Reduci dall’emozione (sì, per una volta, ammettiamolo senza voler fare sempre i cinici, superiori e distaccati!) scaturita dall’intervento di Mario Draghi al Meeting dell’Amicizia di Rimini, ci siamo ritrovati a meditare sul ruolo e sul portato psicologico e politico del cosiddetto “Servitore dello Stato”.

Il Civil Servant nel linguaggio corrente europeo

L’essere umano, uomo o donna che sia, che, ad un certo punto della sua vita professionale decide di rinunciare al suo privato, ai suoi magari legittimi egoismi, alla sua tranquilla e meritata “terza età” e offrire al suo Paese, alla comunità dei suoi concittadini, la sua disponibilità ad affrontare un momento critico, un’emergenza.

Con la competenza, l’autorevolezza e l’esperienza riconosciutegli in patria e all’estero, il Servitore dello Stato, transitoriamente, si dedica alla cosa pubblica, alla risoluzione dell’emergenza intervenuta. Poi, concluso il mandato, se ne torna a casa, alla sua famiglia, ai suoi affetti, ai suoi impegni privati.

Due importanti figure della storia di Roma antica

L’esempio di Draghi (come di altri Civil Servant che, a volte, però si sono fatti affascinare dalle sirene del potere, rimanendone irreversibilmente avviluppati) ci ha fatto tornare alla mente due figure della storia di Roma antica che, forse, varrrebbe la pena di recuperare, di rileggere e di ristudiare.

Mi riferisco a Lucio Quinzio Cincinnato e all’imperatore Diocleziano, che assunse il nome di Diocleziano proprio al momento della sua nomina. E’ nota a tutti la leggenda di Cincinnato, menzionato anche da Dante e da Pascoli nelle loro opere letterarie. La sua “carriera” ci fu raccontata da Tito Livio, il grande narratore e giornalista di quell’epoca.

Cincinnato governatore dei momenti di emergenza

Cincinnato nacque prima della Repubblica romana, intorno al 520 a.c. Fu nominato console nel 460 a.c. e per ben due volte Dittatore, nel 458 e nel 439 a.c. In quella Roma, cioè, che si accingeva ad iniziare il suo glorioso percorso verso la Repubblica prima e verso l’Impero poi, era proprio previsto dalla governance, in allora esistente, che, in momenti di emergenza, in cui la politica e gli organi istituzionali ordinari non erano in grado di affrontarla, ci si potesse affidare ad una personalità, anche terza rispetto alle istituzioni vigenti, in grado di assumere il potere e gestire al meglio la criticità insorta.

Poi, esaurita la parentesi emergenziale, il dittatore, alla scadenza dei sei mesi del mandato, doveva restituire alla politica la gestione del governo di Roma. La leggenda di Cincinnato, raccontata da Tito Livio, nasce proprio dalla sua disponibilità a rivestire tale ruolo al momento della chiamata del Senato; di risolvere poi il problema militare insorto e di restituire il potere, addirittura in anticipo rispetto alla scadenza prevista dei sei mesi. Pur avendo ottenuto un consenso straordinario per aver salvato Roma dai suoi nemici esterni, Cincinnato tornò ad arare il suo terreno, rinunciando ad offerte di natura politica ed economica molto vantaggiose.

Diocleziano esempio di virtuosismo politico

Gaio Valerio Aurelio, nato a Spalato nel 244 d.c. con il nome di Diocle e morto nel 313, sempre a Spalato nel suo palazzo imperiale, è, a nostro avviso, il secondo esempio di un’interpretazione virtuosa del ruolo di Civil Servant. Quando, dopo cinquant’anni di lotte intestine tra i vari comandanti militari della Roma imperiale, Diocleziano fu nominato imperatore, la prima decisione che mise nella sua lista delle priorità fu quella di immaginare una nuova governance per l’Impero.

Le continue guerre intestine tra i vari comandanti militari in corsa per la nomina ad Imperatore, lo avevano portato a ritenere che fosse impossibile gestire l’impero attraverso la figura di un solo imperatore, come ai tempi di Augusto. I cinquant’anni di anarchia militare e della conseguente cronica instabilità che aveva ormai messo in dubbio la sopravvivenza dell’impero, lo stimolò ad adottare delle profonde riforme politiche e amministrative. La più importante fu la cosiddetta “tetrarchia” e cioè un nuovo format politico con la previsione non più di un imperatore al vertice della piramide del potere, ma di una gestione collegiale.

La gestione collegiale della tetrarchia

Nel 285 d.c.. Diocleziano scelse di fare un passo indietro, o meglio di lato, scegliendo di nominare un co-imperatore (Massimiano) e conferendogli appunto il titolo di Augusto, assegnandogli la metà occidentale dell’Impero e riservando a sé stesso quella orientale. Otto anni dopo, nel 293 d.c., completò il suo modello di governance, associando ai due Augusti due Cesari (una sorta di vice-imperatori) nelle persone di Galerio e di Costanzo.

Ciascun Augusto avrebbe governato sulla sua parte dell’Impero coadiuvato dal proprio Cesare, al quale avrebbe delegato il governo di metà del suo territorio. Era anche disciplinato il meccanismo di successione: dopo vent’anni di governo i Cesari sarebbero subentrati ai due Augusti, nominando a loro volta, i due nuovi Cesari.

La nuova governance diede ottimi risultati a Roma

La nuova governance durante la vita di Diocleziano diede ottimi risultati, rilanciando l’immagine e il ruolo di una Roma imperiale che si erano sbiaditi durante i cinquant’anni precedenti. Questo regime che richiama in parte quello degli Optimati (i fautori di una cooptazione ai vertici dello Stato attraverso una selezione dei “migliori”, gestita, di volta in volta, dal governo esistente), una volta scomparso il suo promotore, fallì miseramente riaprendo gli scontri fra i vari eredi al potere. Ma il passaggio che varrebbe la pena rileggere e ristudiare è quello della abdicazione di Diocleziano. L’unico imperatore nella storia romana che diede le “dimissioni” una volta completato il suo progetto di gestione della sua comunità.

Mario Draghi e la bella politica

Di fronte ai troppo numerosi esempi di politici “inchiodati” alle proprie poltrone, quasi fossero assurti in tale posizione per diritto divino (l’ultimo avvilente spettacolo della formazione delle liste elettorali né è stato un ulteriore esempio), i due citati protagonisti della storia della Roma antica dovrebbero obbligarci ad una rivisitazione del ruolo, dell’importanza, ma anche dei limiti del mandato di una rappresentanza politica degli elettori/cittadini. Crediamo che Mario Draghi, che ha scelto di dimettersi quando, probabilmente, alla “conta dei voti” avrebbe potuto ottenere ugualmente una maggioranza parlamentare, stia dentro il solco di una tradizione di quella che Walter Veltroni ha denominato “la bella politica”.

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