Mal comune mezzo gaudio! Il vecchio adagio, tramandato da generazioni e generazioni, è di grande attualità. E’ dei giorni scorsi infatti la notizia che la Commissione Archeologica Centrale greca (KAS) ha posto il veto sull’utilizzo del Partenone per una sfilata di moda di … 15 minuti realizzata da Gucci. Motivazione? “Il carattere culturale unico del monumento dell’Acropoli è in contrasto con un evento di questo tipo”. Fine della trasmissione! I 57 milioni stanziati da Gucci e destinati ad un piano di restauro (2 milioni derivanti dalla sponsorizzazione e 55 milioni derivanti dai diritti di utilizzo dell’immagine del monumento) sono andati in fumo, mettendo in crisi la stessa conservazione prospettica del Partenone. Da tre anni almeno, una parte degli storici dell’arte greci e europei (sottolineiamo volontariamente “una parte” di essi, poi vedremo perché) ha lanciato le prime grida di dolore e preoccupazione sui rischi di un crollo totale dell’Acropoli. La drammatica crisi economica del paese ha selvaggiamente tagliato i fondi pubblici destinati alla salvaguardia dell’inestimabile patrimonio artistico greco, riducendo al lumicino le risorse per la manutenzione, anche solo ordinaria, dei monumenti e dei siti di rilevanza storica. Un’autentica tragedia greca che, come sappiamo bene purtroppo noi italiani, non è un monopolio del governo di Atene.

Una polemica obsoleta e autoreferenziale

Una proposta volgare e inaccettabile” è stata definita quella di Gucci dalla direttrice generale del Ministero della Cultura greca Euguenia Gatopoulou. Siamo dunque di fronte all’ennesimo caso in cui, una sempre più ristretta per la verità “casta” di “sacerdoti” del fondamentalismo conservatore (casta depositaria dell’unico verbo considerato rispettabile e perseguibile: “no!” a qualsiasi tipo di valorizzazione del patrimonio culturale e artistico di un paese) pone un divieto ad un’iniziativa che avrebbe portato nelle esangui casse del Ministero ingenti risorse finanziarie fondamentali per il restauro conservativo del Partenone, a serio rischio di crollo. Un atteggiamento folle, bizzarro, figlio di una cultura ormai inaccettabile a cui bisognerebbe dire un “Basta!” gridato forte e chiaro. Pickett si è già battuto negli ultimi 10 anni su più fronti, istituzionali e politici, per cercare di fare breccia in un muro di pregiudizi, di idee vecchie e superate, di paure e angosce non comprensibili o comunque doverosamente superabili.

La polemica in Italia è vecchia e stantia. Presunti conservatori del patrimonio artistico nazionale contro valorizzatori da strapazzo pronti e felici, con volgari iniziative tipo quella di Gucci in Grecia, a rovinare per sempre l’immagine dei nostri tesori. Presunti rappresentanti pubblici “buoni” contro schiere di privati “cattivi”, demoni della speculativa valorizzazione del nostro patrimonio infangato da operazioni di marketing inaccettabili.

Sembra una “gag” ma invece la drammatica fotografia della realtà quotidiana italiana che rischia, questa è la verità che bisognerebbe affrontare, invece di perdersi in polemiche inutili e antistoriche, di allontanare per sempre i privati dai programmi di conservazione e restauro del nostro fatiscente patrimonio artistico e culturale.

Il nodo della questione

Proviamo a ricapitolare la situazione valutando laicamente le posizioni in campo, le tesi contrapposte, le possibili soluzioni. Preliminarmente va dato atto al nostro attuale Ministro della Cultura Dario Franceschini di aver lanciato e consolidato, in concreto, un indirizzo nuovo e virtuoso per il settore, invertendo il trend negativo delle risorse economiche allocate e, nel rispetto del sacrosanto diritto delle Sovraintendenze a fare il loro mestiere con serietà e professionalità, riposizionando il ruolo fondamentale dei privati nel grande progetto di salvaguardia dei nostri tesori nazionali. Ma torniamo alla diatriba, ahinoi, non sopita, per fissare le tesi in campo.

  1. Il filone “pubblicista” schierato con rigore su una visione della gestione del patrimonio artistico solo pubblica senza alcun ruolo rilevante per i privati (al massimo utili ma non necessari per erogazioni liberali di supporto, senza contropartite comunicazionali rilevanti) che si richiama all’art. 9 della Costituzione italiana che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Convinti assertori di tale filone di pensiero sono i professori Setti e Montanari che sintetizzano così la loro posizione in merito: “Perché il rapporto Stato-privati, in campo culturale (e non solo) funzioni bene, bisogna che lo Stato sia forte, e cioè non si presenti con il cappello in mano, pronto ad accettare qualunque condizione contrattuale. Perché altrimenti il rischio è la mercificazione di un inestimabile bene comune (Tomaso Montanari, La Repubblica, 9 agosto 2016). In linea di principio nulla questio: non è un tema ideologico quello che abbiamo di fronte ma una questione, ad avviso di Pickett, di sostenibilità concreta. Con le risorse pubbliche stanziate a favore del settore, la tutela e conservazione del patrimonio non la si riesce a garantire. I tagli, orizzontali o meno che siano intervenuti, hanno ridotto al minimo le possibilità di gestione di tale mission. Certo ci potranno essere ancora delle sacche di inefficienza da riorganizzare ma, alla fine, i bisogni di interventi manutentivi, ordinari e straordinari, saranno di gran lunga superiori alle risorse allocate nelle varie Leggi di Stabilità. Quindi, ci troviamo di fronte ad un alto e condivisibile principio pubblicistico, certo scevro dai rischi di saccheggio dei privati, ma purtroppo non … attuabile né sostenibile con il grave e conseguente rischio connesso al continuo e irreversibile processo di depauperamento dei nostri beni artistici e culturali.
  2. Il filone “laico e pragmatico” che promuove una visione più moderna della salvaguardia del nostro patrimonio, basata su una stretta e coordinata collaborazione tra lo Stato e i privati. Dato atto che la parte pubblica ha meno risorse economiche di un tempo, bisogna impostare, secondo questa corrente di pensiero, una nuova forma di partnership basata sulle esperienze virtuose maturate in molti paesi del mondo, soprattutto di radice anglosassone, con termini e modalità operative così riassumibili: il pubblico si responsabilizza da un lato a tracciare le linee di indirizzo scientifico e culturale entro le quali i privati interessati potranno operare; dall’altro lato a semplificare la macchina burocratico-amministrativa, troppe volte diventata un vero e proprio “tappo” ai progetti di valorizzazione dei beni artistici e culturali. Il privato, da parte sua, si responsabilizza a progettare, candidandosi a gestirle, iniziative mirate alla valorizzazione (incluse dunque la conservazione e il restauro) dei nostri tesori, iniziative obbligatoriamente rientranti nel perimetro dell’indirizzo strategico fissato dalla parte pubblica. Proprio il Ministro Franceschini ha dimostrato, con l’emanazione della nuova normativa sull’ “Art Bonus” che ci possono essere spazi anche per incentivare fiscalmente, i privati ad investire nel nostro patrimonio sia individualmente sia collettivamente.

Insomma, da un lato esiste una parte pubblica che assume il ruolo di regista strategico dell’intervento: conosce nel dettaglio la mappatura e i “bisogni” del nostro patrimonio e può così individuare al meglio le priorità e il perimetro dei vari e possibili interventi. Si concentra altresì sulla semplificazione delle procedure amministrative promuovendo e consolidando un quadro normativo basato su incentivazioni fiscali per gli interventi finanziari dei privati. Dall’altro lato, esiste la parte privata che, uscendo dalle lamentele e anche dagli alibi del “non metto i miei soldi senza agevolazioni fiscali e semplificazioni delle procedure amministrative” assume il ruolo di progettista e gestore di iniziative  mirate alla valorizzazione dei beni; iniziative coniugate ad un miglior posizionamento del proprio marchio, della propria reputazione sociale, della propria immagine, sempre da attuarsi nel perimetro dell’indirizzo strategico dettato dalla parte pubblica. Un nuovo strumento di marketing strategico che, facendo leva sul fascino indiscusso della Beauty of Italy in tutto il mondo, offre alle nostre imprese, sempre necessariamente a caccia di domanda internazionale, una fantastica opportunità di new business.

Un sogno? Un’utopia? Un progetto che potrebbe costituire un rischio per la salvaguardia del nostro patrimonio? Pickett crede proprio di no: anzi!

 

L’esempio Della Valle – Colosseo

Ma proviamo a ragionare su un esempio concreto scaturente da un caso in corso di esecuzione: la partnership instauratasi tra il Gruppo Della Valle, il Comune di Roma Capitale e il Mibact per il restauro e la valorizzazione del Colosseo.

Senza voler entrare nei dettagli di una storia, anche giudiziaria, assolutamente incredibile ma purtroppo molto tipica nel nostro paese, limitiamoci ad una serie di punti, scansionati cronologicamente così come accaduti.

  • Il Colosseo necessita da anni di un profondo, rilevante e generale piano di restauro per evitare il rischio di crolli.
  • Il Gruppo Della Valle, qualche anno orsono, si dichiara disponibile ad investire 25 milioni di euro per finanziare tale operazione chiedendo in cambio di poter utilizzare sito, immagine e storia del Colosseo nella sua comunicazione aziendale.
  • Dopo una serie incredibile di contenziosi amministrativi che hanno bloccato l’accordo in quanto originato senza l’avvio di una gara pubblica (come se ci fossero stati altri possibili candidati a mettere sul tavolo un importo economico di tale rilevanza per un’operazione di tal genere!) finalmente l’accordo si può sottoscrivere.
  • Quando Della Valle pianifica di organizzare un grande evento al Colosseo riservato ai suoi distributori internazionali (una cena strettamente riservata nel contesto ed atmosfera del Colosseo illuminato da migliaia di fiaccole: il tutto naturalmente in stretta e rigorosa ottemperanza della normativa sulla sicurezza) scoppia la polemica. Uguale a quella greca sul Partenone. L’ipotesi viene considerata una “volgare offerta irricevibile”, non consona “al carattere culturale unico del Colosseo”. Stessa filosofia, stessi principi utilizzati poi ad Atene per bloccare la sfilata di Gucci e rinunciare in tal modo all’investimento del privato.
  • Nel luglio del 2016 si inaugura comunque il primo lotto del restauro, tra l’altro in anticipo rispetto alla programmazione prevista. Grandi ovazioni e consensi da parte del governo, dei ministeri coinvolti, della comunità romana, italiana e mondiale.
  • E’ interessante ripercorrere alcuni passaggi che la Corte dei Conti ha enunciato proprio sull’operazione Della Valle-Colosseo nell’ambito dell’indagine “Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali”. Un’indagine che ha voluto verificare e valutare le elargizioni dei privati avvenute nel triennio 2012-2015. La Corte ha criticato duramente il sistema delle sponsorizzazioni culturali “La carenza dei contenuti contrattuali, in particolare sotto il profilo della valutazione economica”. Una bacchettata insomma ai nostri funzionari pubblici che non avrebbero saputo valorizzare adeguatamente dal punto di vista economico l’inestimabile valore dei nostri tesori. La Corte, a differenza di quanto commentato da alcuni organi di stampa al momento dell’uscita della pubblicazione dell’indagine nell’agosto del 2016, non è entrata nel merito della polemica sulla liceità o meno della valorizzazione del nostro patrimonio attraverso nuove forme di partnership tra pubblico e privato nell’ambito dei principi sopra esposti, ma ha posto la sua attenzione sulla necessità di un’adeguata formazione dei funzionari pubblici per valorizzare al meglio la straordinaria opportunità di marketing che si può offrire ai privati attraverso l’utilizzo dell’immagine dei nostri tesori, come follow up delle sponsorizzazioni. “Il finanziamento a carico dello sponsor – scrive la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello stato, della Corte dei Conti – non tiene conto del valore economico del contratto, trattandosi di un monumento di fama mondiale, anche in considerazione dell’ampio elenco dei diritti concedibili e della durata almeno quindicennale dei diritti concessi all’associazione, poiché essa costituisce una emanazione della società Tod’s. Il risultato è che a fronte di una esclusiva sicuramente ultra ventennale, il corrispettivo pagato dalla sponsor ammonta a euro 1.250.000,00 all’anno” troppo poco per la Corte dei Conti!
  • Dunque il nostro magistrato contabile, la Corte dei Conti appunto, non appare in linea con il filone dei pubblicisti: si sviluppino pure le partnership pubblico-private basate su nuovi e più moderni criteri di collaborazione mirati alla valorizzazione dei nostri tesori e non solo alla loro conservazione, ma si cerchi di valorizzare al meglio, nella negoziazione con lo sponsor privato, l’inestimabile valore dei nostri tesori.

Cosa fare …prima di abdicare?

In tutto il mondo i siti culturali pubblici (musei, mostre, monumenti, zone archeologiche, ecc.) sono valorizzati attraverso l’organizzazione di eventi realizzati da privati che ci investono dentro dei soldi per finalità varie, dal puro mecenatismo al ritorno reputazionale o economico. L’approccio è laico e pragmatico. Una cena di gala al Louvre o all’Albert Museum o al Moma è assolutamente possibile. Basta pagare il giusto e attenersi scrupolosamente ai protocolli di utilizzo predisposti dall’ente gestore del museo. Protocolli che il privato deve sottoscrivere fornendo adeguate garanzie patrimoniali e gestionali. Con tali risorse il museo gestisce il proprio conto economico garantendone la sostenibilità, la fruizione delle opere al grande pubblico, la manutenzione ordinaria e straordinaria del contenitori immobiliare e delle opere medesime. E’ ora di uscire finalmente dall’ipocrisia di una cultura, nata in altri contesti sociali ed economici, per cui il business è un turpiloquio, un nemico da abbattere; il denaro un rischio di contaminazione negativa, il privato un rozzo e spregiudicato speculatore. Dobbiamo, e qui lo stimolo di Pickett si rivolge soprattutto ai privati, aiutare il pubblico a crescere, a diventare consapevole di questa grande opportunità. Prima che sia troppo tardi! A redigere ad esempio un “book” che elenchi le condizioni alle quali i privati sarebbero disponibili a mettere il portafoglio sul tavolo per contribuire alla conservazione e valorizzazione del nostro inestimabile patrimonio artistico e culturale.

Proviamo a ripartire di lì… educando il pubblico e il privato ad una nuova cultura per finanziare … la cultura.

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