Il tema, in campagna elettorale, non “tira”.

Non porta voti…anzi!

La politica, che cerca consensi a breve e a volte anche troppo facili, se ne sta ben lontana alla vigilia di una scadenza elettorale.

Noi elettori, a nostra volta, non ci badiamo troppo a questo oblio, salvo qualche eccezione: “se sono dentro” – questo è il terribile ma corrente pensiero – “una ragione ci sarà pure…”.

Dunque la tragedia da Paese incivile delle nostre carceri non ha fine.

Il grado di civiltà di una società si misura anche sulla sensibilità e attenzione nella gestione del sistema carcerario, sulla dignità delle vite dei carcerati che, se anche responsabili di errori o di veri e propri crimini, non meritano un trattamento da bestie.

La situazione italiana è da sempre tragica. Sovraffollamento, guardie carcerarie mal pagate e senza formazione, troppi carcerati in attesa di giudizio.

In passato uno dei “farmaci” più utilizzati dal nostro establishment politico è stato quello degli indulti: in altre parole, non riesco a intervenire su una vera riforma del sistema carcerario e allora preferisco liberare una parte dei detenuti in eccesso.

Da qualche tempo, questo catastrofico scenario è ulteriormente peggiorato.

Nell’ultima relazione dell’associazione Antigone che con i Radicali si batte da decenni nella lotta per ottenere una vita dignitosa per i carcerati, si leggono i dati relativi ad un’indagine operata su 85 istituti di pena nel nostro Paese. Ne abbiamo stralciato alcuni punti esemplari per acquisire la consapevolezza della drammaticità della situazione: ogni detenuto ottiene, in media, ogni settimana soltanto 5 minuti e venti secondi di assistenza psichiatrica; 10 minuti e mezzo, sempre alla settimana, per un confronto con uno psichiatra. Sei celle su dieci sono senza docce benchè esista una norma che ne impone l’obbligo dal 2000; un terzo delle celle ha una dimensione al di sotto del minimo previsto di 3 metri quadri calpestabili; molte carceri non hanno un allacciamento diretto alla rete idrica e possono garantire soltanto 4 litri a detenuto; il regolamento del 1975 prevede soltanto 10 minuti alla settimana di telefonate a testa. Anche se ormai i cellulari sono diventati una nostra protesi nella vita quotidiana, negli istituti di pena italiani la regolamentazione è ancora quella di circa cinquant’anni fa.

Sembra che il tempo si sia fermato!

In questo tragico contesto, non stupisce troppo l’aumento dei casi di suicidio avvenuti in questi ultimi sei mesi. Una vera e propria strage che conta ormai 53 vittime dal 1 gennaio 2022, contro le 54 dell’intero 2021.

“Siamo di fronte ad un fallimento del sistema” ha avuto il coraggio di affermare il Giudice di sorveglianza del Tribunale di Verona, Vincenzo Semeraro, il magistrato che aveva seguito la vicenda della ventisettenne Donatella Hodo, ammazzatasi con le esalazioni del fornelletto della sua cella.

Dopo Donatella ci sono stati altri due casi negli ultimi giorni, tra cui quello di Alessandro Gaffoglio, suicida in carcere a Torino, dopo essere stato arrestato per una rapina ad un supermercato.

“53 morti. Un numero enorme”– ha dichiarato Rita Bernardini, Presidente dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”“è il bilancio aggiornato dei carcerati che si sono tolti la vita dietro le sbarre. Il trend è decisamente in crescita per la diffusa disperazione. Abbiamo raggiunto un triste primato in Europa: da noi le morti per suicidio rappresentano il 38,2% delle morti in carcere, mentre la media europea è del 26%”.

Mentre la politica non si occupa del problema per il calcolo elettorale che abbiamo citato o, peggio, per paura di dover pagare un pedaggio troppo elevato, a quali misure bisogna pensare per almeno cercare di arginare questa strage?

La Ministra Marta Cartabia, che sta realizzando una serie di importanti interventi di supporto all’amministrazione penitenziaria per migliorare la qualità della vita e del lavoro nei nostri istituti, ha garantito la diffusione, entro breve tempo, di linee guida per un intervento continuo e sistematico per la prevenzione dei suicidi nelle prigioni. La Ministra ha promesso di mettere in campo delle squadre di professionisti multi-disciplinari, dagli psichiatri agli psicologi, dai giuristi ai responsabili dei penitenziari per mappare le situazioni a rischio in ogni carcere e individuare protocolli operativi mirati alle singole situazioni.

Don David Maria Riboldi, cappellano del carcere di Busto Arsizio, da sempre vicino ai diritti dei carcerati e alle loro problematiche, ha proposto una misura semplice e immediatamente operativa: chiede di dotare le singole celle di un telefono per superare il limite dei 10 minuti di chiamata a settimana e, replicando quanto già accade in molti Paesi europei, offrire ai detenuti un po’ di conforto nei momenti più bui, grazie ai colloqui, anche se telefonici, con le persone care. “Quando il loro cuore è sofferente, possono ascoltare qualche voce amica cui il personale di sicurezza non può supplire”, ha detto Don Riboldi.

Insomma, in attesa delle grandi riforme, basterebbe un po’ di buon senso e un po’ di ragionevolezza nel modificare dei regolamenti ormai obsoleti e non adeguati al mondo che è cambiato. Anche nelle carceri.

A volte, una misura apparentemente marginale, come quella proposta da Don Riboldi, può immediatamente dare i suoi frutti migliorando la qualità della vita di esseri umani che pur avendo sbagliato non meritano un trattamento bestiale.

Nelle prossime settimane questa testata, nel solco di una tradizione consolidata, dedicherà sempre più spazio a queste tematiche, mirando all’obiettivo di portare sul tavolo dei decisori politici proposte che affrontino razionalmente e con efficienza il tema della strage dei suicidi.

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