Si discute continuamente di “Reddito di Cittadinanza”: “Se”, “Come”, “Quando” introdurlo.

Si sfiora l’argomento perché molto più difficile circa l’adeguatezza degli ormai famosi “Centri per l’Impiego” (CpI), i siti dove dovrebbero concentrarsi tutte le attività attuative e operative della nuova normativa. Compresa quindi anche la formazione degli ex occupati o mai occupati per ridare loro una chance di speranza di riciclarsi nel mondo del lavoro.

La fotografia attuale dell’efficienza dei CpI, salvo pochissime eccezioni al nord, è pessima. Nonostante gli investimenti effettuati, le risorse professionali dedicate negli anni, i CpI non funzionano e non hanno dato risultati apprezzabili.

L’attuale Ministro del Lavoro garantisce che il problema in realtà non esiste ed è stato soltanto manipolato dalla stampa “nemica” del Governo del Cambiamento.

Il tema, secondo Di Maio, è praticamente risolto perché, infatti, un famoso (?) consulente americano del Minnesota ha suggerito di adottare un miracoloso software che risolverà d’incanto ogni criticità organizzativa ed operativa dei CpI.

Parole, promesse, rinvii a soluzioni perlomeno curiose. Questo è il quadro della nostra quotidianità in merito a questa drammatica priorità del nostro sistema sociale.

Alcuni paesi dell’Unione Europea ci stanno dimostrando invece che un attento e professionale utilizzo delle tecnologie IT aiuterebbe il sistema delle politiche attive del lavoro ad andare a regime, dando risposte adeguate alle tematiche relative all’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, stimolando i soggetti interessati a dirigersi verso mestieri di cui c’è reale richiesta e non verso quelli che il mercato o non richiede più o, alternativamente, risolve con addetti a costi inferiori.

Sentite, ad esempio, come l’Austria sta approcciando e risolvendo il problema. L’uso del digitale e di adeguati algoritmi studiati ad hoc, permette all’Agenzia Austriaca per l’Impiego (AMS) di svolgere con efficienza ed efficacia il suo ruolo. L’algoritmo di stato che dal 2019 inizierà a schedare i circa 350 mila disoccupati del paese renderà il servizio “più razionale ed efficiente”, indirizzando in modo oggettivo gli aiuti e i corsi di formazione: l’esatto contrario della discriminazione. Il software dividerà i disoccupati in tre fasce: le fasce alte (A), quelle medie (B) e quelle basse (C) in stretta correlazione alla probabilità di trovare un nuovo impiego.

Le risorse saranno concentrate sulla vasta fascia intermedia B, mentre per contrastare gli sprechi, saranno risparmiate verso i favoriti della A e i più svantaggiati della C. Questo software pubblico sarà molto più invasivo di quelli utilizzati dalle società private: la AMS ha infatti l’accesso anche ai dati sensibili della Previdenza Sociale. Sesso, età, origine nazionale, stato di salute ed economico e nucleo famigliare saranno automaticamente incrociati dall’algoritmo con le carriere lavorative.

Dunque secondo i sostenitori di questa metodologia non ci sarà alcuna discriminazione tra i candidati ma le risorse verranno giustamente indirizzate verso i casi più complicati.

Dunque il modello, certo tutto da affinare, esiste e dà risultati. Perché al nostro Ministero del Lavoro non studiano seriamente queste soluzioni e si mettono a costruire un modello utile ed efficiente per la realtà italiana?

Le parole dovrebbero “stare a zero”.

Le tecnologie digitali esistono: basta conoscerle, selezionarle e metterle in campo.

Invece si continua… a fare propaganda.

Comments (1)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    19 Novembre 2018 at 10:53

    Il ministero del lavoro dovrebbe essere a conoscenza di questo blog

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