei sondaggi, sta aumentando i suoi consensi nell’elettorato impaurito e malmostoso. Solo negli ultimi tre mesi il Ministero dell’Interno ha registrato la presenza di oltre 7000 militanti neo-nazisti considerati potenzialmente pericolosi e violenti durante manifestazioni organizzate dall’estrema destra nel paese. Più del doppio rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Le forze dell’ordine hanno anche registrato un’impennata dei reati commessi da naziskin, hooligans neo nazisti e appartenenti a milizie paramilitari ultranazionaliste (aumentati di circa il 30% rispetto al 2017) e degli episodi di antisemitismo (più 18%).

Linguaggio, programmi, connessioni con altri partiti europei di analogo DNA, aprono temi e scenari delicati per la democrazia con forti richiami ai “fantasmi di Weimar” evocati da Angela Merkel ad Helsinki nel recente congresso del Partito Popolare Europeo.

Pur avendo preso le distanze pubblicamente dal nazismo (“È stato una stronzata” ha detto letteralmente la leader del partito AfD, Alice Wieldel, confermando così, un esempio lampante, il rude lessico in voga in questi nuovi movimenti populisti europei) l’AfD richiama continuamente slogan e simboli di una cultura e di una propaganda già viste, lette e conosciute. Si denuncia, infatti, la “stampa bugiarda”; si grida in modo ossessivo e ripetitivo il rifiuto ad ogni forma di integrazione – accoglienza – inclusione dei migranti; si crea l’immagine dello straniero, del diverso per colore della pelle o per credenze religiose, come un criminale che mette a repentaglio non solo la sicurezza ma anche l’identità e la cultura del popolo tedesco.

Chi non condivide questo approccio diventa un nemico del popolo, da abbattere, non solo politicamente.

Noi siamo il popolo” è lo slogan che viene gettato in faccia con rabbia furiosa agli attuali governanti.

Noi rappresentiamo la volontà di chi vuole il cambiamento e non vuole più voi presenti nel Palazzo” .

Pickett ha introdotto un parallelismo storico tra l’esperienza di Weimar e quella che attualmente si vive a Berlino e nelle maggiori città tedesche. Tra la fragile prima repubblica degli anni ’20, involontaria “genitrice” del nazismo, e la forte e  “riuscita” democrazia dell’attuale repubblica tedesca governata da Angela Merkel con gli organismi costituzionali della Difesa della Costituzione in stato di permanente allerta.

Ma qualcuno, leggendo queste righe, ha probabilmente ed immediatamente associato tale contesto con quello che si sta vivendo in un altro paese membro dell’Unione Europea, un po’ più a sud della Germania. Ci riferiamo a quel paese definito da un famoso militare e politico austriaco prima dello scoppio del Risorgimento italiano, “un’entità geografica”!

Le analogie sono impressionanti e, purtroppo per noi, le difese formali della nostra Costituzione, meno forti di quella tedesca.

Dobbiamo prendere atto con preoccupazione che all’orizzonte si sta materializzando una nuova forma di governance in alcuni Paesi formalmente democratici. Una variante insidiosa denominata Democrazia Illiberale – sembra quasi un ossimoro ma non lo è – figlia di un sistema democratico in cui il popolo vota ed elegge le Camere ma, poi, ci pensa il governo, nominato direttamente dal popolo o indirettamente dal Parlamento, ad interpretare ed eseguire con efficienza il mandato. I laboratori in corso in Ungheria ed in Polonia di questo nuovo modello di democrazia dovrebbero insegnarci qualcosa.

Su questo tema ci ritorneremo, potete starne certi.

Ma questo è davvero il cuore del confronto fra due diverse visioni culturali e politiche del modello più idoneo per la nostra coesione sociale, auspicabilmente pacifica e condivisa.

Da una parte una Democrazia Liberale che modernizzi i suoi “attrezzi di lavoro” e si adegui alle necessità e alle velocità del nuovo mondo tecnologico che stiamo vivendo e dall’altra una Democrazia Illiberale che preveda nella forma i meccanismi di attribuzione al popolo delle volontà decisionali ma che poi concentri nel potere esecutivo un’ampia libertà di esercizio del mandato ricevuto.

Comments (1)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    16 Novembre 2018 at 12:38

    Pickett non può non sentire la puzza di fascismo che trasuda dal linguaggio e dai comportamenti di chi ci sta governando. “Noi siamo il popolo” sta alla reiterata, e falsa, affermazione di Salvini quando si accredita “60 milioni di italiani”! Ignorare leggi nazionali ed internazionali, fregarsene degli accordi europei sottoscritti ecc. ecc. non profuma di democrazia. Ho appena colto in tv un raffronto illuminante di Pomicino, che evidenzia una sostanziale ed emblematica differenza di pensiero: alla domanda giornalistica “che farebbe se governasse da solo” Salvini ha risposto: “potrei fare più cose”, mentre Andreotti (mai avuto simpatie per lui, anzi!): “farei molti più errori”! Chiudo con una domanda, che ambirebbe ad una risposta: ma a quale democrazia ci riferiamo, liberale o illiberale a discrezione (che pretendiamo di esportare imponendola ad altri Paesi), se nelle varie istituzioni internazionali si applica tuttora il diritto di veto?!

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